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Servirebbe anche una "festa dei figli"

Per ricordarci che l'oggi e il domani devono camminare a braccetto: un figlio bravo e responsabile diventa patrimonio di tutti

La scorsa settimana, mentre stava per andare in edicola l’intervista che ho fatto con Cristina Giuliano al ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, ripassavo Pietro il Grande, l’imperatore che trasferì la capitale da Mosca a San Pietroburgo.

Lo facevo non perché avessi in mente chissà quali dotti collegamenti tra Lavrov e lo zar del Settecento ma perché mia figlia maggiore mi aveva mandato un messaggio su WhatsApp. «Studia questa pagina di storia. Domani ho la verifica e così mi interroghi».

Domenica 13 maggio tocca alle mamme preparare i fazzoletti, è la loro festa, noi papà abbiamo già dato due mesi fa. Ci si sveglia con un abbraccio, una carezza, una parola, un biglietto che riempiono il cuore. Dallo scorso 19 marzo porto in tasca il foglio consegnatomi da mia figlia minore. Ogni tanto lo tiro fuori, lo rileggo, mi commuovo e lo ripiego. «Oggi è la tua festa, auguri», mi aveva detto.

Poi ho fatto come ogni giorno ciao con la mano finché non è sparita dalle scale della scuola (guai ad andar via prima, fateci i conti voi con la sindrome d’abbandono e i conseguenti musi lunghi). E salendo sulla moto, mi sono chiesto: perché in Italia ci sono la festa del papà, della mamma, dei nonni, ma non c’è la festa dei figli? Proprio da noi, Paese definito mammone, non c’è.

Eppure, sono sicuro, sarebbe una festa allegra e sentita da tutti. Se ci pensate, si può non essere genitori ma sicuramente si è figli. Tutti siamo figli. Dunque sarebbe la festa di tutti, dei figli che abbiamo e dei figli che siamo stati. Un figlio è un grande, unico, prodigioso uragano che passa nella vita di un individuo. C’è un prima e un dopo il suo arrivo. Da quel momento niente sarà più lo stesso. Le mie ragazze le guardo e le chiamo le mie meraFiglie. Metteteci pure le ansie, le preoccupazioni, le adolescenze, le ribellioni, le rotture e i nervosismi. Chiudete gli occhi, aggiungete quant’altro di faticoso vi viene in mente. Poi apriteli. Rimane un grande, unico, prodigioso uragano.

L’altra mattina alla fermata del tram di piazza Missori, qui a Milano, aspettavo che scattasse il semaforo e osservavo una donna parlare con un uomo che mi dava le spalle. Lei lo guardava con quell’estasi che si riconosce subito negli innamorati. Aveva uno sguardo traboccante di dolcezza mentre si godeva quel chiacchierare. Si mangiava il suo lui con gli occhi. Scattato il verde, non c’è l’ho fatta a frenare la mia curiosità e ho voluto guardare in viso quel Romeo che aveva conquistato così la sua Giulietta. Era un ragazzino, più alto della donna, identico a lei. Non poteva che essere il figlio. E in quello sguardo mi sono riconosciuto, ho riconosciuto tutti i padri e le madri di oggi, tutte le nostre madri e i nostri padri di ieri.

Dunque, perché non c’è la festa dei figli in Italia? Forse perché i figli insegnano una grande cosa, insieme a tante altre: la responsabilità. E responsabilità vuol dire pensare al loro oggi pensando al loro domani. Vi sembra che l’Italia educhi a pensare al domani? Vi sembra che la politica, le istituzioni, i nostri valori siano improntati su quella responsabilità? Guardateli i partiti e i politici che in questi due mesi si sono incartati nei loro tatticismi postelettorali (perfino quelli che si presentavano come il nuovo). Riguardateli, i partiti e i politici di ieri, come hanno costruito quell’enorme debito pubblico e quell’assurdo sistema pensionistico (chi lo tocca muore) che cadranno sulle spalle dei nostri figli, appunto. Altro che responsabilità.

Dobbiamo anche dire che non si possono dare tutte le colpe agli altri o allo Stato, che ne ha di enormi. Noi singoli, oltre alla responsabilità «privata» che sentiamo nei confronti dei nostri figli, trasmettiamo loro il senso di una responsabilità collettiva?

Per un lavoro (quando c’è) li raccomandiamo invece di insegnare che il loro ruolo devono conquistarselo e meritarselo; li difendiamo dagli insegnanti anche quando hanno torto; li educhiamo alle furbe scorciatoie più che all’impegno; preferiamo privilegiarli considerandoli «roba nostra» senza capire che un figlio bravo e responsabile diventa roba di tutti.
Che sia questo il motivo per cui in Italia non c’è una festa dei figli?

Eppure sarebbe a maggior ragione un’occasione. Non soltanto per celebrare la gioia di un figlio, che in verità si festeggia ogni giorno, ma per ricordarci che l’oggi e il domani devono camminare a braccetto.

L'editoriale del direttore di "Panorama", pubblicato sul numero del settimanale in edicola dal 10 maggio 2018 con il titolo "Figli d'Italia".

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Raffaele Leone