Zucchero: la consapevole libidine del blues - Intervista
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Zucchero: la consapevole libidine del blues - Intervista

L'infanzia, il sesso, la delusione a Sanremo nel 1985, il successo internazionale e gli incontri leggendari con Brian May, Bono e Miles Davis...

"Ha una voce sexy come come un whisky invecchiato in una botte di quercia, i capelli da leone e un animo da poeta". Con queste parole Bono degli U2, uno dei più grandi performer di sempre, ha voluto raccontare al mondo chi è il suo amico Zucchero. Un bluesman talentuoso, un provinciale di successo diventato nel corso dei decenni l'artista italiano più famoso al mondo. Adelmo Fornaciari è stato l'unico musicista dello stivale invitato alla riedizione del Festival di Woodstock nel 1994 e, ancora prima, al leggendario show del 1992 in memoria di Freddie Mercury al Wembley Stadium di Londra.

Nel suo curriculum ci sono trentotto sold out all'Arena di Verona e collaborazioni con decine di leggende della musica contemporanea: da Miles Davis a Eric Clapton, dagli U2 a Brian Wilson dei Beach Boys, senza dimenticare Luciano Pavarotti, B.B King, Joe Cocker, Mark Knopfler, Sting e i Queen. Tutti stregati da una voce evocativa e da una scrittura a tinte blues che emoziona a tutte le latitudini. Zucchero è un virtuoso artigiano della musica, un artista che cesella le sua canzoni per ore, giorni e mesi in studio di registrazione. "Per me" racconta a Panorama "un disco, non è mai una banale compilation di canzoni slegate una dall'altra: l'album deve avere un filo comune, una vibrazione che lo tiene insieme" spiega, mentre la memoria torna a quel penultimo posto al Festival di Sanremo nel 1985. Un flop, una terribile delusione, che però non ha modificato di una virgola il corso del destino.

Lei penultimo con Donne, Vasco Rossi penultimo con Vita spericolata. Porta decisamente fortuna finire in fondo alla classifica del Festival della canzone italiana.

In effetti, non mancano i casi eclatanti. Avevo partecipato due volte a Sanremo Giovani, ma non era successo nulla. Calma piatta. Ricordo che qualcuno, commentando le mie performance, scrisse: ma dove vuole andare uno che si chiama Zucchero e canta canzoni sdolcinate? Ci riprovai nei Big con Donne.Era il 1985. La casa discografica ci credeva, io pure, tutti mi coccolavano e avevano grandi aspettative. Poi, la doccia fredda: ventunesimo su ventidue artisti in gara. In pochi istanti ci fu un fuggi fuggi generale dal mio camerino. Nessuno mi voleva, nemmeno a cena. Rimasi da solo con il mio magone e la convinzione che fosse finita. Invece, grazie alle radio, Donne divenne un grande successo. La svolta per la mia carriera e la mia vita: capii presto che un insuccesso a Sanremo non pregiudica nulla: finora, ho venduto sessanta milioni di album... Negli ultimi mesi mi sono regalato centoquaranta concerti in giro per il mondo davanti a un milione di spettatori. Da poco è uscita anche Wanted – The Best Collection, una monumentale raccolta per celebrare più di trent'anni di musica. E il 26 febbraio parte da Padova un tour nei palasport italiani. Mi sento appagato».

Un retroscena: sul palco dell'Ariston, nell'anno di Donne, si presentò con uno zucchetto sponsorizzato non proprio regolamentare...

Avevo stretto un accordo con una ditta di Reggio Emilia: cinque milioni se mi fossi esibito con il nome della società sul cappello. Sapevo bene quel che rischiavo, e cioè l'eliminazione dal Festival, ma avevo bisogno di soldi per mantenere la famiglia. La necessità aguzza l'ingegno: feci fare due zucchetti, uno con il nome della ditta e uno senza che indossai sempre durante le prove. Poi, la sera della finale, mi misi quello sponsorizzato. Ero stressatissimo, ma continuavo a ripetermi: non potranno mica interrompere la diretta tv perché ho un marchio sul berretto... Mi fecero un discreto mazzo, ma alla fine la passai liscia.

