Come funziona il permesso di soggiorno per omosessualità
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Come funziona il permesso di soggiorno per omosessualità

Lo status di rifugiato può essere concesso anche a chi scappa da paesi dove i gay sono perseguitati. Ma c'è chi ci marcia

La mia parola contro la tua. Rispetto della privacy e della personale morale vietano alla giustizia di sottoporre chi si dichiara gay a test psicologici per verificarne la veridicità.

Specie se il presunto omosessuale è straniero, in cerca di permesso di soggiorno e arriva da Paesi in cui l'omosessualità è un reato.

Sembra che siano sempre più numerosi i casi di immigrati che, dopo essersi visti respinta la richiesta di permesso di soggiorno in quanto non rifugiati, si appellano alla convenzione dei diritti dell'uomo e rivendicano un'omosessualità spesso falsa pur di non dover lasciare il nostro paese. 

Come funziona la legge sul permesso di soggiorno agli omosessualità

L'escamotage viene offerto su un piatto d'argento dalla stessa legge direttamente dagli avvocati d'ufficio che, a spese degli italiani, vengono assegnati ai migranti dopo che le Commissioni territoriali del Ministero dell'Interno respingono le richieste d'asilo in quanto si tratta di emigrazione per motivi economici.

Ad ammetterlo candidamente sono gli stessi migranti che confermano di essere tutt'altro che gay e che riferiscono di essere stati invitati a frequentare le associazioni gay e a prendere tessere d'appartenenza al movimento Lgbt per appellarsi ai protocolli collegati alla Convenzione sui Rifugiati e per l’Italia al decreto legislativo n.251, 2017.

Secondo quanto recita la legge, infatti, lo status di rifugiato non spetta solo a chi scappa da guerre e persecuzioni politiche ma anche a chi si trovi in pericolo di vita a causa del proprio orientamento sessuale.

Solo in Africa ci sono almeno 33 Stati dove l’omosessualità è reato e in 4 di questi (Mauritania, Sudan, Nigeria e Somalia) è prevista la pena di morte; in un terzo del mondo, ancora oggi essere omosessuali è un reato.

Come aggirare la legge

Una volta che il migrante scopre di poter utilizzare la "carta gay" viene consigliato di frequentare ambienti gay per apprendere le migliori risposte da fornire in sede giudiziaria alle eventuali (poche in nome della privacy) domande circa il proprio orientamento sessuale e il proprio passato persecutorio nel paese d'origine.

Corriere della Sera cita le parole riferite da uno dei coordinatori di un'associazione gay di Roma che ammette: "Nel 99,9 % dei casi i migranti che vengono da noi non sono gay, sono qui solo perché hanno bisogno dei documenti. Per ottenerli però devono risultare convincenti di fronte ai giudici e per chi è eterosessuale e proviene da Paesi dove i gay non sono accettati, non è certo facile. Noi proviamo ad aiutarli a combattere la loro omofobia e a sentirsi a loro agio nei panni gay.

Il giudice in questo modo viene di sovente messo con le spalle al muro perché è quasi impossibile verificare l'orientamento sessuale di una persona in maniera non invasiva e rispettosa dei diritti personali e, il più delle volte, passando da una sentenza all'altra, si finisce per firmare il nulla osta alla concessione dello status di rifugiato.

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Barbara Massaro