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Medicina: l'eugenetica è dietro l'angolo

Con l'editing del dna si può manipolare il futuro di un embrione. Un eccesso contro cui si è mosso un italiano

Jennifer A. Doudna, docente di chimica e biologia molecolare a Berkeley, è una delle scienziate più celebri del pianeta, e ha dato un contributo decisivo alla creazione di Crispr, un rivoluzionario sistema di editing genetico che ha definito «il modo più economico, più semplice e più efficace di manipolare il Dna mai conosciuto». Doudna, tuttavia, nel 2015 ha chiesto una «moratoria mondiale» sull’utilizzo della tecnologia che lei stessa ha contributo a sviluppare su embrioni umani. E nel 2017 ha pubblicato un libro dedicato proprio a Crispr, non proprio rassicurante: «È dai tempi della bomba atomica che una tecnologia non creava tanto allarme tra i suoi creatori da spingerli a mettere in guardia il mondo a proposito del suo utilizzo» si leggeva nella presentazione.

In effetti, una bomba atomica nelle mani sbagliate può condurre l’umanità verso un avvenire non esattamente radioso. Il problema è che con questa «atomica genetica» qualcuno, nei mesi passati, ha giocherellato un po’ troppo, creando allarme a livello globale. Alla fine di novembre 2018, il genetista cinese della Southern University of science and technology di Shenzen, He Jiankui, ha fatto un annuncio incredibile su Youtube, poi ribadito in un’intervista all’agenzia Associated Press. Jiankui «ha dichiarato di aver modificato gli embrioni di sette coppie durante i trattamenti di fertilità» con  la tecnica Crispr-Cas9. Lo scienziato cinese, come ha scritto l’Associated Press, «ha detto che il suo obiettivo non era quello di curare o prevenire una malattia ereditaria, ma di provare a conferire un tratto che poche persone hanno naturalmente: una capacità di resistere alle possibili future infezioni da Hiv, il virus dell’Aids».

Jiankui, almeno all’inizio, non ha fornito molti dettagli. Ha spiegato però che, da una delle gravidanze su cui è intervenuto, sono nate due gemelline: «Due bellissime bambine cinesi, di nome Lulu e Nana, sono venute al mondo piangendo e in salute come tutti gli altri neonati». Il padre delle bambine è sieropositivo, ma le due piccole no. In sostanza, l’intervento di editing genetico non è servito per eliminare una patologia. Ma, come ha spiegato George Church, studioso dell’Università di Harvard, «lo scopo principale dei ricercatori era sperimentare la tecnica di editing del Dna piuttosto che evitare la malattia». L’uscita di Jiankui ha suscitato parecchie perplessità un po’ ovunque. Julian Savulescu dell’Università di Oxford, per esempio, ha parlato di  «esperimento mostruoso».

Ecco perché un gruppo di scienziati di livello mondiale, a metà marzo, ha pubblicato un articolo sulla rivista Nature per chiedere di fermare le sperimentazioni dissennate. Tra i firmatari c’era anche Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (SR-Tiget). Naldini è un’autorità in materia di genetica. Nel 2015 è stato l’unico italiano invitato a far parte del gruppo di lavoro internazionale che ha scritto le prime linee guida sull’editing genetico, ed è membro del Comitato Nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita.

Assieme ai suoi colleghi (provenienti dagli Stati Uniti, dal Canada, da Francia, Germania, persino dalla Cina) ha proposto una moratoria di almeno cinque anni che blocchi qualsiasi sperimentazione clinica dell’editing genetico su gameti ed embrioni umani destinati all’impianto nell’utero. Tradotto: niente più «bambini Ogm», almeno per ora. «Quello che chiediamo è una moratoria, non una messa al bando» spiega lo scienziato. «Non si tratta di un tentativo di mettere i freni alla ricerca, piuttosto una robusta assunzione di responsabilità. Forse anche un bagno di umiltà per noi scienziati e la chiamata in causa degli organi decisori nazionali».

Secondo Naldini, «l’editing genetico rappresenta indubbiamente una grande promessa della medicina del futuro, l’evoluzione naturale della terapia genica attuale, ma c’è ancora da studiare per affinarlo in termini di sicurezza ed efficacia. Per quanto riguarda l’applicazione in ambito terapeutico, se da una parte non ci sono dubbi nello sperimentarne l’impiego in individui affetti da gravi malattie quali quelle genetiche, certi tumori o l’Aids, diverso è pensare di applicarlo alle cellule germinali prima della nascita, apportando modifiche trasmissibili anche alle generazioni successive. La riflessione su dove mettere i limiti, su fin dove sia lecito spingersi, è delicata e non può essere appannaggio della sola comunità scientifica, ma della società intera, alla luce di un dibattito aperto e costruttivo».

L’editing genetico si può già utilizzare per curare malattie importanti. Decisamente diverso, tuttavia, è sfruttarlo per creare esseri umani «potenziati». «Queste tecnologie sono straordinarie» prosegue Naldini. «È la vera medicina di precisione del livello più avanzato».

Le potenzialità sono enormi. Ma si possono anche immaginare applicazioni che vanno al di là della cura di malattie gravi. «Un conto è farlo per curare la distrofia muscolare in un paziente, un altro per migliorare la performance di un aspirante atleta, pur consenziente, e un altro ancora farlo su un embrione per pianificare la nascita di un “superman”. Per non parlare della possibilità di conferire all’uomo delle nuove capacità che non avrebbe naturalmente, come vedere la luce infrarossa o resistere a certe tossine batteriche o a un veleno».    

Lo scopo dell’appello, chiarisce Naldini, «è un po’ quello di smontare la hubris di alcuni scienziati. Non possiamo farci governare dalle biotecnologie, dobbiamo essere noi a governarle. La storia ci insegna che procedere senza cautela è dannoso anche per la ricerca. Prendiamo il caso degli Ogm in agricoltura. Il modo in cui sono stati gestiti ha creato un grande ostracismo nell’opinione pubblica, che si estende anche agli aspetti positivi degli ogm. Non dobbiamo rischiare che l’editing genetico faccia la stessa fine perché qualcuno oltrepassa i limiti».

Il tema, in fondo, è molto antico: è lecito fare qualcosa solo perché è tecnicamente possibile?  «Nel caso cinese» dice Naldini «di fatto è stato distrutto un gene che il virus Hiv utilizza per entrare nelle cellule. Questo comporta dei rischi. È vero che togliendo il gene si può creare la resistenza all’Hiv,  ma se quel gene è associato anche ad altre funzioni, che sono importanti, rimuoverlo può avere conseguenze dannose. C’è infine un altro aspetto da considerare. Se ci incamminiamo lungo questa strada, in futuro potremmo anche decidere di passare o non passare dai genitori ai figli il gene di un determinato carattere. Per esempio, il gene che determina il colore dei capelli o la forza muscolare. In parte siamo nell’ambito della fantascienza, ma si può immaginare che un domani si possa disegnare il corredo genetico di una persona. Ecco perché ci vuole un dibattito serio e aperto a tutte le componenti della società e non possiamo lasciarci trascinare dalla tecnica».

Il messaggio è chiaro: bisogna fermarsi prima che la genetica diventi eugenetica. n

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Daniela Mattalia