Nucleare: l'asse arabo-israeliano contro l'Iran
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Nucleare: l'asse arabo-israeliano contro l'Iran

Mentre a Ginevra si cerca un accordo storico con Teheran, Israele e Arabia Saudita stringono un’intesa in funzione anti-iraniana. Complice il grande assente americano dal gioco mediorientale

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Esistono due versioni per i colloqui in corso tra i rappresentanti dell’Iran e il cosiddetto P5+1 - Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina, più la Germania - sul disarmo nucleare e il conseguente allentamento dell’embargo e delle sanzioni internazionali comminate alla Repubblica degli Ayatollah.

 

Secondo la prima versione, quella “light”, i colloqui di Ginevra sono un vero passo in avanti tra due mondi, un tempo così distanti, che oggi riescono finalmente dialogare e a spalancare le porte alla pace in Medio Oriente. E dunque l’Iran è ormai pronto al grande passo in avanti per avvicinarsi all’Occidente come potenza pacifica e raccogliere le sfide del XXI secolo. A questa versione si attengono: il segretario di Stato degli Stati Uniti, John Kerry, il presidente della Repubblica Islamica, Hassan Rouhani, e il responsabile dell'Agenzia Onu per il nucleare (AIEA), Yukiya Amano, il quale spera addirittura di concludere oggi stesso un accordo.

 

La seconda versione, quella più scettica, vede invece ribaltate le attese sul dialogo intorno al nucleare e non nutre alcuna speranza di concordia tra i soggetti dialoganti, i quali - è già annunciato - si incontreranno di nuovo il 20 novembre per tracciare un quadro di massima e un percorso chiaro verso l’allentamento sanzionatorio al pluriennale embargo. A questa versione aderiscono Francia, Israele e Arabia Saudita.

 

I francesi in particolare, attraverso il ministro degli esteri Laurent Fabius, già da molti mesi (potremmo dire anni) sono ben sintonizzati sugli eventi geopolitici e geo-economici che attraversano l’Africa e il Medio Oriente e, forse meglio di altri, hanno il polso della situazione di quanto accade oltre il Mediterraneo, perché è nel loro interesse. Per questo Fabius, nel fine settimana aveva raffreddato a mezzo stampa gli entusiasmi di chi (leggi Stati Uniti) sbandierava i progressi sul tema, parlando di una “politica estera francese indipendente”.

 

La posizione degli USA
La Casa Bianca è bramosa di risultati diplomatici significativi, dopo gli insuccessi inanellati uno dietro l’altro in Africa e Medio Oriente: il golpe-non golpe in Egitto, l’attacco-non attacco in Siria, il dialogo-non dialogo con l’Iran, la difesa-disimpegno con Israele. Al presidente Obama serve una linea vincente in politica estera che ne riscatti la percezione di sbandamento e decadenza che l’America proietta oggi, perché sa che qualcuno finirà per crederci e questo rischia di danneggiare i suoi interessi globali nel lungo termine.

 

Già oggi il fronte delle alleanze occidentali è disunito e lo scetticismo regna sovrano. Di questo passo, qualcuno potrebbe volersi sganciare dall’influenza americana e rendersi del tutto indipendente, formando politiche autonome, senza più consultare prima gli yankee. Per capire gli umori di questi giorni, basta ascoltare Israele.

 

“Capisco che gli iraniani siano molto soddisfatti di come stanno andando i negoziati di Ginevra, d’altronde hanno ottenuto ciò che volevano pur non dando alcuna garanzia sul fatto che ridurranno le loro capacità nucleari. Così l’Iran ha fatto l’affare del secolo mentre alla comunità internazionale non resta che un pessimo affare. Israele si rifiuta di accettare un accordo del genere, e so che quello che dico è condiviso da molti altri Stati del Medio Oriente, anche se non viene espresso pubblicamente”.

 

Israele e l’alternativa strategica
A parlare è il premier israeliano Benjamin Netanyahu e gli altri Stati cui si riferisce sono, anzitutto, l’Arabia Saudita. I toni sono quelli dell’inevitabilità: Tel Aviv sa bene che gli Stati Uniti in questa fase preferiscono fare concessioni scommettendo sull’affidabilità dell’Iran e, pertanto, non vogliono sentire la Cassandra israeliana sulle conseguenze di una politica filo-iraniana.

 

Israele non può permettersi di rischiare, perché in gioco c’è la sua sopravvivenza. Dunque, agisce per la propria sicurezza: i servizi segreti hanno sabotato e sabotano gli impianti nucleari dell’Iran, alcuni uomini chiave iraniani - scienziati, militari e politici – sono morti in circostanze misteriose (se una bomba o una pallottola possono definirsi ‘misteriose’) e bombardamenti israeliani hanno colpito in Siria colonne di convogli del regime, che trasportano armi o altre tecnologie in mezzo al caos della guerra civile.

 

Tel Aviv, per uscire dall’isolazionismo cui è costretto dagli Stati Uniti, guarda ora con crescente simpatia a Ryad: i sauditi sono delusi quanto Israele dal comportamento americano e, vuoi o non vuoi, qualcuno dovrà colmare il vuoto e provvedere a regolare i rapporti di forza in Medio Oriente. Per il regno sunnita d’Arabia Saudita, una repubblica sciita come l’Iran che prospera e costruisce bombe non può essere concepita. Così come preoccupano le ingerenze di potenze come Turchia e Russia.

 

La posizione dell’Arabia Saudita
Così, oggi sono più gli aspetti che avvicinano Arabia Saudita a Israele di quanti non siano i punti che li dividono. Tel Aviv osserva con interesse l’attivismo saudita: Ryad ha buoni rapporti con i militari egiziani e fornirà loro soldi e armi anche in futuro, crede ancora nella caduta di Assad e fa di tutto per foraggiare i ribelli, compra armi e tecnologie da mercati alternativi agli Stati Uniti (ai quali in ogni caso ha appena fatto un ordine per 7 miliardi di dollari), gioca una partita delicata con la Francia attraverso le società energetiche.

 

Ma, soprattutto, ha provocato un piccolo terremoto – di cui non si parla abbastanza – quando ha rifiutato un seggio al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, affermando: “le modalità, i meccanismi d’azione e gli standard doppi esistenti nel Consiglio di sicurezza impediscono di svolgere le proprie funzioni e assumersi le sue responsabilità nel preservare la pace e la sicurezza internazionale”. I sauditi dicono il vero ma, sconfessando l’ONU, hanno di fatto dimostrato di aver accresciuto il proprio potere e di essere pronti a una politica di forza in Medio Oriente.

 

Perciò, ecco che si va formando in Terra Santa un vero asse arabo-israeliano. Di converso, il rischio è che alla base di questo accordo tra Arabia Saudita e Israele vi sia soprattutto il corridoio militare necessario a Israele per attaccare Teheran, con un possibile ruolo attivo saudita. Altro che pace.

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Luciano Tirinnanzi