Napolitano bis: il testo e il video del discorso di insediamento
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Napolitano bis: il testo e il video del discorso di insediamento

Standing ovation dell'assemblea e un forte richiamo a tutte le forze politiche ad assumersi le loro responsabilità  - I commenti in rete -  Lo speciale sul Quirinale - Le pagelle - I retroscena - Napolitano, la fotostoria - Le proteste (immagini)

    Signor Presidente,
   Onorevoli deputati,
   Onorevoli senatori,
   Signori rappresentanti delle regioni d'Italia,

Lasciatemi  innanzitutto esprimere - insieme con un omaggio che in me viene da  molto lontano alle istituzioni che voi rappresentate - la gratitudine  che vi debbo per avermi con così largo suffragio eletto Presidente della  Repubblica. E' un segno di rinnovata fiducia che raccolgo  comprendendone il senso, anche se sottopone a seria prova le mie forze :  e apprezzo in modo particolare che mi sia venuto da tante e tanti nuovi  eletti in Parlamento, che appartengono a una generazione così distante,  e non solo anagraficamente, dalla mia.

So che in tutto ciò si è  riflesso qualcosa che mi tocca ancora più profondamente : e cioè la  fiducia e l'affetto che ho visto in questi anni crescere verso di me e  verso l'istituzione che rappresentavo tra grandi masse di cittadini, di  italiani - uomini e donne di ogni età e di ogni regione - a cominciare  da quanti ho incontrato nelle strade, nelle piazze, nei più diversi  ambiti sociali e culturali, per rivivere insieme il farsi della nostra  unità nazionale.
Come voi tutti sapete, non prevedevo di tornare  in quest'aula per pronunciare un nuovo giuramento e messaggio da  Presidente della Repubblica.
Avevo già nello scorso dicembre  pubblicamente dichiarato di condividere l'autorevole convinzione che la  non rielezione, al termine del settennato, è "l'alternativa che meglio  si conforma al nostro modello costituzionale di Presidente della  Repubblica". Avevo egualmente messo l'accento sull'esigenza di dare un  segno di normalità e continuità istituzionale con una naturale  successione nell'incarico di Capo dello Stato.
A queste ragioni e  a quelle più strettamente personali, legate all'ovvio dato dell'età, se  ne sono infine sovrapposte altre, rappresentatemi - dopo l'esito nullo  di cinque votazioni in quest'aula di Montecitorio, in un clima sempre  più teso - dagli esponenti di un ampio arco di forze parlamentari e  dalla quasi totalità dei Presidenti delle Regioni. Ed è vero che questi  mi sono apparsi particolarmente sensibili alle incognite che possono  percepirsi al livello delle istituzioni locali, maggiormente vicine ai  cittadini, benché ora alle prese con pesanti ombre di corruzione e di  lassismo. Istituzioni che ascolto e rispetto, Signori delegati delle  Regioni, in quanto portatrici di una visione non accentratrice dello  Stato, già presente nel Risorgimento e da perseguire finalmente con  serietà e coerenza.
E' emerso da tali incontri, nella mattinata di  sabato, un drammatico allarme per il rischio ormai incombente di un  avvitarsi del Parlamento in seduta comune nell'inconcludenza, nella  impotenza ad adempiere al supremo compito costituzionale dell'elezione  del Capo dello Stato. Di qui l'appello che ho ritenuto di non poter  declinare - per quanto potesse costarmi l'accoglierlo - mosso da un  senso antico e radicato di identificazione con le sorti del paese.
La  rielezione, per un secondo mandato, del Presidente uscente, non si era  mai verificata nella storia della Repubblica, pur non essendo esclusa  dal dettato costituzionale, che in questo senso aveva lasciato - come si  è significativamente notato - "schiusa una finestra per tempi  eccezionali". Ci siamo dunque ritrovati insieme in una scelta pienamente  legittima, ma eccezionale. Perché senza precedenti è apparso il rischio  che ho appena richiamato : senza precedenti e tanto più grave nella  condizione di acuta difficoltà e perfino di emergenza che l'Italia sta  vivendo in un contesto europeo e internazionale assai critico e per noi  sempre più stringente.

