Presidente Renzi, tiri fuori il coraggio
 ANSA/CLAUDIO PERI
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Presidente Renzi, tiri fuori il coraggio

Lasci perdere i gelati e si dia da fare per cambiare (davvero) questo malandato Paese

Non inizierò adesso con la tiritera che io l’avevo detto, io l’avevo previsto, io vi avevo avvertito. Però stiamo ai fatti. Il 29 agosto eravamo pronti per celebrare la scossa all’Italia, anzi il big bang secondo i cantori renziani, e invece dalla sala stampa di Palazzo Chigi s’è udito in lontananza un ruttino forse dovuto alla cattiva digestione del cono gelato consumato poco prima per replicare stupidamente all’Economist.

Dallo  #sbloccaItalia s’è così passati allo #squaliaItalia e allo #sbroccaItalia: dei 40 miliardi annunciati ne sono rimasti appena un paio spalmati in tre anni e chi vivrà vedrà. Peanuts, noccioline sufficienti per un aperitivo striminzito. Per tacere del resto e cioè delle macerie in cui sono state trasformate le «grandi riforme» – scuola e giustizia su tutte – rinviate a data da destinarsi o ridotte a imbarazzanti e monchi disegni di legge. Agosto è finito male e settembre è iniziato pure peggio con l’inutile parata del «passo dopo passo», dei 1.000 giorni e – aridaje – del chi vivrà vedrà. Siccome però ci tocca vivere il 2014, eccoci ancora una volta a pregare il presidente del Consiglio di fare l’unica cosa sensata. Metta al bando i gelatini, trangugi piuttosto un’abbondante dose di filetto di tigre: abbia coraggio. Il coraggio proprio dei leader e degli statisti, l’orgogliosa rivendicazione di un piano serio per far ripartire il Paese.

Se, come ha fatto Renzi, si cita la Germania come modello di riforme sul lavoro, si legga la storia e si applichi quanto fece Gerhard Schröder nel 2003: una rivoluzione vera e bisturi in profondità nei tagli, nella riduzione delle prestazioni sociali, coraggio leonino nelle liberalizzazioni, negli sgravi fiscali, nelle riduzioni delle aliquote sul reddito (il Cancelliere tagliò dal 52 al 42% quella massima, per dire). Schröder pagò tutto questo, fu sommerso da proteste e impopolarità. Ma portò la Germania da vagone di seconda classe a locomotiva dell’Europa. Fu uno statista. Badare invece al consenso, essere ossessionato come il nostro premier dal timore di perderlo non è serio: significa tradire quegli elettori, e sono stati tantissimi, che gli hanno accordato fiducia. Renzi sa come prendere il toro per le corna; ha opportunamente citato la Germania: dunque tiri fuori le palle e agisca di conseguenza. Metta da parte quel suo metodo, tanto semplice quanto infruttuoso, la cui prevedibilità è ormai diventata persino stucchevole: rivoluzione annunciata con tweet pomposo e demagogico (vedi i casi giustizia e lavoro, tanto per fare due esempi), successivo decretino legge da fumo negli occhi (ferie tribunali e contratti a termine) e consultazione popolare o legge delega per la riforma vera e propria destinata a vedere la luce chissà quando (non dimenticate che ci sono da smaltire ben 699 decreti attuativi accumulati da Monti, Letta e Renzi).

No, non è serio. Al pari del grande imbroglio sulla Tasi, la tassa comunale sulle abitazioni, che il governo fa finta di non vedere. Lo scorso anno non la pagammo. Quest’anno ci tocca versarla: ergo è una nuova tassa. E sarà un salasso. Un esempio? Nella presunta capitale della buona amministrazione, cioè la Firenze che fu di Renzi, il neosindaco Dario Nardella ha fissato l’aliquota per la prima casa al massimo. Per un appartamento di 120 metri quadrati si dovranno pagare 453 euro. Vogliamo continuare con la favoletta che gli 80 euro (per chi li ha presi) servono a rilanciare i consumi?

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Giorgio Mulè