Prima ha spalancato l’Italia alla Cina. Ora Prodi fa il sovranista anti Musk
Il Professore ha criticato il governo sull’accordo per l’uso del sistema satellitare del miliardario. Ma è stato lui a favorire la tecnologia di Pechino nel nostro Paese. E non hai mai frenato le mire dei francesi sulla Penisola.
Sui rapporti tra il governo italiano ed Elon Musk, buon ultimo è arrivato pure Romano Prodi. L’ha fatto prendendo alla larga la questione Starlink e concentrandosi sulle tecnocrazia di destra. Così, dal solito salotto tivù di sinistra, l’ex numero uno dell’Ulivo ha attaccato sia Giorgia Meloni sia Ursula von der Leyen. «Non dice niente», ha detto riferendosi alla seconda, «delle interferenze di Trump in Germania, in Gran Bretagna, in Italia. Il sovranismo si ferma all’obbedienza» ha detto ancora l’ex premier.
«Su Starlink, l’accordo col governo darebbe in mano a Musk tutti i dati che riguardano il nostro Paese. È il momento che il governo decida se dare in mano ad altri la propria vita. Il vantaggio di Musk è che ha a disposizione una tecnologia pronta e potente. Non so se il governo firmerà, ma queste cose vanno fatte con una prudenza enorme e garanzie che non credo il nostro esecutivo sia in grado di ottenere. Così come sembrano essere le cose, io non firmerei. E l’idea che il rappresentante di uno Stato come è Musk si impadronisca di una realtà fondamentale di un altro Paese è un rischio enorme per la democrazia», ha concluso disegnando un profilo di un’Italia tutta sommersa da totalitarismo e controllo digitale sulle masse.
Sappiamo bene che nemmeno il politico di lungo corso crede a tale rischio. Si tratta di presidiare posizioni politiche e accordi di massima che separano blocchi geopolitici da altri. È valso per anni dentro lo scacchiere Ue, quando non ci risulta che Prodi si sia mai speso per fermare le mire francesi sull’Italia. Salvo qualche critica a posteriori. Parliamo di banche, infrastrutture e aziende del Made in Italy. Ma, soprattutto, il ragionamento vale per le mire cinesi.
Il 7 agosto del 2020 era presidente del Consiglio Giuseppe Conte. In quel momento la tecnologia più all’avanguardia nelle telecomunicazione era il 5G. Usiamo il passato perché, sebbene siano trascorsi solo quattro anni e mezzo, di acqua sotto i ponti ne è passata tantissima. La guerra in Ucraina ha cambiato le regole di ingaggio e ha reso le telecomunicazioni via satellite la punta di diamante della tecnologia in via di evoluzione. All’epoca, dunque, il 5G era l’equivalente dello Starlink di oggi. Non per fare un parallelismo tecnico ma per l’attenzione politica di cui era oggetto da parte di Ue, Usa e Cina.
Ecco, in quell’estate ancora interessata dal Covid, Conte provò notte tempo a far passare un decreto che avrebbe fornito a Huawei un notevole vantaggio nelle fornitura italiane. Nei mesi precedenti, Conte ne aveva già sfornato altri, ma quello specifico avrebbe creato una rottura definitiva con gli Usa e messo a rischio veramente i dati degli italiani. Nonostante le aziende cinesi abbiano sempre negato l’utilizzo di backdoor dentro i sistemi, numerosi casi di hackeraggio hanno dimostrato che entità cinesi sono riuscite a gestire banche dati da remoto utilizzando interi pacchetti di device. Come i rooter.
Non vogliamo entrare nei dettagli da nerd, ma la tematica era così bollente da far sobbalzare mezza diplomazia atlantica. Eppure Romano Prodi, all’epoca, non disse nulla. Zero. Niente che potesse mettere in difficoltà aziende cinesi.