Perché Di Battista non può essere il candidato sindaco dei 5Stelle a Roma
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
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Perché Di Battista non può essere il candidato sindaco dei 5Stelle a Roma

La base grillina lo invoca a furor di popolo, ma i vertici frenano. E non solo per una questione di regole

I sondaggi, si sa, danno spesso risultati a uso e consumo di chi li commissiona. Per esempio in questi giorni ne stanno girando parecchi su presunti futuri candidati Sindaco di Roma pronti a prendere il posto del traballante Ignazio Marino. Ognuno presenta percentuali diverse, ma tutti concordano su un dato: Alessandro Di Battista, l'unico che in teoria - secondo le regole interne del Movimento 5 Stelle - non potrebbe candidarsi, è quello con le maggiori chance di vittoria.

Di Battista superstar

Di Battista è il volto più movimentista del Movimento. Terzomondista con papà fascista, Dibba – come ama farsi chiamare – è colui che anima e personalizza tutte le proteste a Montecitorio, che ne occupa il tetto in difesa della Costituzione, che esprime comprensione per gli attacchi terroristici dell'Isis e polemizza con il fake di Renzi. Animale da palcoscenico, adora la ribalta e stare al centro dell'attenzione. Non parla, declama. Aspirante attore prestato alla politica, recita spesso la parte del novello Savonarola. L'ultima volta a Ostia, in occasione della fiaccolata dell'onestà contro Mafia Capitale. Dove c'è un riflettore, lui si fionda. L'inchiesta guidata da Giuseppe Pignatone che ha spazzato via mezza classe politica romana di centrodestra e centrosinistra gli ha offerto l'occasione imperdibile di erigersi a paladino della legalità e della trasparenza. E pazienza se a scomparire in un cono d'ombra, eclissati dall'unico vero capo, lui, dell'opposizione grillina all'"incapace" Marino, siano stati i quattro consiglieri pentastellati che da due anni non si perdono una seduta in Aula Giulio Cesare.

La richiesta di deroga al regolamento

Il popolo dei 5Stelle vuole lui, acclama lui, si riconosce in lui. Nei giorni scorsi la casella di posta elettronica della Casaleggio Associati è stata bombardata dalle richieste di deroga al regolamento che impedisce a chi è stato eletto a una carica di candidarsi a un'altra prima del termine del mandato. Per Beppe Grillo non se ne parla, “è una questione di coerenza”. Eppure, da qualche tempo, i 5Stelle sembrano sempre meno disposti a restarci inchiodati. Finita l'epoca delle espulsioni (non si caccia più nessuno), finita quella dello streaming imperante (i panni sporchi si lavano in casa), superato il divieto di andare in tv, tramontato il duopolio Grillo&Casaleggio (c'è un direttorio a 5 di cui Di Battista, insieme a Di Maio, è il principale esponente), pure le regole sembrerebbero avere le ore contate. Anche perché, guarda caso, i risultati migliori in termini elettorali (dalle regionali in Emilia Romagna dello scorso anno fino alle ultime amministrative), il Movimento li ha ottenuti da quando ha cominciato ad assomigliare sempre meno a se stesso.

La paura di vincere

Per tornare a Roma, Di Battista giura di non avere alcuna intenzione di fare il salto della poltrona per candidarsi al Campidoglio, ma sostenere come ha fatto Di Maio che "ci saranno altri Alessandro Di Battista” con le sue stesse possibilità di vittoria fa abbastanza ridere. La base grillina non ci crede e, tutto sommato, avrebbe anche il diritto di poter dire la sua. Grillo dovrebbe infatti chiedere ai suoi iscritti se la regola che impedisce a Dibba di candidarsi vada mantenuta o meno. Altrimenti, resterà il sospetto che il M5s non voglia davvero vincere. Governare Roma è senza dubbio molto più complicato che opporsi a chi lo fa. Una responsabilità che già nel 2013 i grillini non vollero assumersi. Non poterono assumersi. Accadde quando il neo primo cittadino offrì loro un assessorato e nonostante l'esito positivo di un referendum in rete, Grillo obbligò il "povero" capogruppo De Vito (già candidato sindaco allora e, in teoria, anche futuro) a rinunciare. Ci risiamo?

Regole più importanti di Roma

Coerenza per coerenza, se è vero che Roma deve essere strappata agli appetiti dei partiti che finora l'hanno spolpata svendendola al miglior offerente e che solo il Movimento può garantire che ciò non avvenga più, allora l'unica candidatura possibile è quella di Di Battista. Non perché lui sia l'unico in grado di svolgere un compito del genere (questo potrebbe essere giudicato solo alla prova dei fatti), ma perché è quello che, si votasse oggi o domani, prenderebbe più voti. Prendere più voti degli altri è ciò che serve per vincere le elezioni e quindi realizzare quello che i 5Stelle dicono di voler fare: levare di mezzo Marino e "salvare" Roma. Anche ammesso che la ragione vera e profonda per non candidare Ale Dibba non abbia niente a che fare con la preoccupazione di doversi sobbarcare gli oneri, le critiche, gli insulti, le minacce (chiedere al Marziano) di chi amministra, impedendogli di correre il Movimento darebbe prova di tenere più a quattro regolette che al destino della Capitale d'Italia. Che si può derogare al divieto di andare in televisione ma non a quello di candidare uno, l'unico, che può strappare la città ai tentacoli mortiferi destri e mancini.

Un altro Di Battista a Roma non c'è

Perché sia chiaro, il M5s potrà anche diventare primo partito come in Liguria, Campania e Puglia. Ma non avrà il sindaco della Capitale come non ha ottenuto alcun governatore. Per carità, le proposte, il programma saranno pure importanti, ma se in Campania il candidato fosse stato Di Maio, forse a quest'ora non staremmo ancora tutti a romperci la testa sulla sospensione di De Luca. A Roma un altro che possa prendere più voti di Di Battista, compresi quelli dei delusi del PD, non c'è. Il dilemma resta dunque: vincere o non vincere?

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Claudia Daconto