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(Ansa)
Politica

La Consulta boccia il referendum sull'eutanasia

Per la Corte costituzionale "non sarebbe preservata la tutela minima necessaria della vita". Ma la partita non è ancora chiusa

Sono giorni e settimane cruciali per quanto riguarda il tema del fine vita in Italia. Non solo con il Referendum avanzato dai Radicali, ma anche in Parlamento la discussione iniziarsi a farsi infuocata, soprattutto dopo che proprio la proposta referendaria è stata bocciata, martedì scorso, dalla Corte Costituzionale.

In particolare sono state le motivazioni a caldo della Consulta, oltre che la sua stessa decisione, a far scoppiare – come era prevedibile – un vespaio di polemiche e dichiarazioni, soprattutto da parte radicale e progressista. E quella sottolineatura dei giudici, quel “non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana”, è il punto nevralgico sul quale si continua a giocare la fondamentale partita del fine vita nel nostro Paese.

Una partita che, ora, passa interamente al Parlamento, con la Camera che sta già discutendo sul Testo Unico “Bazoli”, in riferimento proprio ad eutanasia e suicidio assistito. Un vespaio di polemiche, dicevamo, e infatti tra le voci “indignate” si sono alzate anche quelle di chi, come Pd e 5 Stelle, ora vorrebbero spingere per l’approvazione del disegno di legge, con la scusa di una sorta di un non meglio precisato “risarcimento” per il mancato Referendum.

Se è vero, però, che Referendum e Testo Unico rappresentavano due questioni assai diverse, soprattutto nei contenuti più tecnici, è anche vero che la decisione della Corte Costituzionale può – anzi, deve(!) per il bene del Paese – rappresentare una strada maestra anche per lo scenario che si sta dipingendo tra i Deputati.

Innanzitutto dobbiamo infatti ricordare la palese volontà ingannatrice di chi ha proposto il Referendum, la stessa che ha portato alla sua bocciatura. Sotto la foglia di fico di una propaganda e un’informazione falsa, che per mesi ha propinato il Referendum come riguardante l’eutanasia, si nascondeva invece il vero ed inquietante quesito pro-morte, ovvero quello di depenalizzare l’omicidio del consenziente, per giunta senza limiti di sorta. Chiunque, dunque, sarebbe stato in grado di chiedere – ed ottenere (!) – il proprio omicidio, per le motivazioni più diverse: da una delusione amorosa ad una crisi economica, passando per la mancanza di lavoro, un motivo di salute o familiare o addirittura per la “semplice” volontà di farla finita. Ed è qui, infatti, che si è innestata la mancanza della “tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana”, come scritto dalla stessa Consulta.

“Tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana”. Perché lo ripetiamo? Perché è esattamente questa la strada maestra tracciata dalla Corte Costituzionale alla quale la politica non può fare orecchie da mercante. La proposta “Bazoli”, infatti, pur riguardando tecnicamente qualcosa di diverso dall’omicidio del consenziente – e dunque il suicidio assistito – presenta la stessa impronta eutanasia, per di più condita da vistose e colpevoli lacune in merito a cure palliative ed obiezione di coscienza. Il Parlamento, dunque, non può discostarsi da quella “tutela minima” da garantire alla vita umana e, diversamente, significherebbe per la politica essere di incentivo alla morte, allo “scarto”.

Ecco, dunque, perché la posta in gioco sul fine vita in Italia è ancora alta e c’è ancora tanto da giocare. La Camera, così come in generale la politica italiana, non può e non deve permettersi di diventare artefice e complice di spinte eutanasiche, soprattutto quando queste ultime continuano ad essere mascherate dalla frode comunicativa ed ideologica del mantra: “è un diritto da garantire, è un diritto ancora negato”. No. Ciò che va garantito è la cura della Vita umana, la sua salvaguarda e soprattutto la sua dignità. E la dignità, per una vita, non finisce mai, neanche nella peggior condizione di malattia o nell’estrema solitudine.

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Jacopo Coghe