crisi di governo
(Ansa)
Politica

Morlino: «Questa crisi è senza precedenti. Si navigherà a vista»

Per l’Emerito della Luiss «le caratteristiche della crisi di governo appaiono del tutto nuove. L’attuale sistema dei partiti non è più in grado di ammortizzare ogni tipo di fibrillazione politica, per il semplice motivo che non esistono più i partiti come li conoscevamo noi»

Siamo alla vigilia del giorno della resa dei conti di questa Crisi di Governo. Una crisi che appare, secondo gli esperti di politica come il Professor Leonardo Merlino, Emerito della Luiss, del tutto diversa dalle precedenti e che porta con se un segnale di profonda debolezza della nostra classe politica

Professor , è d’obbligo una domanda preliminare. Cos’è una crisi di governo?

«Si tratta di una situazione che viene a crearsi quando si interrompe il rapporto di fiducia con il Parlamento, circostanza che si verifica ogni volta che il potere esecutivo perde l’appoggio - quindi la fiducia - del Parlamento e, di conseguenza, della maggioranza che lo ha eletto: e tale situazione può portare anche a nuove elezioni. Questo avviene se il Presidente della Repubblica constata che il governo non può ottenere una maggioranza in Parlamento».

In realtà il termine può nascondere realtà diverse.

«“Crisi di governo” è un termine spesso usato con poca precisione. Ciò che nel nostro ordinamento viene definita crisi di governo, in realtà, potrà assumere la doppia denominazione di crisi parlamentare o di crisi extraparlamentare. Si ha la prima ipotesi quando il governo è investito da una mozione di sfiducia di una delle due Camere del Parlamento, quando non riesce ad ottenere il voto di fiducia iniziale o, ancora, in caso di voto contrario da parte di una delle Camere. Quando, invece, la crisi è essenzialmente politica e non vi è un esplicito voto di sfiducia sarà extraparlamentare».

Ci saranno delle soluzioni, ovviamente

«Come detto, il Presidente della Repubblica prenderà le redini della situazione, provando le soluzioni possibili per evitare che il governo “cada”, ascoltando -innanzitutto- i leader delle forze politiche e i capigruppo di Camera e Senato. E in base alla gravità della situazione, potranno essere adottate una delle 4 soluzioni seguenti: il rinvio alle Camere, cioè la sottoposizione del governo ad un’ulteriore verifica del rapporto di fiducia sia in Senato che nella Camera dei deputati; la nomina di un nuovo governo, presieduto dallo stesso Presidente del Consiglio, ma modificando l’assetto dei Ministri ed eventualmente dei Ministeri; la nomina di un nuovo Presidente del Consiglio all’interno della stessa maggioranza, oppure di una maggioranza politica diversa; e, infine, la formazione di un governo c.d. tecnico o di scopo, limitatamente al lasso di tempo che manca alle nuove elezioni».

Intanto si invoca il ritorno alle urne.

«Già siamo in un clima di perenne campagna elettorale, figuriamoci quando scoppia una crisi. Il ricorso alle urne si rende inevitabile quando la situazione è così compromessa da non poter essere risolta altrimenti. Il voto anticipato è un’ipotesi residuale ed eccezionale, ma spesso rappresenta la strada realisticamente più facile da seguire, perché le nuove elezioni serviranno a cercare di ottenere una nuova maggioranza che avrà il compito di formare un esecutivo che rappresenti al meglio il mutato orientamento politico del Paese».

E il Presidente Mattarella sarà il destinatario di tale richiesta.

«Spetta ancora al Presidente della Repubblica sciogliere le Camere ed indire le elezioni anticipate che dovranno tenersi non prima di 45 giorni dalla dichiarazione della crisi di governo ed entro il termine massimo di 70 giorni».

Veniamo allo scenario di oggi.

«Ci troviamo all’interno di una situazione particolarmente complessa in cui elementi oggettivi si intrecciano con percezioni soggettive. Nel nostro Paese è consolidata la tradizione storica di una crisi di governo quasi ogni anno, a parte delle brevi fasi in cui i governi durarono più a lungo, come nel periodo del craxismo negli anni Ottanta o nella massima forza politica di Berlusconi».

Quali gli elementi tipici della crisi di questi giorni?

