Perché Matteo Salvini non può essere il leader del centrodestra
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Perché Matteo Salvini non può essere il leader del centrodestra

Toni troppo estremi e provocatori per rivolgersi con successo a una platea ampia e liberale. Perché anche l'estremismo dei moderati ha un limite

Si può governare in maglietta e brandendo slogan estremi? Dopo la vittoria nelle Regionali e la candidatura a guidare il centrodestra, pensavamo che Matteo Salvini facesse il cambio di stagione, che togliesse dagli armadi le magliette con gli slogan più contundenti (l’ultimo è più gettonato, quello con il triangolo e l’immagine della ruspa che servirà a “radere al suolo” i campi rom). Spesso e volentieri Salvini usa la parolaccia, perché parla il linguaggio di ogni giorno e le parolacce sono entrate nel gergo quotidiano. Spesso e volentieri Salvini fa le facce, manda a quel paese a gesti e parole i suoi interlocutori, sbuffando e alzando il mento. Spesso e volentieri le sue uscite sono elementari, dirette, qualcuno direbbe perfino rozze. Ma è questo il suo valore aggiunto in politica: la capacità di entrare in sintonia con la “pancia” della gente. E, naturalmente, di individuare a naso i temi che “toccano”.

Non deve stupire neppure che Salvini si accompagni senza complessi a esponenti di Casapound, movimento di estrema destra con evidenti nostalgie da Ventennio. E che non abbia dismesso le magliette, ma continui anche adesso a usare i toni forti, fa pensare che non potrà mai esser lui il successore di Silvio Berlusconi. Il merito storico del Cavaliere è stato quello di mettere insieme tutte le anime del centrodestra nel momento in cui sembrava che dovesse prevalere il post-comunismo della “gioiosa macchina da guerra” travestito da partito borghese.

Ma tornando a Salvini, si può esser sempre così poco “moderati”, così estremi, così provocatori, e poi rivolgersi con successo a una platea ampia di borghesia settentrionale (e non solo) moderata, liberale, antropologicamente di centro? Potrà mai una certa borghesia milanese, per esempio, sentirsi rappresentata da lui? La realtà, sostiene qualcuno, è che i moderati non esistono più. O, meglio, che anche i moderati si “incazzano”, per dirla con Salvini. E la crescita di partiti e movimenti cosiddetti “populisti” come in Francia il Front National di Marine Le Pen e in Gran Bretagna l’UKIP di Farage dimostrerebbe che c’è spazio per sigle e personaggi che danno voce a un “estremismo” dei moderati capace di conquistare Palazzi come l’Eliseo.

Eppure, proprio le ultime battute d’arresto elettorali della Le Pen e di Farage dimostrano che c’è un limite all’estremismo dei moderati, e che una specie di termostato sociale fissa la circonferenza massima raggiungibile dall’espansione del “populismo”. A meno che prima o poi anche Salvini non si adatti a una metamorfosi, non tanto delle idee (molte delle cose che dice e che vengono bollate come estreme sono in realtà ragionevoli) quanto dei gesti e delle parole. Anche lui, prima o poi, dovrà piegarsi al galateo elettorale. Fare il cambio di stagione.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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