Jacek Olczak parla con l’autorità di un veterano e l’entusiasmo di un neoassunto. Lavora in Philip Morris International da una vita: dal 1993, 32 anni e non sentirli. «Sono passati veloci, come uno schiocco di dita. Come guardare un bel film la domenica pomeriggio» confesserà a Panorama al termine di una conversazione senza giri di parole, coerente con il suo stile diretto.
Era in azienda quando la rivoluzione era ancora una visione, il lampo di un’idea. Era lì nel 2008, quando si decise che era necessario inventare un’alternativa alle sigarette, accendere la traiettoria per spegnerle per sempre. Da allora, è stata investita un’enormità di denaro: 14 miliardi di dollari per sviluppare, supportare scientificamente e commercializzare prodotti senza combustione. Oggi sono venduti in 95 mercati, con circa 38,6 milioni di utilizzatori adulti; solo in Italia, oltre 2 milioni di persone hanno scelto Iqos e detto addio alle vecchie bionde. Quell’idea, che l’attuale ceo dell’azienda ha visto germogliare e crescere, che sta portando avanti con convinzione e caparbietà, procede spedita per arrivare lontano.
Giacca nera su camicia bianca, occhi fissi sul suo interlocutore, eloquio veloce in un inglese ineccepibile dal riconoscibile accento polacco, prima di prendere il timone ha ricoperto gli incarichi più prestigiosi. Un cursus honorum vecchio stile, da fedelissimo, senza salti dalla casacca di una multinazionale all’altra: presidente per l’area dell’Unione europea, responsabile finanziario e capo delle operazioni. Un direttore d’orchestra che da giovane amava suonare il basso: un ruolo per cui serve un carattere da ribelle, l’irriverenza d’interferire con le note per spezzare i soliti ritmi.
Olczak, perché un’azienda delle vostre dimensioni è arrivata a cambiare musica, a decidere di smantellare il suo business principale? Va bene la reputazione o la responsabilità sociale, però il profitto segue altre logiche.
La storia dell’umanità è una sequenza di pochi coraggiosi che hanno avuto la forza di pensare in modo diverso. Senza la curiosità d’immaginare strumenti migliori per vivere, probabilmente saremmo ancora fermi all’epoca delle caverne. Per fortuna, non abbiamo ascoltato quanti ci criticavano e siamo andati avanti per la nostra strada. Al momento, circa il 40 per cento dei nostri profitti arriva dai prodotti senza fumo. È un risultato imponente per qualunque standard industriale.
Se siete tanto coraggiosi, perché non voltare pagina adesso, non smettere subito di produrre le sigarette anziché spostare in avanti il momento giusto per farlo?
Perché qualcun altro occuperebbe quelle quote di mercato che lasceremmo vuote, senza andare a risolvere il problema del fumo. Il passaggio è tanto necessario quanto graduale. Nessuno ci si può accusare di ipocrisia: abbiamo scelto per il debutto di Iqos l’Italia, dove un nostro marchio, Marlboro, era fortissimo. Siamo andati a cannibalizzare noi stessi, avremmo potuto evitarlo.
È riuscito a spiegarsi perché, nonostante gli ormai indiscutibili danni per la salute, le persone faticano a smettere di fumare o non considerano nemmeno la possibilità?
Se si vuole realmente risolvere un problema, occorre innanzitutto comprendere come nasce. Nel caso del fumo, è necessario comprendere qual è il bisogno. Occorre sezionarlo, indagarlo senza preconcetti.
Senza trascurare un fattore non da poco: la nicotina dà dipendenza.
E non è priva di rischi, ma non è la principale responsabile delle malattie correlate al fumo. Non sono io a dirlo, ma la scienza. Per questo abbiamo investito nei prodotti a rischio ridotto come quelli che riscaldano il tabacco senza bruciarlo o, più di recente, i sacchetti di nicotina che annullano qualunque inalazione. In Svezia, dove soluzioni di questa categoria esistono da oltre 30 anni, hanno essenzialmente cancellato il fumo, portandolo a tassi inferiori al 5 per cento.
