Pippo Civati: cosa vuole fare da grande
ANSA /Massimo Percossi
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Pippo Civati: cosa vuole fare da grande

La sua uscita dal Pd è stata coerente con quanto detto e scritto in questi mesi. Ma per fare un leader ci vuole altro

C'è chi sostiene che Pippo Civati non abbia la statura del leader politico. Che sia troppo pacato, gentile e radical-chic per imbarcarsi in un'impresa, quella di costruire un nuovo partito a sinistra del Partito democratico, dove sono necessarie determinazione, empatia, capacità di dialogo con le fasce popolari dell'elettorato che un tempo, prima dell'avvento dei Renzi-boys, costituivano la stella polare della sinistra italiana.

Ma dove vuole andare la minoranza dem?


La sua biografia, umana e politica, del resto, parla chiaro: viene da una famiglia molto borghese e molto di sinistra del centro di Monza, usa un linguaggio spesso immaginifico e più creativo di quello che adopera il politico medio italiano, crede veramente a quello che fa e che dice. Nemmeno la sua coerenza politica è in discussione.

Ma è anche sideralmente lontano dagli umori, dalle passioni, dagli interessi di quelle fasce popolari del mondo del lavoro italiano che sono state impoverite dalla crisi, che al limite possono apprezzare maggiormente il modo di esprimersi di Maurizio Landini, che pensano che Matteo Renzi - dal Jobs Act alla buona-scuola - sia un Frankenstein prodotto in laboratorio dall'unione dei Dna di Sergio Marchionne e Silvio Berlusconi.

Se n'è andato per coerenza con quello che ha sempre detto e scritto sul suo citatissimo blog, Ciwati

E dunque? Dunque, nulla. Se n'è andato per coerenza con quello che ha sempre detto e scritto sul suo citatissimo blog, Ciwati. Se n'è andato, forse, nel momento politicamente meno adatto; non nel 2013, quando la sua stella sembrava brillare dopo l'autogoal del 101, ma oggi, quando gli uomini di Renzi si sono già presi il partito e il governo, e i vecchi buoi della sinistra-che-fu se ne stanno scappando dalla stalla. 

Non che Civati abbia bisogno che qualcuno gliele spieghi, queste cose. È troppo intelligente, preparato e intellettualmente narcisista per non saperlo. Il punto è dove vogliono andare queli come lui, che non sono pochi, per lo meno per dare qualche grattacapo a Renzi (se è vero che alle primarie ha preso quattrocento mila voti ed è stato nel 2013 il candidato Pd più votato della provincia di Monza-Brianza) ma non sono nemmeno molti dal punto di vista elettorale, considerato che i Cuperlo, i D'Alema e i Bersani, nel Pd, continueranno a starci, nell'illusione di riconquistarlo, una volta che i lanzichenecchi renziani (così li immaginano) saranno travolti dal malcontento popolare. 

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Pippo Civati fa politica da quando - come si dice - aveva i calzoni corti, a cominciare dai primi passi nell'organizzazione giovanile del Pds per finire all'approdo nel Consiglio regionale della Lombardia, dove ha dimostrato una tigna contro la giunta Formigoni di cui pochi altri politici della sinistra possono vantarsi. Pur non avendo militato nel Pci, per una questione anagrafica, ha sempre avuto il mito del Partito di Gramsci e Berlinguer. Eppure, il suo limite sta tutto nel suo percorso: quello di un ex ragazzo troppo perbene e politicamente leggerino per caricarsi sulle spalle, come Mosé, il destino della diaspora di quello che una volta veniva definito il popolo della sinistra.

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Paolo Papi