Bisognava dunque offrire, al paese e al  mondo, una testimonianza di consapevolezza e di coesione nazionale, di  vitalità istituzionale, di volontà di dare risposte ai nostri problemi :  passando di qui una ritrovata fiducia in noi stessi e una rinnovata  apertura di fiducia internazionale verso l'Italia.
E' a questa prova  che non mi sono sottratto. Ma sapendo che quanto è accaduto qui nei  giorni scorsi ha rappresentato il punto di arrivo di una lunga serie di  omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità. Ne propongo  una rapida sintesi, una sommaria rassegna. Negli ultimi anni, a esigenze  fondate e domande pressanti di riforma delle istituzioni e di  rinnovamento della politica e dei partiti - che si sono intrecciate con  un'acuta crisi finanziaria, con una pesante recessione, con un crescente  malessere sociale - non si sono date soluzioni soddisfacenti : hanno  finito per prevalere contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le  scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi.  Ecco che cosa ha condannato alla sterilità o ad esiti minimalistici i  confronti tra le forze politiche e i dibattiti in Parlamento.
Quel  tanto di correttivo e innovativo che si riusciva a fare nel senso della  riduzione dei costi della politica, della trasparenza e della moralità  nella vita pubblica è stato dunque facilmente ignorato o svalutato : e  l'insoddisfazione e la protesta verso la politica, i partiti, il  Parlamento, sono state con facilità (ma anche con molta leggerezza)  alimentate e ingigantite da campagne di opinione demolitorie, da  rappresentazioni unilaterali e indiscriminate in senso distruttivo del  mondo dei politici, delle organizzazioni e delle istituzioni in cui essi  si muovono. Attenzione : quest'ultimo richiamo che ho sentito di dover  esprimere non induca ad alcuna autoindulgenza, non dico solo i  corresponsabili del diffondersi della corruzione nelle diverse sfere  della politica e dell'amministrazione, ma nemmeno i responsabili di  tanti nulla di fatto nel campo delle riforme.
Imperdonabile  resta la mancata riforma della legge elettorale del 2005. Ancora pochi  giorni fa, il Presidente Gallo ha dovuto ricordare come sia rimasta  ignorata la raccomandazione della Corte Costituzionale a rivedere in  particolare la norma relativa all'attribuzione di un premio di  maggioranza senza che sia raggiunta una soglia minima di voti o di  seggi.
La mancata revisione di quella legge ha prodotto una gara  accanita per la conquista, sul filo del rasoio, di quell'abnorme premio,  il cui vincitore ha finito per non riuscire a governare una simile  sovra-rappresentanza in Parlamento. Ed è un fatto, non certo  imprevedibile, che quella legge ha provocato un risultato elettorale di  difficile governabilità, e suscitato nuovamente frustrazione tra i  cittadini per non aver potuto scegliere gli eletti.
Non meno  imperdonabile resta il nulla di fatto in materia di sia pur limitate e  mirate riforme della seconda parte della Costituzione, faticosamente  concordate e poi affossate, e peraltro mai giunte a infrangere il tabù  del bicameralismo paritario.
Molto si potrebbe aggiungere, ma mi  fermo qui, perché su quei temi specifici ho speso tutti i possibili  sforzi di persuasione, vanificati dalla sordità di forze politiche che  pure mi hanno ora chiamato ad assumere un ulteriore carico di  responsabilità per far uscire le istituzioni da uno stallo fatale. Ma ho  il dovere di essere franco : se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità  come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le  conseguenze dinanzi al paese.

