Merkel, Renzi e i compiti a casa
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Merkel, Renzi e i compiti a casa

Renzi non avrà convinto la Merkel a farci sforare il tetto del 3% del deficit, ma ha dimostrato che l’Italia vuol fare davvero le riforme strutturali che l'Europa ci chiede: quanta differenza con Letta e Monti -  Foto - Riforme: difficoltà in Senato

 

Matteo Renzi sembra esser migliore di come viene dipinto e semplificato dai media, a volte come uno scolaretto. Metti la sua leadership nel vertice italo-tedesco a Berlino. Che cosa è passato sui media? Che Angela Merkel è rimasta “colpita” da Matteo, ha trovato “impressionante il cambiamento strutturale” illustrato dal presidente del Consiglio e dalla sua squadra di undici ministri lui compreso. Come se fosse Berlino il giudice che boccia o promuove. Eppure, in questa prima trasferta berlinese da primo ministro (quinto premier italiano mentre il cancelliere è sempre Angela), Renzi è stato qualcosa di più. Non è andato a testa china come Monti, trattato lui sì da scolaretto che consegna i compiti alla maestra. Non avrà convinto la Merkel a farci sforare il tetto del 3 per cento del deficit, ma ha dimostrato che l’Italia vuol fare le riforme strutturali non perché ci vengano chieste, ma perché ne è convinta e rientrano in un comune progetto di rinascimento industriale.

Il punto è semplice. Monti andava a Berlino con la modestia (ben diversa dall’umiltà) del professore, meno rappresentativo finanche dei tecnici che avevano commissariato la Grecia e che poi, a differenza di lui, avevano onorato quel servizio facendo un passo indietro subito dopo averlo assolto. Enrico Letta, subentrato a Monti, andava a Berlino da bravo ragazzo privo d’investitura non solo popolare ma politica, premier per caso nominato dal capo dello Stato. Renzi no, ha il carisma del leader anche se non ne ha l’investitura elettorale (e questo è quasi l’unico punto a suo sfavore). Non è un tecnico, è un politico che approda in Europa avendo già fatto scelte precise, non sempre popolari. Quali? Abolito la prassi consociativa della consultazione di sindacati, Confindustria e altre associazioni di categoria prima di decidere che cosa sia meglio per l’economia nazionale. Definito un piano per il lavoro, Jobs Act, che va nella direzione giusta e raddrizza le gravi insufficienze della riforma Fornero. Incardinato la riforma elettoral-costituzionale che pur non essendo quel che prometteva di essere (monca com’è dell’abolizione del Senato) è comunque un buon inizio. Qualificato la guida del governo puntando sull’istruzione, sulla scuola, su quella che negli Stati Uniti si chiama “education” (non la nostra “educazione” ma un concetto più ampio sul quale si gioca ogni quattro anni la campagna dei candidati alla casa Bianca). E abbassato un po’ l’Irpef, il che non guasta.

Che dire? Non ci si poteva aspettare che Renzi convincesse la Merkel a mandare in soffitta il rigore, ma che vi fosse almeno maggiore flessibilità nel consentire l’impiego di quella forbice tra 2.6 e 3 per cento di deficit sulla quale Renzi scommette per rimettere in moto l’economia. Vedremo se Matteo ci è riuscito, ma dobbiamo sperare di sì. Dipende se sarà capace di realizzare le riforme che annuncia, traducendo le parole in fatti. Questa è la differenza tra la rispettabilità di Monti, la giovanile dignità di Letta e la vulcanica credibilità di Renzi (o la sua capacità di ottenere credito, che è lo stesso). Speriamo che si dimostri pure autonomo, autorevole e assertivo in Europa quanto lo è stato Berlusconi. Ma per riuscirvi dovrebbe passare per le urne.

Rispetto a questo, il balbettio e il blaterare per slogan calcistici tipo Italia-Germania dei grillini (e non solo) suona povero e provinciale. Mentre spicca ancora, come già nelle ultime settimane, uno stile di opposizione attento alle misure concrete per uscire dalla crisi nell’atteggiamento del Cavaliere e di Forza Italia che si esprime nella vigilanza sul mantenimento delle promesse (a cominciare dalla restituzione dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese e dall’effettiva riduzione della pressione fiscale), senza fare di tutta l’erba un fascio, senza pregiudizio, senza eccessiva demagogia. Questo va detto a onore di Berlusconi, specie alla vigilia di scadenze cruciali per l’applicazione del controverso verdetto della Cassazione sui termini d’interdizione e, tra poco, l’alternativa tra arresti domiciliari e affidamento ai servizi sociali. Misure con le quali si chiuderà il cerchio di una persecuzione politico-mediatico-giudiziaria durata vent’anni, che priva oggettivamente milioni di italiani del buon diritto alla rappresentanza politica.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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