«Due gli elementi eccezionali. Il primo è dovuto al contesto: stiamo vivendo mesi di particolare difficoltà interna rappresentata dalla pandemia ancora in corso, dall’inflazione galoppante con la enorme crescita dei prezzi sulle materie prime (gas, petrolio) e la crisi energetica mondiale, effetto della invasione russa in corso da 5 mesi esatti. La nostra crisi politica avrà, ovviamente, conseguenze sullo scenario internazionale soprattutto nel caso di sua lunga durata a seguito delle elezioni anticipate».

E il secondo elemento da lei indicato?

«Più che elemento strutturale, si tratta di una caratteristica peculiare. Il governo, infatti, solo qualche giorno addietro, aveva ottenuto la fiducia in entrambe le Camere, e, dunque, ci si deve chiedere come mai il presidente Draghi abbia presentato le sue dimissioni. La realtà è che la sua visione politica lo porta, naturalmente, a considerarsi un leader al di sopra delle parti, chiamato a guidare un’ampia coalizione governativa con i diversi partiti che lo sostengono, M5S incluso. Altrimenti egli stesso non potrebbe più considerarsi leader titolare di un ampio consenso: è, questa, la nota caratterizzante la sua decisione di accettare la carica di Primo ministro. Ora è bastata la ‘non fiducia’ dei 5S per prendere la decisione di dimettersi».

Questa crisi ha comunque una matrice politica.

«E’ così, ma la ragione di fondo è data dal fallimento del M5S, un fallimento interno, innanzi tutto organizzativo, derivante da un tentativo di innovazione tecnologica e comunicativa che pure lasciavano ben sperare. L’utilizzo della piattaforma digitale, la ricerca della democrazia diretta, il coinvolgimento massimo della base elettorale: in breve, il tentativo di innovazione organizzativa, che pure c’è stata, non ha retto di fronte alla realtà politica».

Ricordiamone il punto più rilevante.

«I 5Stelle, nati come movimento di protesta che metteva insieme posizioni molto diverse lungo l’asse destra/sinistra, si ponevano come lo specchio dei propri membri ed avrebbero espresso di volta in volta le posizioni della maggioranza di loro. In astratto, una formula che ne avrebbe decretato il successo in ogni caso. Questo progetto si è scontrato con la realtà politica: un partito non può essere ‘specchio della domanda’, solo trasmettitore della domanda».

La politica è confronto…

«Le interrelazioni con gli altri partiti hanno messo il Movimento nelle condizioni di dover presentare e comunicare un’offerta, che i propri membri possono anche rifiutare. Questo, peraltro, ha costretto i leader di 5S alla fine a una gestione interna autoritaria nella consultazione dei suoi membri, anche riducendo le occasioni di consultazione».

Professore, ai cittadini interessa come uscire dalla crisi, senza effetti collaterali.

«E’ il nodo della vicenda: il presidente Mattarella ha trasformato in parlamentare la crisi extraparlamentare creata da Draghi con le sue dimissioni, e le dichiarazioni poco concilianti rese dal leader grillino Giuseppe Conte fanno davvero pensare ad un’uscita dei 5S dal governo. Se ciò accadrà, diventerà molto probabile una loro nuova scissione: le posizioni di quasi tutti grillini che fanno parte del governo sembrano prospettarlo con evidenza».

Intanto il leader Conte appare movimentista…

«Conte sta cercando di guadagnare maggiori consensi per il suo partito, magari in termini percentuali tra il 2 e il 4% dei voti, al momento delle elezioni. Però, oggi le previsioni, suggerite dai sondaggi, sono tutte per una vittoria della coalizione del centro-destra».

Professore, ci perdoni, ma come potranno i 5S recuperare consensi, nonostante la loro responsabilità dello scoppio della crisi?

«Ha ragione. In ipotesi, Conte potrebbe attrarre voti dall’ampio fronte degli scontenti che continuano a disertare le urne, presentandosi come il loro paladino. Si tratta, in ogni caso, di un piano che ben difficilmente avrà successo, perché in realtà è molto più probabile che il voto degli scontenti andrà a chi li ha rappresentati in questi anni senza tentennamenti, ovvero a Fratelli d’Italia. Oppure si asterranno. Conte non ha un’immagine da leader di opposizione, non appare credibile in questi termini, perché non lo è mai stato. Sta cercando di trasformare la propria immagine in queste settimane, ma non è un compito che si può realizzare in breve tempo».

E sul versante del centro-destra?