Miles Davis era un genio scontroso ed estremamente umorale. Come fu l'incontro in sala d'incisione per Dune mosse?

Arrivò in studio vestito di pelle nera con gli occhiali neri. Non salutò nessuno e venne verso di me che stavo provando la canzone al pianoforte. Esordì dicendo: ehi, che cazzo fai? Guarda che la stai suonando nella tonalità sbagliata... Scese il gelo. Non so come, trovai il coraggio di dirgli: scusa Miles ma l'ho scritta io e ti assicuro che è in Si minore. E lui: no, ti sbagli. Fu imbarazzo totale. Per fortuna, intuii qual era il problema. Miles aveva ascoltato Dune mosse su un registratore con le pile scariche. Quindi, il nastro, andando a rilento, abbassava la tonalità di un quarto di tono. Superato l'impasse, suonò delle note meravigliose. Alla fine di tutto, appoggiò due dita sulla mia gola dicendo: ehi, questa canzone mi commuove e tu hai una voce che cattura.

I racconti della sua infanzia a Roncocesi, in provincia di Reggio Emilia, sono a metà strada tra le atmosfere dei film di Federico Fellini e quelle della saga di Don Camillo e Peppone.

Il suono del paese, le campane, il brusio in piazza sono stati la colonna sonora dei miei primi anni di vita. Vengo da una famiglia di mezzadri, ricordo ancora la prima casa senza acqua corrente, i viaggi con il secchio al pozzo e mio zio Guerra, marxista, leninista e anche un po' maoista, che battibeccava sempre con il prete, Don Tagliatella. La domenica era il giorno della tregua politica e Don Tagliatella veniva a pranzo da noi. Con lui avevo stretto un patto: servire messa come chierichetto in cambio di mezz'ora all'organo della chiesa, tutte le mattine prima di andare a scuola. Non suonavo brani religiosi, ma canzoni come Whiter Shade Of Pale dei Procul Harum. Una libidine.

La sua era una famiglia cattolica?

Mia madre lo era, mio padre no. Papà non voleva che il prete venisse a benedire la casa, pensava portasse sfiga. Ma, una volta, quando già era sofferente per una malattia degenerativa, lo fece entrare, si alzò da tavola e, con gli occhi lucidi, si fece il segno della croce. Aveva capito che non sarebbe vissuto ancora a lungo. Ci si attacca sempre a qualcosa quando si intravede la fine... Non eravamo una famiglia di praticanti, ma c'era grande rispetto per chi credeva. Se qualcuno s'azzardava a bestemmiare, volavano sberle. La battuta più anticlericale era di mio nonno che amava dire in dialetto: ahi ho mai vest un pret megher (non ho mai visto un prete magro). Per i contadini come lui, che si spaccavano la schiena nei campi, il prete era quel signore pasciuto e rotondo che passeggiava sul sagrato.

«Solo una sana e conspevole libidine salva il giovane dallo stress a dall'Azione Cattolica» è una delle sue strofe più famose, ma cantarla al Meeting di CL, in diretta sulla Rai, non fu esattamente una passeggiata.

Quando mi invitarono dissi subito che l'avrei suonata perché era l'hit dell'estate. Poi, il giorno delle prove vennero dei tizi ben vestiti che provarono a convincermi di non cantarla: “ma dai Zucchero con tutte le canzoni belle che hai...”. Ovviamente, feci di testa mia. Anzi, a quel punto, comprai delle tonache nere da prete per tutti i musicisti del gruppo. Cantammo la “consapevole libidine” nei bis: sul palco volavano reggiseni e mutandine a grappoli. Ma non era finita: durante le note finali tutti i ragazzi della band si girarono e alzarono le tonache mostrando le chiappe alla gente: scoppiò il delirio. Sono fuggito in camper un secondo dopo la fine dell'ultima canzone...

La canzone Vedo nero è un affresco goliardico, il racconto della scoperta del sesso nella provincia emiliana degli anni Sessanta.

