Renzi, Davigo e la sputtanopoli
ANSA/ANGELO CARCONI
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Renzi, Davigo e la sputtanopoli

Nonostante le promesse, nulla è stato datto dal governo Renzi per arginare gli abusi delle intercettazioni telefoniche. Anzi, siamo finiti nella commedia...

Poco più di un anno fa, all'indomani di un miasmo finito sui giornali sotto forma di intercettazione telefonica che riguardava Massimo D'Alema, invitammo Matteo Renzi "a darsi una mossa" e a fare in modo che venisse approvata una legge che arginasse quantomeno gli abusi più smaccati. Ovviamente non è successo nulla.

Eravamo nella giungla e nella giungla siamo rimasti. E infatti l'indagine di Potenza, che ha spinto alla dimissioni il ministro Federica Guidi, ha portato in dote a giornali e televisioni migliaia di conversazioni, alcune assai rilevanti sul piano penale altre assolutamente insignificanti e private. Com'è rituale quando la fanghiglia imbratta i calzoni dei politici, abbiamo assistito all'ennesimo balletto sulla "urgente necessità" di riformare la procedura delle intercettazioni prevedendo per esempio che i signori giudici distruggano quelle conversazioni dove persone non indagate parlano con indagati o con altri non indagati su fatti penalmente irrilevanti.

L'illusione di fare un passo per uscire dalla barbarie, come sempre, è durata pochissimo. Renzi, con una delle sue solite grottesche capriole, si è rimangiato quello che aveva detto in meno di ventiquattro ore: nulla cambierà. Il neopresidente dell'Associazione nazionale magistrati, Piercamillo Davigo, ha incalzato: "Se davvero le intercettazioni non sono pertinenti c'è già il reato di diffamazione". E qui siamo scivolati nella commedia pura.

Al netto del fatto che non ho trovato un avvocato da Palermo a Milano in grado di documentare una condanna sul tema, sono portatore anche di un'esperienza personale. Nel luglio 2014 l'Espresso pubblicò un'intercettazione telefonica tra me e Marina Berlusconi. Si trattava di una conversazione che, insieme ad altre centinaia intercettate, era contenuta in un procedimento archiviato. L'indagato (sottolineo già archiviato dal giudice e per giunta su richiesta del pubblico ministero) ero io, Marina Berlusconi era finita casualmente nel tritacarne e nella telefonata ci scambiavamo alcune riflessioni sulla politica.

Quindi, riassumendo: telefonata intercettata in un procedimento archiviato, di cui l'ex indagato tornato immacolato non sapeva nulla, con persona non indagata su fatti di nessun rilievo penale e in nulla connessi con l'indagine finita nel cestino. Un formidabile capolavoro di porcherie. L'Espresso venne denunciato per diffamazione. Sono passati quasi due anni: nulla si è saputo di questo procedimento. Silenzio assoluto. A occhio non mi sembra che fosse necessario condurre indagini sofisticate per chiudere la pratica: tutti gli elementi per chiedere il rinvio a giudizio o l'archiviazione erano a disposizione degli inquirenti. Peccato che nulla sia accaduto. Per cui, caro dottor Davigo, la storiella della diffamazione a tutela di chi viene gratuitamente sputtanato dalle lunghe orecchie delle procure la racconti a Renzi. In fatto di storielle è imbattibile, pensa addirittura di essere uno statista. E ho detto tutto.

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Giorgio Mulè