Non si può più, in nessun campo,  sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione  praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui  hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e  la società italiana.
Parlando a Rimini a una grande assemblea di  giovani nell'agosto 2011, volli rendere esplicito il filo ispiratore  delle celebrazioni del 150° della nascita del nostro Stato unitario :  l'impegno a trasmettere piena coscienza di "quel che l'Italia e gli  italiani hanno mostrato di essere in periodi cruciali del loro passato",  e delle "grandi riserve di risorse umane e morali, d'intelligenza e di  lavoro di cui disponiamo". E aggiunsi di aver voluto così suscitare  orgoglio e fiducia "perché le sfide e le prove che abbiamo davanti sono  più che mai ardue, profonde e di esito incerto. Questo ci dice la crisi  che stiamo attraversando. Crisi mondiale, crisi europea, e dentro questo  quadro l'Italia, con i suoi punti di forza e con le sue debolezze, con  il suo bagaglio di problemi antichi e recenti, di ordine istituzionale e  politico, di ordine strutturale, sociale e civile."
Ecco, posso  ripetere quelle parole di un anno e mezzo fa, sia per sollecitare tutti a  parlare il linguaggio della verità - fuori di ogni banale distinzione e  disputa tra pessimisti e ottimisti - sia per introdurre il discorso su  un insieme di obbiettivi in materia di riforme istituzionali e di  proposte per l'avvio di un nuovo sviluppo economico, più equo e  sostenibile.

E' un discorso che - anche per ovvie ragioni di  misura di questo mio messaggio - posso solo rinviare ai documenti dei  due gruppi di lavoro da me istituiti il 30 marzo scorso. Documenti di  cui non si può negare - se non per gusto di polemica intellettuale - la  serietà e concretezza. Anche perché essi hanno alle spalle elaborazioni  sistematiche non solo delle istituzioni in cui operano i componenti dei  due gruppi, ma anche di altre istituzioni e associazioni qualificate. Se  poi si ritiene che molte delle indicazioni contenute in quei testi  fossero già acquisite, vuol dire che è tempo di passare, in sede  politica, ai fatti; se si nota che, specie in materia istituzionale,  sono state lasciate aperte diverse opzioni su varii temi, vuol dire che è  tempo di fare delle scelte conclusive. E si può, naturalmente, andare  anche oltre, se si vuole, con il contributo di tutti.
Vorrei solo  formulare, a commento, due osservazioni. La prima riguarda la necessità  che al perseguimento di obbiettivi essenziali di riforma dei canali di  partecipazione democratica e dei partiti politici, e di riforma delle  istituzioni rappresentative, dei rapporti tra Parlamento e governo, tra  Stato e Regioni, si associ una forte attenzione per il rafforzamento e  rinnovamento degli organi e dei poteri dello Stato. A questi sono stato  molto vicino negli ultimi sette anni, e non occorre perciò che rinnovi  oggi un formale omaggio, si tratti di forze armate o di forze  dell'ordine, della magistratura o di quella Corte che è suprema garanzia  di costituzionalità delle leggi. Occorre grande attenzione di fronte a  esigenze di tutela della libertà e della sicurezza da nuove  articolazioni criminali e da nuove pulsioni eversive, e anche di fronte a  fenomeni di tensione e disordine nei rapporti tra diversi poteri dello  Stato e diverse istituzioni costituzionalmente rilevanti.

Né si  trascuri di reagire a disinformazioni e polemiche che colpiscono lo  strumento militare, giustamente avviato a una seria riforma, ma sempre  posto, nello spirito della Costituzione, a presidio della partecipazione  italiana - anche col generoso sacrificio di non pochi nostri ragazzi -  alle missioni di stabilizzazione e di pace della comunità  internazionale.
La seconda osservazione riguarda il valore delle  proposte ampiamente sviluppate nel documento da me già citato, per  "affrontare la recessione e cogliere le opportunità" che ci si  presentano, per "influire sulle prossime opzioni dell'Unione Europea",  "per creare e sostenere il lavoro", "per potenziare l'istruzione e il  capitale umano, per favorire la ricerca, l'innovazione e la crescita  delle imprese".

