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ANSA/ANGELO CARCONI
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Perché Grillo non candida Di Maio a premier

La sconfitta è l'unica garanzia di sopravvivenza del M5S. Per questo Grillo e Casaleggio eviteranno, finché possono, di scegliere candidati vincenti

Chi si aspettava che dalla kermesse di Imola arrivasse l'investitura ufficiale di Luigi Di Maio a futuro candidato premier del Movimento 5 Stelle, deve aver fatto male i conti con la premiata ditta Grillo&Casaleggio. Entrambi sono infatti più che determinati a mantenere ben saldo nelle loro mani il guinzaglio al collo della loro creatura. Come? Facendo di tutto per continuare a perdere bene. A Palazzo Chigi come in Campidoglio.


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Regola n°1: non candidare chi è più popolare

L'ex comico, che si paragona a Noè e promette di salvare il mondo caricandoselo sulla sua arca, delinea dal palco uno strampalato programma di governo. Dice che il reddito dovrebbe essere assicurato prima del lavoro perché poi con un reddito in tasca ciascuno sarebbe libero di scegliersi il lavoro che gli piace. Critica Expo, attacca gli Stati Uniti e invoca l'abolizione della prescrizione come ricetta anti corruzione. Lascia ai big del Parlamento, Di Maio, Di Battista, Taverna, le luci della ribalta, i selfie, gli applausi, le strette di mano solo per affossare ogni loro ambizione di carriera: in fondo perché candidarli se sono così popolari? Magari perché sono quelli con le maggiori chance di vittoria?

Regola n°2: consultazioni on line a garanzia di sconfitta

Ma il punto è proprio questo: Grillo e Casaleggio non hanno veramente voglia di vincere. Con Di Maio candidato premier e Di Battista candidato sindaco di Roma, il rischio di riuscirci davvero sarebbe troppo alto. Invece che alla tv (“la gente, su questo, deve maturare” ha detto Grillo in versione pedagogo), meglio allora affidare la scelta alle rodate consultazioni on line. L'unico strumento in grado di garantire al Movimento la sconfitta al 100% grazie al sofisticato algoritmo per cui “uno vale uno” e chi si è fatto le ossa in questi anni, ha imparato il mestiere e si è fatto conoscere da potenziali elettori, è messo sullo stesso piano dell'ultimo arrivato, basta che sia iscritto al Movimento da almeno un anno.

Regola n°3: lasciare che di liste e candidati se ne occupi Casaleggio

Quando svela il sogno di poter un giorno togliere la sua faccia dal simbolo, a dimostrazione che ormai la creatura è abbastanza grande e forte da poter camminare sulle sue gambe, l'ex comico sta probabilmente solo recitando. La verità è che nel Movimento comandano lui e Casaleggio e non hanno alcuna intenzione di passare il testimone. Candidature e liste resteranno infatti sotto l'attento vaglio della Casaleggio associati. Che, guarda caso, detiene anche il controllo della piattaforma in cui sono raccolte e gestite le votazioni on line. Quando ieri qualcuno ha chiesto al guru milanese se non pensava fosse arrivato il momento di lasciarla in mano ai militanti, lui ha voltato le spalle e se n'è andato.

Regola n°4: fingere che le regole non si possano cambiare

Questo Luigi Di Maio lo sa. E anche se ufficialmente nulla di quello che dice e dirà smentirà mai la parola dei capi, la sua intesa con il ribelle Federico Pizzarotti svela uno spirito meno ortodosso di quanto si sforzi di mostrare. Il sindaco di Parma non nasconde il suo disappunto per come si stanno gestendo le cose a livello locale. L'interpretazione creativa delle regole del Movimento sta infatti portando verso una situazione in cui, sulla scelta del candidato sindaco per le prossime amministrative, ognuno andrà più o meno per conto suo.

A Milano si voterà ai gazebo il prossimo 8 novembre, a Bologna Massimo Bugani è già il prescelto, a Roma, dove i quattro consiglieri uscenti si sono fatti apprezzare dai leader e dalla base per la battaglia agli scontrini di Marino che ha contribuito alle dimissioni del sindaco, la scelta avverrà on line ed è escluso che tra i nomi ci sia anche quello di Alessandro Di Battista.

Regola n°5: ignorare i problemi di chi ha vinto le elezioni (per fargliela scontare)

Metodi diversi che rischiano di disorientare la base e avvalorare il sospetto che nel Movimento 5 Stelle le regole valgono solo a seconda delle convenienze dei vertici. Ma Pizzarotti non è l'unico sindaco a esprimere disappunto. Anche altri non sopportano più le continue minacce di epurazione da parte dei talebani del Movimento. Hanno bisogno di copertura politica per governare le proprie città, perché governare significa anche mediare senza arrivare a farsi bocciare il bilancio dai propri stessi consiglieri come è accaduto al livornese Filippo Nogarin che infatti, a Imola, non si è fatto vedere.

A raccogliere lo sfogo dei primi cittadini, guarda caso, è stato proprio Luigi Di Maio, responsabile enti locali del direttorio, al quale non potranno certo sfuggire i segnali che parlano di un raffreddamento nel gradimento personale di Beppe Grillo e la crescita di quello verso di lui e altri esponenti grillini.

Il fatto è proprio questo: se Luigi Di Maio diventa premier e il Movimento 5 Stelle fosse davvero costretto a governare, per Grillo e Casaleggio sarebbe la fine. La non candidatura del cavallo vincente, con la scusa delle regole e delle consultazioni online pilotate, resta così la loro unica chance di sopravvivenza.

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Claudia Daconto