Beppe Sala
(Ansa)
Politica

Quei sindaci che non ci mettono la faccia, come Beppe Sala

Il primo cittadino di Milano, e come lui altri, fanno politica nazionale a spizzichi e bocconi, nascondendo la mano dietro il lavoro nelle proprie città. Ma sognano Roma e dovrebbero ammetterlo

Abbiamo dei sindaci fuori…dal Comune. Nel senso che formalmente vivono in municipio, ma con il pensiero sono fuori. A Roma. Ad apparecchiare il futuro, a concepire alleanze, a stringere rapporti con i possibili compagni di viaggio. Anche un po’ facendosi scudo delle loro rispettive amministrazioni comunali.

Il primo di questi sindaci partito per la tangente senza fare il biglietto al casello, è certamente Beppe Sala. Manager capace, apprezzato quasi da tutti. Che un giorno sì e l’altro pure continua a negare trasferte nazionali: il mio posto – dice - resta palazzo Marino, non voglio lasciare Milano, la politica nazionale non mi interessa personalmente. Se queste sono le parole, i comportamenti però vanno in senso opposto. Da mesi Sala si affaccia sul proscenio nazionale, lancia petardi, tende trappole, pur con il suo stile lombardo, asciutto ed elegante. Si schiera a favore dello ius scholae, alza la voce per il riconoscimento dei figli delle famiglie omogenitoriali, si fa ritrarre con camicia arcobaleno al gay pride, alterna periodi di grande protagonismo a lunghe sparizioni mediatiche, al punto da esasperare lo stesso Pd che pure lo sostiene. Risponde a Letta dicendo che il centro non gli interessa, ma vorrebbe invece un polo ambientalista. Risponde agli attacchi Calenda dicendo al leader pariolino che “il silenzio è d’oro”.

Insomma il sindaco milanese lancia il sasso ma ancora ritira la mano. Come un Cesare perennemente indeciso se varcare il suo Rubicone. Nel frattempo intavola incontri a raffica degni di un leader di partito a tutto tondo, incontri i cui contenuti restano praticamente segreti: riceve Di Maio a Milano proprio mentre Conte incrocia la sciabola con Draghi, e prima ancora accoglie Cottarelli in municipio. E’ in costante contatto, a quanto dicono, con i ministri più draghiani di tutti i partiti. Insomma, a volte sembra quasi che quello del Sindaco sia un secondo lavoro. O meglio un trampolino. Ma non c’è mai nessuna candidatura, nessun passo ufficiale: è tutto derubricato a mero contributo volontario nell’interesse di tutti. C’è ancora qualcuno che ci crede?

Forse è arrivato il momento, per i primi cittadini in rampa di lancio, di adoperare parole chiare. E’ di tutta evidenza che i sindaci più in vista, una rete che da Sala passa per Nardella, Gori e diversi altri (tutti ex renziani oggi sponsorizzati di rimbalzo dallo stesso Renzi) sembrino pronti al grande passo nazionale. Lo dimostrano nei gesti e sostanzialmente anche nelle parole. Ma a fronte di questo proposito non hanno ancora assunto le relative responsabilità. Sono ancora fermi alla strategia sotterranea, che ormai è emersa alla luce del sole come un progetto in stato avanzato. Insomma, i sindaci “impegnati” ci mettono tutto il peso della fascia (tricolore) ma non ci mettono la faccia. Così Beppe Sala giura che resterà inchiodato all’ombra del Duomo, però oggi auspica apertamente un “campo magnetico per aggregare le forze antipopuliste…capace di mettere al centro del suo programma la cosiddetta agenda Draghi”. E’ difficile che un simile desiderio, mentre si intavolano vertici privati col ministro degli Esteri, si limiti ad essere soltanto una considerazione filosofica.

E se invece, al di là di quanto ci viene raccontato, fosse proprio Sala il nuovo Draghi, quello che in un ipotetico governo bis d’unità nazionale, erediterà la fiaccola del draghismo? Se così fosse, abbiate almeno l’onestà di dircelo per tempo. Per citare il famoso film di Totò ambientato in piazza Duomo: non veniamo mica dalla Val Brembana.

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Federico Novella