Nel sottolineare questi ultimi punti, osservo che su  di essi mi sono fortemente impegnato in ogni sede istituzionale e  occasione di confronto, e continuerò a farlo. Essi sono nodi essenziali  al fine di qualificare il nostro rinnovato e irrinunciabile impegno a  far progredire l'Europa unita, contribuendo a definirne e rispettarne i  vincoli di sostenibilità finanziaria e stabilità monetaria, e insieme a  rilanciarne il dinamismo e lo spirito di solidarietà, a coglierne al  meglio gli insostituibili stimoli e benefici.
E sono anche i  nodi - innanzitutto, di fronte a un angoscioso crescere della  disoccupazione, quelli della creazione di lavoro e della qualità delle  occasioni di lavoro - attorno a cui ruota la grande questione sociale  che ormai si impone all'ordine del giorno in Italia e in Europa. E' la  questione della prospettiva di futuro per un'intera generazione, è la  questione di un'effettiva e piena valorizzazione delle risorse e delle  energie femminili. Non possiamo restare indifferenti dinanzi a  costruttori di impresa e lavoratori che giungono a gesti disperati, a  giovani che si perdono, a donne che vivono come inaccettabile la loro  emarginazione o subalternità.
Volere il cambiamento, ciascuno  interpretando a suo modo i consensi espressi dagli elettori, dice poco e  non porta lontano se non ci si misura su problemi come quelli che ho  citato e che sono stati di recente puntualizzati in modo obbiettivo, in  modo non partigiano. Misurarsi su quei problemi perché diventino  programma di azione del governo che deve nascere e oggetti di  deliberazione del Parlamento che sta avviando la sua attività. E perché  diventino fulcro di nuovi comportamenti collettivi, da parte di forze -  in primo luogo nel mondo del lavoro e dell'impresa - che "appaiono  bloccate, impaurite, arroccate in difesa e a disagio di fronte  all'innovazione che è invece il motore dello sviluppo". Occorre  un'apertura nuova, un nuovo slancio nella società ; occorre un colpo di  reni, nel Mezzogiorno stesso, per sollevare il Mezzogiorno da una  spirale di arretramento e impoverimento.
Il Parlamento ha di  recente deliberato addirittura all'unanimità il suo contributo su  provvedimenti urgenti che al governo Monti ancora in carica toccava  adottare, e che esso ha adottato, nel solco di uno sforzo di politica  economico-finanziaria ed europea che meriterà certamente un giudizio più  equanime, quanto più si allontanerà il clima dello scontro elettorale e  si trarrà il bilancio del ruolo acquisito nel corso del 2012 in seno  all'Unione europea.

Apprezzo l'impegno con cui il movimento  largamente premiato dal corpo elettorale come nuovo attore  politico-parlamentare ha mostrato di volersi impegnare alla Camera e al  Senato, guadagnandovi il peso e l'influenza che gli spetta : quella è la  strada di una feconda, anche se aspra, dialettica democratica e non  quella, avventurosa e deviante, della contrapposizione tra piazza e  Parlamento. Non può, d'altronde, reggere e dare frutti neppure una  contrapposizione tra Rete e forme di organizzazione politica quali  storicamente sono da ben più di un secolo e ovunque i partiti.
La  Rete fornisce accessi preziosi alla politica, inedite possibilità  individuali di espressione e di intervento politico e anche stimoli  all'aggregazione e manifestazione di consensi e di dissensi. Ma non c'è  partecipazione realmente democratica, rappresentativa ed efficace alla  formazione delle decisioni pubbliche senza il tramite di partiti capaci  di rinnovarsi o di movimenti politici organizzati, tutti comunque da  vincolare all'imperativo costituzionale del "metodo democratico".
Le  forze rappresentate in Parlamento, senza alcuna eccezione, debbono  comunque dare ora - nella fase cruciale che l'Italia e l'Europa  attraversano - il loro apporto alle decisioni da prendere per il  rinnovamento del paese. Senza temere di convergere su delle soluzioni,  dal momento che di recente nelle due Camere non si è temuto di votare  all'unanimità. Sentendo voi tutti - onorevoli deputati e senatori - di  far parte dell'istituzione parlamentare non come esponenti di una  fazione ma come depositari della volontà popolare. C'è da lavorare  concretamente, con pazienza e spirito costruttivo, spendendo e  acquisendo competenze, innanzitutto nelle Commissioni di Camera e  Senato. Permettete che ve lo dica uno che entrò qui da deputato all'età  di 28 anni e portò giorno per giorno la sua pietra allo sviluppo della  vita politica democratica.
Lavorare in Parlamento sui problemi  scottanti del paese non è possibile se non nel confronto con un governo  come interlocutore essenziale sia della maggioranza sia  dell'opposizione. A 56 giorni dalle elezioni del 24-25 febbraio - dopo  che ci si è dovuti dedicare all'elezione del Capo dello Stato - si deve  senza indugio procedere alla formazione dell'Esecutivo. Non corriamo  dietro alle formule o alle definizioni di cui si chiacchiera. Al  Presidente non tocca dare mandati, per la formazione del governo, che  siano vincolati a qualsiasi prescrizione se non quella voluta dall'art.  94 della Costituzione : un governo che abbia la fiducia delle due  Camere. Ad esso spetta darsi un programma, secondo le priorità e la  prospettiva temporale che riterrà opportune.
E la condizione è dunque  una sola : fare i conti con la realtà delle forze in campo nel  Parlamento da poco eletto, sapendo quali prove aspettino il governo e  quali siano le esigenze e l'interesse generale del paese. Sulla base dei  risultati elettorali - di cui non si può non prendere atto, piacciano  oppur no - non c'è partito o coalizione (omogenea o presunta tale) che  abbia chiesto voti per governare e ne abbia avuti a sufficienza per  poterlo fare con le sole sue forze. Qualunque prospettiva si sia  presentata agli elettori, o qualunque patto - se si preferisce questa  espressione - si sia stretto con i propri elettori, non si possono non  fare i conti con i risultati complessivi delle elezioni. Essi indicano  tassativamente la necessità di intese tra forze diverse per far nascere e  per far vivere un governo oggi in Italia, non trascurando, su un altro  piano, la esigenza di intese più ampie, e cioè anche tra maggioranza e  opposizione, per dare soluzioni condivise a problemi di comune  responsabilità istituzionale.

