Conte Presidente Consiglio
ANSA/ANGELO CARCONI
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Memoriale (fasullo) sul "colpo di Stato"

Il Bestiario di Giampaolo Pansa racconta (anzi, inventa) i retroscena di una decisione drastica dell'attuale Presidente del Consiglio

«È del tutto innaturale che un premier ancora in carica affidi a un memoriale le sue tristezze invece che confidarsi con qualche amico. Purtroppo io, Giuseppe Conte, presidente del Consiglio di una nazione nei guai come l’Italia, ho perso tutti gli amici che avevo. Quando dico perso non voglio sottintendere che sono defunti e passati a miglior vita. No, dico che i rapporti che un tempo intrattenevo a Firenze si sono fatti così esili da essere quasi scomparsi. Chi entra in quel maledetto Palazzo Chigi diventa un marziano, si trova su un pianeta che esclude tutte le persone normali. Ecco perché, con l’inizio del nuovo anno, ho deciso di scrivere questa confessione soprattutto per dire a me stesso che l’avvocato Conte è ancora un essere umano e merita di essere ascoltato, rispettato e compatito.

La prima verità che devo mettere nero su bianco è che sono un prigioniero politico. Chi mi ha catturato e rinchiuso in una cella sia pure di lusso? I miei due vice: Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Quando mi convinsero ad accettare l’incarico di premier si guardarono bene dal rivelarmi che tipacci fossero. Di Maio è il classico fannullone meridionale: non ha mai studiato né lavorato. Lui sostiene di aver fatto lo steward nello stadio del Napoli, ma nessuno si ricorda della sua presenza. Beppe Grillo lo ha lanciato nell’agone politico, senza rendersi conto di mettersi una serpe in seno. Adesso il Di Maio è diventato ben più forte dell’incauto inventore dei Cinque Stelle, svelando tutti i vizi dei politici sudisti, a cominciare dall’uso perverso di far lavorare i sottoposti in nero, senza contributi né tasse pagate.

Ma assai più pericoloso è l’altro vicepremier, il Salvini. Sulle prime mi era sembrato un politico un po’ troppo muscoloso. Però non ho tardato a capire di avere di fronte un futuro dittatore. Ecco una parola, il dittatore!, che speravo non dover più usare. Ma era una speranza vana. Salvini vuole diventare il padrone politico dell’Italia. Fanno bene a combatterlo i giornalisti alla Giampaolo Pansa. Purtroppo sono destinati a perdere. E dovranno ritenersi fortunati se porteranno a casa la pelle o eviteranno la galera.

Nella mia solitudine a chi potevo rivolgermi per trovare un po’ di conforto? Ho pensato all’Europa, ma il mio incontro con Jean-Claude Junker è stato deludente. Mi ha subito portato in un bar che soltanto lui conosceva e mi ha mostrato dodici marche di superalcolici. Il professor Giovanni Tria, ministro dell’Economia, è un depresso anche per colpa della bassa statura e medita di accettare una cattedra in Birmania. Sergio Mattarella, il capo dello Stato, è un sant’uomo inaccessibile. Il Giorgetti si è rivelato una controfigura del suo principale, il Salvini. Aveva promesso di aiutarmi, invece mi crea problemi di continuo.

Ho compreso di non contare neppure come il due di picche quando i padroni del governo mi hanno vietato di fare il concorso per la cattedra di diritto civile all’Università di Roma. Confesso di aver pianto in segreto e ho maledetto il giorno che ho accettato l’incarico di premier. È stato allora che ho deciso di comportarmi come un italiano qualunque. Ho invidiato il Superbullo, ossia Matteo Renzi, che aveva al suo fianco una bellezza rara: Maria Elena Boschi. Ho cercato la mia Boschi tra le deputate della Lega e dei Cinque stelle, ma non l’ho trovata. Non mancavano le bellone disposte a intrecciare una relazione con me, ma ho intuito che lo facevano soltanto per interesse.

Disperato, ho deciso di occuparmi a fondo delle questioni sul tappeto. Ma sono stato travolto da una serie di questioni per me misteriose. La Tav, la Tap, la Gronda, il Terzo valico, la ricostruzione del ponte Morandi, la Eco tassa sulle utilitarie, il taglio delle pensioni anche a quanti se le sono pagate versando i costosi contributi previsti dalla legge. Ho cercato di capirci qualcosa, ma poi la disperazione mi ha indotto a lasciar perdere.

È stato allora che mi sono reso conto di un problema che non mi aspettavo. La mia nausea dell’incarico di premier mi ha spinto a immaginare una via di uscita alla quale non avrei mai pensato: sollecitare un colpo di Stato, in grado di abbattere una inutile democrazia parolaia e inconcludente. Capace di mandare a casa anche il sottoscritto e spingerlo a riprendere la professione che ha sempre amato: l’avvocato civilista. Ecco la soluzione di tutti i miei problemi e quelli dell’Italia vassalla dei partiti.

Da quel momento, con l’aiuto di due teorici da strapazzo dell’estremismo, ho cominciato a sondare qualcuno che sembrava in grado di farlo questo golpe. Paracadutisti in pensione, ma con velleità non soddisfatte. Carabinieri insofferenti dei partiti. Guardie di finanza con la passione delle manette. Estremisti di sinistra ancora legati all’utopia delle Brigate rosse. Fascisti che rimpiangono la Repubblica sociale dell’ultimo Mussolini. Purtroppo è stata una ricerca inutile. L’Italia del 2018 è risultata tanto scassata da rendere impossibile o inutile persino un colpo di Stato.

Alla fine ho deciso di rivolgermi alla Cia americana. Grazie all’aiuto di un ex cervello di Donald Trump, che oggi vive in Italia, mi sono azzardato a chiedere il loro intervento. Però mi sono sentito rispondere con alterigia: un golpe in Italia non serve a nessuno, dal momento che da voi lo Stato non esiste più, è soltanto un bordello caotico che prima o poi cadrà da solo. È stato in quel momento che ho deciso di scrivere questo memoriale e di lasciare Palazzo Chigi. Per andare dove? Non lo so ancora. Forse su qualche spiaggia dell’Oceano pacifico. In compagnia di due ragazzacce che non mi faranno sentire troppo la solitudine».

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