8 motivi per non fidarsi del Governo Lega-M5S
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8 motivi per non fidarsi del Governo Lega-M5S

Dal premier "prescelto", al bluff del reddito di cittadinanza; dalla impossibile sostenibilità delle spese alla superficialità delle proposte

"I due partiti anti establishment in Italia hanno scelto come capo del governo un novizio della politica, consentendo potenzialmente ai leader dei partiti  di agire come poteri dietro il trono". Il Wall Street Journal la vede così. L’ Unione delle banche svizzere, ha appena sfornato uno studio sull’Italia centrato sulla sostenibilità del debito pubblico che è il vero problema al di là della querelle tra scuole di pensiero e lobby politico-economiche.

Secondo la Ubs è possibile ripagare il debito se il bilancio pubblico solo ha un attivo di 2,5 punti percentuali al netto delle spese per interessi. Gli analisti partono dal presupposto che il nuovo governo aumenterà in un modo o nell’altro la spesa pubblica. E ipotizzano due scenari da “shock fiscale”: se l’incremento resta entro un punto di pil (circa 16 miliardi di euro), la crescita sarà dell’1% nel medio termine e il rating salirà di 30 punti base (cioè lo 0,30%); se invece la spinta equivale al 2% del pil, ci sarà un effetto più forte il primo anno destinato a spegnersi l’anno successivo. Non solo, in questo caso il denaro rincara dell’1% e il debito è destinato a salire oltre il 130%.

Simulazioni, calcoli, ipotesi di scuola valgono come indicatori astratti. In concreto, l’Italia giallo-verde si presenta molto diversa non solo da quella precedente, ma anche da quella uscita dalle urne. Diversa in che modo?

1- Sia Lega sia Movimento 5 Stelle avevano detto “mai più un tecnico a palazzo Chigi”. E adesso propongono un tecnico, un “novizio” come dice il WSJ, che non è stato eletto direttamente né ha mai fatto politica, non parliamo poi dell’arte di governo. La squadra a sua volta è formata da profili simili in alcuni dicasteri chiave: Esteri, Economia, Rapporti con l’Unione europea. Come si spiega? Sono forse “re travicelli” pronti ad assecondare il potere dietro il trono o magari lasceranno il posto a chi manovra tra le quinte. Che fine ha fatto il governo pentastellato inviato da Di Maio al presidente Mattarella? Un bluff. E non il primo.
    

2- Il secondo grande bluff riguarda il reddito di cittadinanza. Intanto, non è “di cittadinanza”, cioè non è elargito a tutti i cittadini italiani, ma solo a certe fasce di reddito ed è legato alla ricerca di lavoro. E poi viene rinviato al 2020 (beato chi starà al governo fra due anni), sarà sperimentale e durerà solo un biennio.

3- Nemmeno la flat tax è così piatta come promesso, rischia di costare tanto da assorbire tutte le risorse pubbliche disponibili e anche di più (dai 35 ai 50 miliardi di euro l’anno), disincentiva la partecipazione al lavoro penalizzando le famiglie con due redditi, rilancia il keynesismo all’italiana, cioè le spese in deficit, come denuncia l’economista Nicola Rossi gran fautore di “una vera flat tax”.

4- E l’euro: si esce o non si esce dalla moneta unica europea? Borghi giura: si esce, ma non lo possiamo mettere per iscritto. I pentastellati dicono ni. Entrambi, in realtà, lo usano come spauracchio.

5- La Tav si blocca, non si blocca, si ridiscute e intanto vengono fermati i lavori. Magari quando si faranno i conti, tra quel che si è già speso e la penale per la rottura dell’accordo, faranno in modo di raffreddare i demagogici bollori. Ma questo vale anche per le grandi opere: come mai Matteo Salvini adesso è pronto a fare marcia indietro rispetto alle promesse elettorali? Allora è vero che i contenuti non contano rispetto al potere puro e assoluto?

6- Anche sull’Ilva le parole sono molte e confuse. Quel che appare chiaro è che l’accordo con ArcelorMittal non piace e potrebbe saltare. Il problema è ancora una volta chi paga. Il M5S vuole che tutti gli altri lavoratori e i contribuenti paghino per anni (non sappiamo quanti) la cassa integrazione straordinaria agli operai di Taranto “in esubero”  impegnati al risanamento ambientale il che, messo così, è poco più che aprire e chiudere buche. Nel frattempo l’acciaio non prodotto a Taranto dovrà essere comprato all’estero. Prezzo stimato circa 8 miliardi di euro l’anno.

7- Immigrazione, il grande tema trasversale che ha spinto milioni di italiani verso la Lega e il M5S. Il contratto di governo contiene proclami e dichiarazioni di principio, non proposte chiare. Prendiamo i rimpatri: c’è scritto che i clandestini sono 500 mila, dunque andranno espulsi, ma non come, quando, impiegando le forze di polizia, l’esercito, affittando aerei come fece la Francia negli anni ’90 (senza grande esito) o con le navi militari. E dove saranno portati, quali paesi li accoglieranno?

8- È stato proclamato che il M5S, avendo ottenuto un successone soprattutto al sud, avrebbe riportato il Mezzogiorno al centro della politica nazionale. C’è chi ha previsto una grande alleanza tra sud e nord-est. Ebbene nel contratto di governo non c’è nulla di tutto questo. Certo, Luigi Di Maio è campano e Conte pugliese, forse la loro provenienza geografica basta a garantire la nuova stagione meridionalista.

L’Italia che emerge dopo due mesi, dunque, è un paese pronto a spendere denari pubblici senza sapere come compensarli, che rinuncia alla grande siderurgia, alle nuove tratte autostradali, a completare l’alta velocità e via dicendo. Un paese ripiegato su se stesso, che guarda a “prima di Maastricht” il che vuol dire agli anni Ottanta quelli in cui il debito pubblico è raddoppiato.

Gli autorevoli economisti giallo-verdi sostengono che il debito si cura con la crescita, eppure proprio quel decennio cruciale ha dimostrato il contrario: era il periodo in cui il prodotto lordo italiano sorpassava quello britannico mentre gli italiani accumulavano debiti in carico alla generazione che oggi è chiamata a ripagarli. Così ci vedono i mitologici mercati che poi sono quei milioni di risparmiatori, per lo più italiani e per un terzo circa stranieri, che comprano i nostri titoli di stato. Al nuovo governo dimostrare che hanno torto.

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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