In compenso, l’Unione europea preferisce un atteggiamento radicale, poco incline ad assecondare le sfumature del bisogno dei suoi cittadini. La strada sembra essere quella dei divieti a tappeto e di una tassazione più rigida per scoraggiare il consumo.
Tutti i Paesi che sono andati in quella direzione hanno sperimentato effetti contrari all’obiettivo. Si sono sviluppati massicci traffici illeciti gestiti della criminalità organizzata, che spesso hanno finanziato organizzazioni terroristiche. Intanto, i governi hanno perso soldi per gli incassi mancati. Penso all’Australia, oppure alla Francia. L’alternativa è ricordarsi che il consumatore è sovrano e va messo in condizione di fare scelte consapevoli e informate. È una questione di mentalità, una contrapposizione tra approcci opposti.
Si spieghi meglio.
Negli Stati Uniti, ogni innovazione è vista come un’opportunità. Ci si chiede quante persone possono adottarla, come può migliorare la loro vita. La si mette alla prova nel mondo reale e a quel punto le si costruisce attorno la giusta cornice di regole. L’Ue, invece, si chiede dall’inizio cosa può andare storto. Non sorprendiamoci se poi il nostro continente rimane indietro nella corsa verso il futuro. Al Forum economico mondiale di Davos qualcuno ha detto che l’Europa è la Silicon Valley dei regolamenti.
Nonostante le diffidenze e gli ostacoli, Philip Morris ha comunque costruito un ecosistema oltre le sigarette.
È successo quando abbiamo trovato interlocutori disponibili a costruire un dibattito pubblico. Si prenda il Giappone, dove il tasso di fumatori si è dimezzato nell’arco di dieci anni. O di nuovo gli Stati Uniti, dove abbiamo superato i più severi livelli di scrutinio e revisione da parte delle autorità. In altri casi, è stato ritenuto irricevibile darci ragione, affermare pubblicamente di essere d’accordo con noi. Alcuni ministri della Sanità sono troppo impegnati a condurre esclusivamente una lotta contro l’industria per considerare di approfondire le nostre proposte. È come se avessero di fronte un’insormontabile barriera emotiva.
Come si colloca l’Italia in questo scenario di attitudini geografiche variabili, di aperture e chiusure a macchia di leopardo?
È un Paese in cui è ammesso raccontare ai fumatori i nuovi prodotti mentre li si invita ad abbandonare quelli tradizionali. È la ragione per cui possiamo puntare su Iqos e altre soluzioni innovative. È quello che emerge dai dati: negli ultimi anni si è assistito a un calo significativo delle sigarette, sostituite dai prodotti evoluti. E poi l’Italia rimane per noi un punto di riferimento strategico in un senso più ampio.
Si riferisce ai vostri investimenti?
La metterei in termini meno vaghi. Il nostro impianto produttivo di Bologna è il più grande investimento ex novo fatto in Italia in questo secolo. È interamente dedicato ai prodotti senza combustione ed esporta in oltre 50 mercati. Non solo: abbiamo speso nella filiera agricola italiana oltre 2 miliardi di euro, generiamo occupazione per circa 41 mila persone a livello nazionale e nel nostro centro d’eccellenza vicino Bologna siamo riusciti a trasferire tante competenze del territorio nella ricerca e nello sviluppo. E poi dobbiamo pagare un tributo di gratitudine alla vostra storia, è stata per noi un motivo d’ispirazione.
Ha in mente un episodio in particolare?
La vicenda di un italiano molto celebre. Centinaia di anni fa sostenne che la terra gira intorno al sole e non viceversa. Fu processato e quasi ucciso dalle persone più istruite dell’epoca. C’è voluto tempo per confermare che avesse ragione. Lo stesso tempo che ancora si perde a causa dei pregiudizi.
Esiste un qualche antidoto?
Per me è la curiosità, un’insoddisfazione perenne di fronte alla realtà, la necessità di scoprire cose nuove. Il mio cervello è di gran lunga più giovane dei miei capelli.
