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ANSA/ANGELO CARCONI
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Referendum costituzionale: D'Alema prova a fare l'anti-Renzi

Vittoria del No per cacciare Matteo da Palazzo Chigi e riconquistare la guida della vecchia sinistra italiana. Ma sono più le critiche dei consensi

È dall'epoca della subita rottamazione che Massimo D'Alema non perde occasione per provare a vendicarsi di Matteo Renzi.

Se si esclude la breve parentesi durante la quale fu in ballo un suo possibile ruolo di prestigio in Europa, sfumato proprio per il veto finale del fiorentino, l'ex premier e quello attuale non hanno mai smesso di suonarsele di santa ragione. 

Guerra interna al Pd: il ruolo di D'Alema


Lo scontro Telecom-Banca Etruria
L'ultimissima lite ha riguardato la famosa privatizzazione di Telecom, rievocata da Matteo Renzi, a vantaggio degli allora cosiddetti (da D'Alema) “capitani coraggiosi” guidati da Roberto Colaninno, che nel '99 fu favorita dal governo guidato proprio da chi oggi gli rinfaccia di non essere di sinistra. “Renzi potrebbe parlarci delle fughe di notizie su Banca Etruria e dell'insider trading – la replica al vetriolo di “Baffino” - questo è un argomento che forse conosce bene”.

La battaglia referendaria
Uno scontro che si iscrive in un contesto più ampio in cui l'ex premier cerca di ritagliarsi un ruolo da capo dell'opposizione interna al Pd, e non solo, contro il referendum che a novembre dovrà confermare o meno la riforma costituzionale promossa dal governo Renzi. Un ruolo che D'Alema si è sempre guardato bene dal voler formalizzare con un intervento in Direziona nazionale, dove da tempo non interviene più, bensì costruito soprattutto attraverso uno sfrenato attivismo sui giornali e una serie di incontri con la sua storica rete di contatti e rapporti innaffiati dall'ottimo vino di cui è produttore.

La rete di amici e fedelissimi
Alcune settimane fa Repubblica rivelò una serie di riunioni, svoltesi tra Bari, roccaforte pugliese dove da principale sponda gli fa il governatore Michele Emiliano e quella romana di Piazza Farnese dove ha sede la fondazione Italianieuropei.

Riunioni alle quali presero parte fedelissimi e personaggi politici come il capo della corrente del Psi Area socialista Bobo Craxi e il senatore Gaetano Quagliariello e che divennero l'occasione per confidare a colleghi, amici, intellettuali il suo progetto: far fallire il referendum attraverso la costituzione di comitati per il “no” autonomi da quelli già nati.

L'attacco alla riforma
L'ex premier ha spesso dichiarato – nelle ultime settimane l'intervista a D'Alema è diventato un appuntamento fisso – la sua forte avversità alla riforma che “invece di semplificare il sistema – ha detto al Tg5 – è un volumetto confuso che indebolisce il sistema democratico delle garanzie”. “Meglio quella del 2006 di Berlusconi” l'affondo sul Corriere.

“Se vincerà il No e Renzi insisterà nel volersi dimettere – ha spiegato invece a La Stampa - dopo di lui non ci sarà il diluvio, semmai il buonsenso”. 

Esternazioni che Matteo Renzi accoglie come manna dal cielo: "Ogni volta che D'Alema apre bocca - ha ironizzato spesso anche in passato il segretario dem - guadagno consensi".

Il piano anti-Renzi
A cosa miri davvero in nemico numero 1 del premier è presto detto: scalzarlo da Palazzo Chigi. Non che sia lui a chiederne ufficialmente le dimissioni ma se il referendum venisse bocciato, la strada sarebbe tracciata: nuovo governo (guidato da una figura a lui non sgradita, lo stesso Enrico Letta per esempio) e nuova legge elettorale.

E, ovviamente, una nuova riforma costituzionale scritta in un "italiano comprensibile" – quello usato per il testo Boschi infatti non lo sarebbe – e molto più efficace, “condivisa, chiara e rapida”.

Composta di soli tre articoli che prevedano la riduzione di deputati e senatori, l'attribuzione alla sola Camera di votare la fiducia al governo e tempi certi per l'esame delle leggi: “Fine della navetta, del bicameralismo perfetto e delle perdite di tempo”.

L'insofferenza di avversari ed ex seguaci
Tanto semplice che quando toccò a lui metterci mano in prima persona, il suo tentativo naufragò miseramente. Come sono falliti tutti quelli promossi negli ultimi 40 anni e di cui sono stati promotori molti tra quelli che oggi, a sottolinearlo è stato Massimo Cacciari, attaccano questa legge.

Ragion per cui, anche diversi ex dalemiani accolgono con fastidio il "rancoroso" protagonismo del loro vecchio leader. “D’Alema sa benissimo che questa proposta è una colossale fregnaccia, priva di ogni credibilità e di ogni fondamento – ha recentemente scritto su L'UnitàFabrizio Rondolino, dal '96 al '99 capo della comunicazione nello staff di Massimo D'Alema - Se a ottobre vince il No, di riforme ovviamente non si parlerà più per un bel po’".

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Claudia Daconto