Ma serve a qualcosa l'Autorità nazionale anticorruzione?
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Ma serve a qualcosa l'Autorità nazionale anticorruzione?

L’Italia ha già avuto un organismo del genere per 4 anni, dal 2004 al 2008. Con risultati risibili e un aggravio di spese per il contribuente

Grande è l’attesa che circonda la futura Autorità nazionale anticorruzione. Così grande che l’ultimo intoppo sulla sua strada (lo stralcio dalla legge Stabilità della norma per rafforzarne il presidente) è stato presentato come una specie di sabotaggio dell’organismo destinato a liberarci dell’infedeltà di funzionari e amministratori pubblici. Giova ricordare che l’Italia ha avuto un organismo del genere per 4 anni, dal 2004 al 2008, con risultati non proprio brillanti. Si chiamava Alto commissariato anticorruzione e aveva sede a Roma a piazza S. Lorenzo in Lucina, a pochi metri da via del Corso, nel suggestivo palazzo Fiano-Almagià, nel cui giardino statue e reperti antichi fanno bella mostra di sé.

  La pianta organica prevedeva un commissario, cui spettava la retribuzione di un presidente di sezione della Corte di Cassazione maggiorata del 50% (ossia più di 400.000 euro lordi l’anno), un vice (148.000 euro), un direttore generale e una cinquantina di dipendenti comandati da altre amministrazioni, più esperti e consulenti vari. Per un costo complessivo che nel 2003 fu previsto di circa un milione e nel 2006 arrivò a sfiorare 4 milioni l’anno. Inutile dire che nel cortile erano sempre parcheggiate almeno tre auto blu, visibili anche ai passanti di piazza in Lucina, a disposizione di presidente, vicepresidente e direttore.

  Nulla di esorbitante, almeno per gli standard di prima della crisi, se l’Alto commissariato avesse davvero scatenato una lotta senza quartiere alla piaga della corruzione. Peccato sia stato invece trattato per anni come una sorta di parcheggio per magistrati e prefetti prestati alla politica in attesa di incarichi più importanti. Nel 2004 l’allora vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini si apprestava a metterci il suo capo di gabinetto Salvatore Sfrecola, ma poi saltò fuori a sorpresa il nome di Gianfranco Tatozzi, magistrato che nel ’96 era stato candidato al Senato in Abruzzo per Forza Italia e aveva perso per un soffio.

  Tanto era radicata l’idea di uno strumento super partes al servizio dei cittadini, che quando le elezioni le vinse il centrosinistra il nuovo presidente del Consiglio Romano Prodi non lo volle neppure ricevere. Tatozzi capì l’antifona e correttamente (l’Alto commissariato dipendeva dalla presidenza del Consiglio) rassegnò le dimissioni. Si pensò che fosse il preludio a una soppressione, magari motivata con l’intento di tagliare un po’ di spese. E invece no: tutto si risolse mettendo al suo posto l’ex prefetto di Milano Bruno Ferrante, già candidato del centro sinistra alla carica di sindaco di Milano sconfitto da Letizia Moratti.

  Il nuovo arrivato si trattenne solo sei mesi, pur avendo davanti un mandato di 5 anni rinnovabile per altri 5. Per andare dove? Alla presidenza della Fibe (gruppo Impregilo), società che avrebbe ben meritato la sua attenzione di Alto commissario, essendo pesantemente coinvolta nell’indagine della magistratura sullo scandalo delle finte ecoballe della discarica di Acerra che tanto contribuirono al disastro dell’immondizia a Napoli.

  A lui subentrò il prefetto Achille Serra, già parlamentare di Forza Italia che pochi mesi dopo la nomina si scoprì essere nell’animo uomo di sinistra: si candidò alle politiche per il Pd (ma poi si accasò al centro, con l’Udc) e lasciò l’incarico che avrebbe fatto l’orgoglio di qualunque «civil servant» per accomodarsi su uno scranno in Senato. Dopo una breve parentesi dell’ex prefetto di Bologna Vincenzo Grimaldi, l’Alto commissario Anticorruzione fu soppresso davvero e la sua bella sede andò al ministero per la Semplificazione normativa di Roberto Calderoli, che da tempo ci aveva messo gli occhi sopra. In tutto quel tempo aveva realizzato 20 inchieste conoscitive (rimaste per lo più senza alcun seguito) che, si può ben dire, sono state pagate a peso d’oro dai contribuenti.

  Ora, la nuova Autorità nasce sicuramente con l’intenzione di non ripetere gli errori del passato e già si sente dire che il rafforzamento dei poteri dovrebbe servire proprio a evitare che sprechi tempo e risorse pestando acqua nel mortaio. Ma forse è il caso di tenerla d’occhio. Anche considerando che il ministro della Pubblica amministrazione Filippo Patroni Griffi ha voluto l’ex vicepresidente dell’Anticorruzione di allora, Ermanno Granelli, nella commissione incaricata di stabilirne le regole, e che lo stesso ministro, quando ancora era capo di gabinetto del predecessore Renato Brunetta, è stato commissario della Civit, una delle tre commissioni che presero il posto dell’Anticorruzione quando fu soppressa nel 2008 e sulle cui fondamenta dovrebbe essere basato il nuovo organismo.

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Stefano Caviglia