Ora lo Stato islamico sta perdendo terreno
Le sconfitte in Siria e in Iraq. Il diminuito afflusso di foreign fighters. I gravi problemi finanziari. La fine dell'Isis è più vicina?
La campagna militare contro lo Stato islamico potrebbe essere a un punto di svolta. Ne sono convinti Brett McGurk, l'inviato speciale della Casa Bianca in Siria e in Iraq, e Didier Le Bret, il capo della diplomazia francese. A diffondere un cauto ottimismo tra gli esperti impegnati nel contrasto all'organizzazione di Al Baghdadi ci sono alcuni fattori avvenuti in Siria e in Iraq dopo la decisione della Russia di entrare con i boots on the ground in Siria e gli atti di terrorismo che hanno insanguinato Bruxelles e Parigi che hanno finito per innalzare il livello di allerta degli apparati di intelligence occidentali.
ARRETRAMENTI TERRITORIALI
Il primo fattore che spiega il relativo indebolimento dello Stato islamico - secondo Brett McGurk - sono le sconfitte militari subite tra la fine del 2015 e i primi mesi del 2016. La prima città a essere liberata è stata Kobane, nel Kurdistan siriano e al confine con la Turchia, verso la fine di gennaio 2015, grazie alla determinazione dei peshmerga curdi e al supporto dell'aviazione americana che insieme ruppero l'assedio sulla città da parte dei miliziani dello Stato islamico. Quella di Kobane fu la prima di una serie di sconfitte militari che ha subito l'Isis. La sua importanza non è stata strategica, è stata però simbolica. Per la prima volta i curdi dimostrarono che gli uomini di Al Baghdadi potevano essere sconfitti.
Ci sono un sacco di francesi che stanno tornando indietro. Non è più come all'inizio quando le paghe elevate e il mito di invincibilità sembravano inscalfibili
Nel corso del 2015 e nei primi mesi del 2016, in Siria, tra ripiegamenti e controffensive, sono cadute anche Palmira, importante perché sulla via tra Homs e Damasco, e Sinjar, sull'autostrada 47, tra le montagne yazide teatro nel 2014 di una brutale repressione da parte degli uomini di Al Baghdadi.
Nello stesso periodo in Iraq, grazie all'alleanza spuria tra le milizie sciite e gli uomini dell'esercito iracheno, sono cadute invece Tikrit, ex villaggio natale di Saddam Hussein, e Ramadi, ex territorio irrendento sunnita del dopoguerra iracheno. La stessa Mosul, capitale dello Stato islamico in Iraq dall'estate 2014, è oggi sotto assedio da parte dell'esercito iracheno, che ha già sottratto all'Isis il controllo della più grande diga del Paese, quella dove andremo noi italiani. Complessivamentre, nell'ultimo anno, si calcola che l'Isis abbia perso circa il 15% del territorio a cavallo tra Siria e Iraq. La narrazione sulla sua invincibilità - uno dei fattori di maggior successo propagandistico tra le masse sunnite - sta entrando per la prima volta in crisi. Come dimostrano anche i dati sull'afflusso di foreign fighters nel Califfato.
AFFLUSSO DI FOREIGN FIGHTERS
Secondo un recente studio di un think tank vicino al Pentagono l'afflusso di combattenti, dall'Europa, dall'Africa, dall'Asia, verso le zone controllate dal Califfato sarebbe crollato del 90% nel corso dell'ultimo anno. Saremmo passati da circa 2000 combattenti stranieri che, nel marzo 2015, si recavano in media nel Califfato ai circa 200 dello stesso mese del 2016.
Hanno contribuito a questa diminuzione del numero dei nuovi combattenti tra le fila dell'Isis - sul quale concordano la gran parte delle intelligence occidentali - alcuni fattori come l'efficacia dei bombardamenti a tappeto sulle aree e sulle raffinerie controllate dall'Isis e la stretta della Turchia lungo il confine siriano. Tutti fattori che hanno prosciugate le casse (un tempo) ricchissime dello Stato islamico, i cui proventi derivavano, e derivano tuttora, dalla tassazione sui camionisti e sui commercianti delle aree controllate, sul traffico di opere d'arte ma soprattutto sulla rivendita - sempre più difficile - del petrolio a basso prezzo lungo il confine turco.
PROBLEMI FINANZIARI
Non che si possa ancora cantare vittoria, ma i problemi finanziari dello Stato islamico, a seguito delle sconfitte subite e della diminuzione dei finanziamenti da parte dei Paesi del Golfo, starebbero spingendo per la prima volta molti miliziani che erano stati attirati anche dalle paghe elevate (circa 300-400 dollari al mese) a fare il viaggio inverso verso i loro Paesi di provenienza o i loro villaggi in Siria e in Iraq.
«Ci sono un sacco di francesi che stanno tornando indietro. Non è più come all'inizio quando le paghe elevate e il mito di invincibilità sembravano inscalfibili» ha sintetizzato l'ambasciatore francese Le Bret. La necessità di non tagliare eccessivamente le paghe dei combattenti e dei dipendenti che lavorano nelle raffinerie e nell'apparato statuale dell'Isis ha prodotto, nel cosiddetto Siraq, un risultato che in prospettiva potrebbe essere letale per il futuro dell'organizzazione: l'esplosione della tassazione sui commercianti per far fronte alle rinnovate esigenze di bilancio e la diminuzione dei servizi offerti alla popolazione, al fine di non tagluare troppo le paghe dei combattenti, la vera casta dominante del Califfat. La stretta fiscale e repressiva - ragionano a Washington - potrebbe accelerare la rivolta della popolazione nelle zone controllate dall'Isis.
IL RISCHIO DELLA TRANSIZIONE POST-ISIS
C'è però un fattore che preoccupa fortemente le intelligence occidentali, qualora l'Isis dovesse essere sconfitto nei suoi territori: l'esplosione delle violenze settarie tra le milizie sciite e quelle curde nelle zone liberate dall'Isis, di cui abbiamo avuto già numerose avvisaglie. «La transizione post-Isis in quelle aree potrebbe dare il via uno scenario di tipo libico», con scene di saccheggio e devastazione imprevedibili sia a Raqqa che a Mosul, ha sintetizzato McGurk, l'inviato speciale della Casa Bianca. Il futuro insomma è ancora pieno di incognite. Ma il mito dell'invincibilità dello Stato islamico è finalmente entrato in crisi. Il 2016 sarà l'anno nero degli uomini in nero?