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(Ansa)
Politica

I referendum mostrano la debolezza della politica e la forza della magistratura

Nessuno dei partiti sembra essere interessato a sostenere un voto popolare che possa cambiare qualcosa del rapporto tra società civile e toghe. Nessuno crede che il quorum sia raggiungibile e alla fine lo status quo non penalizza alcuna parte. Inoltre, forse c’è anche il timore, in caso di eccessivo sostegno al Sì, di finire nel mirino dei pm

Il silenzio sui referendum è il simbolo di una politica fondamentalmente debole, in cui i leader non sono disposti a rischiare e in cui il sistema dell’informazione preferisci girarsi dall’altra parte. Il fronte a favore del SI per tutti e cinque i quesiti che riguardano la giustizia è ampio, ma i partiti sembrano aver perso interesse.

La Lega appare concentrata soltanto sulle questioni economiche interne e internazionali, lo stesso vale per Forza Italia e i partiti centristi (Italia Viva e Azione). Giorgia Meloni si è messa a fare distinguo, atteggiamento che non aiuta la spinta al referendum. La leader di Fratelli d’Italia si era schierata a favore della separazione delle carriere dei magistrati, dell’eliminazione delle firme per le candidature al Csm e della possibilità per gli avvocati di valutare l’operato dei magistrati, ma si è detta contraria sia alla limitazione della custodia cautelare sia all’abolizione della legge Severino. Il Partito Democratico ha scelto la linea neutra, libertà di voto per gli elettori, che nel caso di un referendum significa schierarsi contro il raggiungimento del quorum di fatto. Mentre il Movimento 5 stelle è sempre stato contrario al referendum e dunque predica astensione. Ma anche la società civile - associazioni, fondazioni, gruppi, giornali - sembrano aver perso mordente sul tema.

Forse nessuno crede che il quorum sia raggiungibile, d’altronde le amministrative non includono in questo anno i comuni più grandi e non c’è una grande trazione politica in questo momento. La crisi Ucraina e la crescita dell’inflazione hanno monopolizzato il dibattito politico uccidendo in culla il referendum. Al tempo stesso, però, è evidente che nessun leader politico abbia voluto mettere fino in fondo la faccia sulla questione della giustizia. Le incerte elezioni del 2023 si avvicinano e nessuno intende farsi bollare come lo sconfitto della consultazione referendaria, su tutti un Salvini in difficoltà nei sondaggi. Inoltre, nessuno dei leader dei grandi partiti vuole rotture interne in questo momento, cioè in una fase in cui i partiti sono già abbastanza difficili da tenere uniti di fronte alle riforme del PNRR, la guerra in Ucraina, la crisi economica entrante, e ciò spiega gli atteggiamenti prudenti di Letta e Meloni. Ma anche chi si oppone come Giuseppe Conte e il suo partito, in difesa di un certo giustizialismo e del corporativismo di categoria, rischia di ricavare poco dal fallimento del quorum.

Pur se non pronti a mobilitarsi, la stra-grande maggioranza degli italiani vede il funzionamento della giustizia come un’anomalia, un problema politico mai risolto. La difesa dello status quo a prescindere, dunque, rischia di pagare un dividendo ridotto sul piano del consenso elettorale. C’è poi il fattore paura per il modus operandi della magistratura inquirente, se il referendum passasse per la spinta di alcuni leader politici dopo quanto poco tempo tutti o alcuni di loro si ritroverebbe sommersi da avvisi di garanzia e futuri processi? Non importerebbe l’esito, ma l’indagine ad libitum del pm è già abbastanza per intimidire la campagna elettorale. Berlusconi, Renzi, Salvini, per non citare numerosi ministri vicini a questi leader, sono già passati o stanno passando per le forche caudine delle indagini dei magistrati. Un potere aggressivo e, in alcuni fasi del rito, sostanzialmente arbitrario è difficile da riformare con la democrazia.

Da ultimo, spesso il referendum viene utilizzato come strumento di pressione per far agire il Parlamento. In questo caso però il risultato è modesto perché la riforma Cartabia è un compromesso a ribasso, almeno per quanto riguarda le questioni

di governo della magistratura. La riforma non cambia quasi nulla del rapporto tra magistratura e politica, non tocca nessuno dei privilegi dei magistrati. Lascia intatto il loro potere. Anomalo, invasivo, troppo spesso fuori controllo. I referendum, pur promossi con buoni propositi da Lega e radicali, quasi certamente non raggiungeranno il quorum. L’equazione del potere distorto è sempre la stessa: politica debole e corporazione giudiziaria forte. Sarà così anche questa volta, nonostante la possibilità data ai cittadini di esprimersi.

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Lorenzo Castellani