Tutto naturale e genuino: quando si è ragazzini e l'ormone inizia spingere succedono cose esilaranti. Un pomeriggio, Vittorina, la più sexy del paese, con un caschetto tipo Valentina di Crepax, mi fermò per strada perché aveva un problema con la gomma della bicicletta: Adelmo, non è che riesci a procurarmi una pompa? mi disse. Detto fatto. Era stupenda, aveva una minigonna inguinale e, quando si chinò per gonfiare la ruota, io ebbi la certezza dell'esistenza di Dio. Mi piaceva molto. Io e due amici avevamo escogitato un piano per ammirarla mentre si immergeva nella vasca da bagno: facevamo la scaletta con le mani per arrivare alla finestra della sua casa e sbirciare. Una volta, qualche tempo prima, venni afferrato per un orecchio da mio zio: mi aveva beccato mentre, nascosto dietro le balle di fieno, guardavo la zia Rica che si faceva il bagno nella mastella all'interno della stalla. La zia aveva un appuntamento fisso con la vasca il sabato pomeriggio e io per un paio di settimane ne ho approfittato. Fu la prima volta che vidi una donna nuda.

Nella sua autobiografia, Il suono della domenica, ma anche in diverse canzoni (l'ultima è 13 buone ragioni) ci sono molti riferimenti al doloroso rapporto con la sua ex moglie, Angela.

Beh, devo dire che mi ha ispirato tanto (ride; ndr). Quando penso all'amore vero e genuino, che però provoca grandi sofferenze, penso a lei. Il periodo in cui l'ho conosciuta suonavo nella band di suo fratello. Sapeva benissimo che volevo vivere di musica, ma non immaginava che sarei diventato un artista di successo in giro per il mondo. Per lei, al massimo, sarebbe stata accettabile una carriera da orchestrale, da musicista di balera che dopo il concerto torna a casa. Ci siamo separati dopo sedici anni. Tra il 1989 e il 1991 la mia vita privata era sotto le rotaie, un inferno. Mi ero isolato in una casetta sul mare, non stavo bene da nessuna parte, Non casualmente fu in quel periodo che scrissi Miserere, una canzone che la dice lunga su quanto fossi distante dall'essere felice.

Il 20 aprile 1992, lei fu l'unico italiano ad esibirsi in uno dei più emozionanti live show di sempre, ovvero il concerto-tributo a Freddie Mercury con George Michael, Elton John, David Bowie, Axl Rose ed Annie Lennox

Fu un mix di sensazioni indimenticabili. Ero nel backstage con i più grandi artisti del mondo, ma dovevo fare i conti con la depressione e il panico. A un certo punto mi ritrovo sul palco con i Queen. Il programma prevedeva che iniziassi io a cantare Las Palabras de Amor accompagnato da una chitarra acustica. Bene, sono lì al centro della scena, ma nessuno mi porta la chitarra: sono perso nel nulla, attimi di terrore in mondovisione e davanti a Wembley sold out. Per fortuna, il mio amico Brian May, il chitarrista dei Queen, capì al volo la situazione e iniziò a suonare togliendo tutti quanti e, soprattutto me, dall'imbarazzo. Il peggio era passato, l'esibizione andò bene e io cantai con tutta l'intensità di cui ero capace. Che fatica, però...

L'ultima volta che è andato nel backstage per salutare Bono si è ritrovato sul palco a cantare con gli U2. Che cosa è successo?

Eravamo a Torino nei camerini: Bono, dopo i saluti di rito, mi chiede di raggiungerli nel finale per cantare insieme I still haven't found what I'm looking for. La mia reazione fu: che cosa? Non abbiamo fatto prove e non voglio fare una figura di m.... Lui, serafico, replicò: hai tutto il concerto per provare e riprovare qui in camerino. Ti faccio portare una chitarra. Tentai di dire che ero lì per vedere lo spettacolo, ma non lo convinsi. Per fortuna, sul palco, andò tutto benissimo. Alla sua domanda «Come posso sdebitarmi?» risposi che “casualmente” avevo con me una musica che avevo appena scritto e che mi sarebbe piaciuto avere un suo testo. Dopo qualche mese settimana mi chiamò nel cuore della notte e mi mandò le parole di Streets of surrender che aveva scritto nei giorni successivi alla strage del Bataclan a Parigi. Mi sono commosso.

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Gianni Poglio