«Questo quadro complesso si complica a causa degli interessi strettamente elettoralistici della Lega di Matteo Salvini, al quale non pare vero poter andare alle elezioni alcuni mesi prima della scadenza naturale della legislazione; e anche Forza Italia, sia con Berlusconi che con Taiani, ha preso posizioni più nette. È accaduto, infatti, che dopo le dimissioni di Draghi, le posizioni dei leader si siano velocemente polarizzate su posizioni più estreme».

Due gli scenari, a questo punto: un Draghi-bis o rottura definitiva ed elezioni a ottobre…

«Credo che Draghi stia ricevendo molteplici pressioni, sia interne che internazionali, per convincerlo a continuare nel suo mandato. Questo diventerebbe ancora più probabile se vi fosse, come dicevamo prima, una seconda scissione nel M5S. Effettivamente, la situazione appare fluida e in movimento, perché, come detto, ci troviamo innanzi a elementi oggettivi e a percezioni soggettive. Se voteremo subito, cioè almeno ad ottobre, come si può immaginare un recupero di Conte, in extremis, degli scontenti del suo Movimento?».

Siamo confusi…

«E’ il momento che appare esserlo! Alle pressioni interne e internazionali cui Draghi è sottoposto in queste ore, si stanno aggiungendo quelle dei molti sindaci che hanno organizzato sit-in per cercare di convincerlo a non mollare, e anche dei presidenti delle regioni che stanno prendendo posizione. Lo stesso segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, avrebbe in Draghi un interlocutore affidabile. Ecco perché a squarciare il velo dell’incertezza potrà contribuire soltanto il Presidente del Consiglio. Il cerino è nelle sue mani».

Professore, riesce a trovare delle similitudini con una delle (tante) crisi di governo della nostra storia repubblicana?

«Francamente no, e questa difficoltà indica la gravità del momento. Se fino alla fine degli anni Ottanta, le diverse crisi potevano contare su un contesto di relativa stabilità partitica, che ne garantiva una sorta di ammortizzazione in caso di “crisi” governative, oggi lo stesso sistema dei partiti è in movimento, come abbiamo visto con la crisi profonda dei 5S, all’origine di questa crisi e a tutti i diversi tentativi dei leader centristi di conquistare un proprio spazio visibile in vista delle elezioni. Insomma, siamo alla novità assoluta, senza riferimenti nel passato».

Si riferisce anche alla situazione dei 5Stelle?

«Soprattutto a quello, come dicevo. E’ stato il partito di maggioranza relativa negli ultimi anni ed è imploso già con l’ultima scissione dei 64 deputati guidati da Luigi Di Maio che hanno formato un nuovo partito, dopo la lunga serie di uscite ed espulsioni in questi ultimi 4 anni. Come indirettamente già dicevo, è fallita la sua stessa trasformazione da partito di protesta in partito di governo, il che è perfettamente possibile per come è accaduto in Grecia con Syriza e in Spagna con Podemos che ha dimostrato le proprie capacità di incidere sul governo».

Intanto rischiamo un ulteriore dissesto economico…

«Gli effetti collaterali di soli pochi giorni di crisi si stanno già facendo sentire: sono a rischio 21,8 miliardi del Pnrr, i 10 del decreto Aiuti bis di luglio e i 5-6 del taglio del cuneo fiscale, mentre in Borsa sono già stati bruciati 17 miliardi il primo giorno della crisi. In caso di caduta del governo, poi, certamente salterebbe il decreto di luglio del valore di 10 miliardi contro il caro-energia e il caro-vita, con attesi interventi sull'Iva legata ai beni di largo consumo, nuovi aiuti per le bollette e un primo aumento dei salari.».

Professore, che prospettive ci attendono?

«Navigheremo a vista, come abbiamo spesso dovuto fare».

Leonardo Morlino 1947 è professore Emerito di Scienza politica e presidente dell’International research centre on democracies and democratizations alla Luiss di Roma: dopo gli studi in scienze politiche all’Università di Napoli intraprende la carriera accademica. Ha insegnato all’Institut d’Etudes Politiques di Parigi, all’Istituto Juan March di Madrid, al Nuffield College di Oxford, alla Stanford University e al Centro de Estudios Politicos y Constitucionales di Madrid. Già condirettore della Rivista italiana di scienza politica, il suo ultimo saggio Uguaglianza, libertà, democrazia. L’Europa dopo la Grande recessione, (Il Mulino 2021), appare come una perfetta trasposizione dei temi dell’agenda politica nazionale e internazionale di questo travagliato periodo

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Egidio Lorito