D'altronde, non c'è oggi in Europa  nessun paese di consolidata tradizione democratica governato da un solo  partito - nemmeno più il Regno Unito - operando dovunque governi formati  o almeno sostenuti da più partiti, tra loro affini o abitualmente  distanti e perfino aspramente concorrenti.
Il fatto che in Italia  si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese,  alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno  di una regressione, di un diffondersi dell'idea che si possa fare  politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del  governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in  termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche. O forse  tutto questo è più concretamente il riflesso di un paio di decenni di  contrapposizione - fino allo smarrimento dell'idea stessa di convivenza  civile - come non mai faziosa e aggressiva, di totale incomunicabilità  tra schieramenti politici concorrenti.
Lo dicevo già sette anni fa in  quest'aula, nella medesima occasione di oggi, auspicando che fosse  finalmente vicino "il tempo della maturità per la democrazia  dell'alternanza" : che significa anche il tempo della maturità per la  ricerca di soluzioni di governo condivise quando se ne imponga la  necessità. Altrimenti, si dovrebbe prendere atto dell'ingovernabilità,  almeno nella legislatura appena iniziata.
Ma non è per prendere  atto di questo che ho accolto l'invito a prestare di nuovo giuramento  come Presidente della Repubblica. L'ho accolto anche perché l'Italia si  desse nei prossimi giorni il governo di cui ha bisogno. E farò a tal  fine ciò che mi compete : non andando oltre i limiti del mio ruolo  costituzionale, fungendo tutt'al più, per usare un'espressione di  scuola, "da fattore di coagulazione". Ma tutte le forze politiche si  prendano con realismo le loro responsabilità : era questa la posta  implicita dell'appello rivoltomi due giorni or sono.
Mi accingo  al mio secondo mandato, senza illusioni e tanto meno pretese di  amplificazione "salvifica" delle mie funzioni ; eserciterò piuttosto con  accresciuto senso del limite, oltre che con immutata imparzialità,  quelle che la Costituzione mi attribuisce. E lo farò fino a quando la  situazione del paese e delle istituzioni me lo suggerirà e comunque le  forze me lo consentiranno. Inizia oggi per me questo non previsto  ulteriore impegno pubblico in una fase di vita già molto avanzata ;  inizia per voi un lungo cammino da percorrere, con passione, con rigore,  con umiltà. Non vi mancherà il mio incitamento e il mio augurio.
Viva il Parlamento! Viva la Repubblica! Viva l'Italia!

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