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(Ansa)
Politica

Draghi sul lavoro: gestire emergenza di oggi per fare riforme  domani

Rubrica Portugal Street

Ormai è chiaro. L'agenda economica del prossimo Governo avrà tra le sue priorità il lavoro e la coesione sociale. Non può essere diversamente con una perdita di occupazione nell'ultimo anno di circa 450mila unità, una caduta del PIL nel 2020 di quasi il 9%, circa 150 tavoli di crisi aziendali aperti e una crescita ininterrotta di ore di cassa integrazione (unitamente al numero di lavoratori interessati). Affrontare questi problemi è una priorità imprescindibile se si vuole fare ripartire il Paese.

Peraltro, dopo un anno di pandemia e con altri difficili mesi di fronte emergono chiaramente il perimetro e le caratteristiche delle sofferenze: terziario (commercio e turismo soprattutto), alcuni settori industriali, parte del settore agricolo. Per questo sempre più frequentemente si prospetta un utilizzo futuro degli ammortizzatori sociali distinto per settori, anche per non gravare in maniera eccessiva sulle finanze dello Stato (nonostante l'utilizzo dei fondi europei SURE). Altrettanto evidente è il fatto che le politiche attive del lavoro, pure con uno sforzo finanziario mai fatto precedentemente e beneficiando di una posizione prioritaria nell'agenda dei due governi precedenti, abbiano vissuto una stagione di quasi arretramento rispetto a quelle della legge Biagi e del Jobs Act. È stato costruito il reddito di cittadinanza, sono stati fatti i navigator (oggi ingiustamente e inspiegabilmente abbandonati), si è vagheggiata la digitalizzazione per il mismatch, ma in sostanza non è stato fatto nessun passo avanti e si è spezzato l'anello di congiunzione tra Stato e Regioni (che già denunciava forti debolezze). L'Anpal è risultata sempre di più l'ennesima cattedrale nel deserto.

Oggi l'agenda Draghi ha il compito –indifferibile- di ricucire queste fratture amministrative, di costruire azioni semplici ed efficaci contro la disoccupazione e l'inattività, di disegnare un sistema di protezione del lavoratore (e della lavoratrice) che non sia fondato sulla inutile protezione del posto di lavoro che non esisterà più. E nello stesso tempo, però, anche di avanzare una nuova politica industriale che, anche se green, non dimentichi l'ossatura del sistema produttivo del Paese.

Nei giorni scorsi il neo Segretario del Tesoro degli Stati Uniti, e già Presidente della Federal Reserve, Janet Yellen ha ricordato che senza un forte stimolo all'economia ci vorranno molti anni per tornare alla piena occupazione e che quindi si impone un piano di aiuti robusto all'economia americana come quello previsto dal neo Presidente Biden. In Italia fino ad oggi abbiamo stanziato risorse per 140 miliardi di euro. Il Recovery Plan ci permetterà di utilizzare potenziali ulteriore risorse fino a 200 miliardi di euro nei prossimi anni. Si concretizza una opportunità storica per riforme strutturali. Si apre la possibilità per un nuovo robusto Jobs Act.

Occorre allora definire una agenda semplice fondata su due pilastri: da una parte le azioni per fronteggiare l'emergenza, dall'altra le riforme per costruire un moderno sistema di politiche del lavoro, una road map che sia quanto più condivisa e che abbia uno sviluppo nel medio periodo. L'emergenza la si affronta togliendo progressivamente dal tavolo il blocco dei licenziamenti (una misura introdotta solo in Italia e che ha ingessato artificiosamente e pericolosamente il mercato del lavoro), mantenendo la Cassa Integrazione emergenziale Covid per le situazioni di crisi e disegnandone l'uscita per le aziende che riprendono gradualmente la loro attività; rafforzando il sistema di protezione del reddito del lavoratore (Naspi) congiuntamente a politiche di formazione e di orientamento al lavoro (con un patto con le Regioni che preveda l'utilizzo e il riassorbimento dei navigator); costruendo una nuova governance di Anpal e Anpal servizi, con linee di azione precise e uno stretto collegamento con i privati; allentando alcuni vincoli normativi della legislazione del lavoro.

Il futuro, invece, si costruisce con una riforma degli ammortizzatori sociali che si iscriva nel solco della legge Biagi e del Jobs Act; con una differente governance delle politiche passive e delle politiche attive che veda coinvolte Inps, Anpal e Ministero; con un patto permanente con Regioni ed operatori privati per dare vita ad un sistema 4.0 di servizi per il lavoro; con una forte compenetrazione tra politiche del lavoro, politiche industriali e politiche educative/della formazione; con la redazione di un Testo Unico del lavoro (un nuovo Statuto) che renda la legislazione più semplice; con la chiara affermazione della primazia della contrattazione sulla legge. Non ci dobbiamo però illudere.

La costruzione delle politiche attive necessita di tempo, di pazienza, di continuità. Di fronte a coloro che affermano che da oltre 20 anni si parla di politiche attive inutilmente, verrebbe da ricordare che in questi 20 anni ci sono stati impostazioni culturali molto diverse, disponibilità economiche molto ridotte, complessità istituzionali difficili, volontà politiche deboli, sordità delle forze sociali clamorose, costruzioni normative piene di complicazioni, e da ultimo, ma non meno importanti, sacrifici di vite umane. Purtroppo non abbiamo la common law inglese, anche se la vorremmo. L'agenda Draghi dovrà tenere conto di tutto questo ma non può permettersi rinvii ulteriori. Si evoca in questi giorni la concertazione sociale che caratterizzò i governi Amato e Ciampi negli anni 1992-1994. Quella fu una esperienza emergenziale importante ma difficile da replicare; ci volle allora molto impegno, molta determinazione, molta pazienza e anche molto coraggio. Erano chiari gli obiettivi e vi era comune sentire tra tutte le parti. La storia non si ripete mai ma è bene che la memoria della storia sia viva nella vita politica e sociale. Ciò che si deve replicare è lo spirito di un confronto sano e costruttivo tra Governo e parti sociali volto alla coesione sociale, alla produttività e alla occupazione. Quando si sono create queste condizioni i risultati sono sempre stati positivi e hanno permesso all'Italia di avanzare. Il programma del Governo Draghi può essere determinante per ricostruire un clima di coesione e fiducia. Un'ultima considerazione non va elusa: i programmi camminano anche sulle gambe degli uomini o delle donne che verranno scelti. Senza scelte adeguate per competenza, professionalità ed autorevolezza sarà difficile cogliere risultati importanti. Anche questo un fattore per l'agenda Draghi.

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Paolo Reboani