Nomine: la discontinuità continuista di Renzi
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Nomine: la discontinuità continuista di Renzi

Dove diavolo è il fondamentale salto dai manager (pre)scelti a quelli selezionati?

 

Gli ingredienti delle nomine di Matteo Renzi? La rottamazione di vecchi manager fedeli ad altri poteri ormai tramontati (manager che avrebbero fatto carte false pur di restare al posto di comando). Il ricambio di sette su otto, per dare un segnale di discontinuità. Poi una spolverata di facile cura dell’immagine, che va oltre il pensionamento degli ex, nella scelta di tre donne alla presidenza di colossi come Eni, Enel e Poste. E per finire, un generale abbassamento dell’età media ai vertici. Be’, tutta qui la novità di Renzi? Francamente, non è cambiato nulla. Di sostanziale. Prima era la politica che cooptava i suoi fedelissimi, anche attingendo a bacini che con la comprovata abilità manageriale non avevano nulla a che vedere (e in tante nomine dentro i Cda questa rete bilanciata di amicizie e politica era ancora più evidente). Adesso, invece, è come prima. Serve a poco che il colore delle nomine tenda (pur blandamente) al rosa, perché non cambia granché passare dal “tutto fuorché donna” al “tutto purché donna”.

Qui non è un problema di qualità individuali. Tutti i commentatori si sono concentrati nella disamina (sovente sulla base delle proprie “simpatie”) di pregi e dispregi personali. Mauro Moretti è rinomato per la sua bravura, a dispetto delle recenti polemiche sull’entità dei suoi emolumenti, quindi è generalmente considerata una buona notizia la sua permanenza nel club dei top manager trasmigrando da Ferrovie a Finmeccanica. Tutti giurano sulla bontà come conduttori d’azienda di Descalzi e Starace, che a preparazione e efficienza possono sommare il valore aggiunto della conoscenza della macchina, in quanto di provenienza interna (rispettivamente a Eni e Enel). Per il resto, dall’alto scendendo giù per i rami (e considerando anche le presidenze), è evidente la preoccupazione di accontentare trasversalmente diversi centri di potere politico, economico, sociale. Da Confindustria al Sindacato, dal clan dei fiorentini renziani alle segreterie dei partiti.

E quindi? E quindi non è cambiato nulla, davvero. È andato in soffitta il vecchio blocco di potere di nomina e quindi clientele (non del tutto, se è vero che tra i nomi più evocati per giustificare o spiegare certi inserimenti o certe conferme ci sono il presidente Napolitano e Massimo D’Alema). E è subentrato un nuovo blocco, che dietro la parvenza di una rivoluzione rosa (femminile) e verde (d’età), ha dimostrato di comportarsi più o meno come quello che lo ha preceduto. Adottando il sistema della “chiamata diretta” invece che della gara trasparente internazionale. Dove sono, nei nuovi organigrammi, i formidabili italiani che sono andati all’estero a farsi una strada lontano dalle raccomandazioni della famiglia e della politica? Dove sono quelli che non hanno conoscenze potenti ma possono vantare cv da paura? Dov’è il tentativo dell’Italia di Renzi di mettersi al passo con il mondo avanzato in cui ciò che conta è il merito e non il nome, i risultati e non le tessere di partito o gli abbonamenti ai salotti?

Dov’è il fondamentale salto dai manager (pre)scelti a quelli selezionati?

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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