Paolo Becchi: la barba del grillismo
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Paolo Becchi: la barba del grillismo

E' il professore più ascoltato da Grillo e la sua opera il pensiero del Movimento - la guerra Grillo-giornalisti - i grillini in Parlamento - l'editoriale di Giorgio Mulè -

Parla e scrive come i contadini nella capitale che volevano fare la rivoluzione bolscevica e infatti Silvio Berlusconi è da «eliminare», Mario Monti è un «criminale catilinario», il governo «uno spettro che si aggira» e Giorgio Napolitano una specie di cospirazionista che vuole instaurare una strategia della tensione per impedire l’affermarsi del Movimento 5 Stelle.

E verrebbe voglia di derubricarlo come un professore in cerca d’identità, i pensionati della rivoluzione alla Oreste Scalzone, Franco Piperno e alla Toni Negri, se non fosse che di Beppe Grillo, Paolo Becchi, docente di Filosofia del diritto all’università di Genova, ne è diventato l’intellettuale organico, l’Antonio Gramsci del grillismo e tutti i suoi libelli l’opera omnia dell’apocalisse a cinque stelle, il testamento di uno sciamano oramai elevato a guru. Perfino Gianroberto Casaleggio, che rimane il custode della dottrina del Movimento, lo ha istituzionalizzato.

Ed è infatti distribuito dalla Casaleggio Associati quel manifesto che aizza i grillini a difendersi dal «colpo di stato»,  quel “Nuovi scritti corsari” in vendita solo su Amazon, che raccoglie gli articoli e tutti gli schizzi di bile di Becchi, unico professore che abbia avuto l’imprimatur di Beppe Grillo e l’autorizzazione a scrivere sul blog che per il Movimento rimane infallibile, l’ortodossia del «capo Grillo» come lo chiama Becchi. Anche la televisione che nel linguaggio di Grillo «sputtana» ha scoperto la telegenìa di questo professore, tanto da invitarlo e farne l’alter ego del comico, il Massimo Cacciari dell’altra repubblica marinara.

E solo Becchi a differenza di Cacciari è riuscito a fare di Hegel non un filosofo ma uno strepito e della Germania che rimane la patria della filosofia (quella stessa Germania in cui si è specializzato in filosofia) la nazione del Trilateral e del Bilderberg che ha messo Mario Monti al governo anche questo con «un colpo di stato», anzi, che avrebbe telefonato a Napolitano ordinandogli: «Giorgio…Liberer Giorgio, eine shone Frau? Che ne dici di Mario Monti?». Ed è tutto un invito allo sputo («sputare a Mario Monti») ad accerchiare il congresso che poi sarebbe il palazzo senza escludere «l’annientamento del ceto politico esistente con qualsiasi mezzo anche con le armi» o alla cospirazione, questo zibaldone di scritti corsari, il mondo pensato come una sorta di imbroglio come Matrix che non a caso rimane il film preferito dai deputati grillini insieme allo Zeitgeist, documentario a metà tra l’opera di fantasia e il delirio organizzato che rappresenta l’America e la finanza come un complotto sionista.

Sempre la barba definisce Becchi, quella barba che è la cifra del pensare e che lo fa sembrare la caricatura di Marx all’italiana, quella prerogativa del rivoluzionario che ha scoperto la rete e che come Casaleggio profetizza la «guerra senza guerra, fatta da forze oscure», quella barba che Becchi si lascia crescere a metà tra l’ascesi di Enzo Bianchi e il trash di Roberto d’Agostino, perché solo in Italia la barba non è mai sinonimo di saggezza, ma sinonimo di stupidità, della vecchiaia andata a male.

Ma è l’Europa e l’euro «divinità malvagia», l’ossessione di Becchi e di un’intera comunità che sogna l’uscita dall’Europa e dalla moneta unica come i leghisti sognavano la Padania libera «grazie a una liberatoria prevista nell’articolo 50 del trattato di Lisbona» e il ritorno alle piccole patrie «perché continuando così diventeremo una colonia della Germania».

Così, se potesse, pure Napolitano finirebbe in quella Norimberga già invocata da Grillo e che il suo professore vorrebbe mettere sù per tutti gli intellettuali che «hanno subito una mutazione genetica», quella stampa paragonata da Grillo alla lupa di Zanna Bianca e che per Becchi «tutto occulta perchè c’è un bollettino di guerra, ma la stampa italiana finge che non stia succedendo nulla». Passa solo da quel blog la verità e non sarebbe per nulla «brutta» l’idea di un giornale assoluto impaginato dalla Casaleggio Associati con Becchi nel ruolo di ministro della Cultura, un Giovanni Gentile infuriato.

Tutto è uscito fuori da quel blog: dagli assorbenti riutilizzabili, all’eliminazione della plastica, dalla decrescita infelice di Maurizio Pallante alle teorie economiche di Mauro Gallegati, fino a Becchi, adesso elevato al rango di pensatore a furor di popolo. E un giorno bisognerebbe metterli in fila tutti gli artisti, i professori che capeggia Becchi, da Giorgio Albertazzi a Mina, Celentano, Ramazzotti, fino a quell’idolo della sinistra come Ivano Fossati che aveva concesso la “Canzone Popolare” come inno al Pd e che adesso segue Grillo come un salvatore. Eppure c’è da sperare che mai nessuno tra di loro abbia mai pensato che, come scrive Becchi in “Morte cerebrale e trapianto degli organi” sia necessaria una nuova «definizione della morte» ritenuta obsoleta perché risalente «agli anni sessanta quindi abile escamotage di definire morti gli esseri umani che di fatto ancora non lo sono, in modo da legittimare l’espianto degli organi». Insomma, farebbe perfino compassione come un nonno che ha troppo studiato adesso rincretinito, se questo professore immortalato con i gatti non fosse l’ideologo del primo partito d’Italia che pensasse al parlamento alla stregua di un bivacco di manipoli e non suggerisse ai deputati di sfuggire dal parlamento definito «trappola per topi» da cui scappare perche «il movimento non deve essere istituzionalizzato.

La nuova resistenza è appena cominciata. Siamo in guerra ed meglio una fine spaventosa, che uno spavento senza fine!». Ed è «fine», «spavento», «tsunami», «apocalisse», «siete circondati», in un crescendo di paura, tutto il pensiero di Becchi e del M5S, la barba di un babbo natale che internet ha trasformato in un orco digitale.

(Twitter: @carusocarmelo)

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Carmelo Caruso