L'insostenibile incompetenza del Campidoglio
ANSA/ANGELO CARCONI
News

L'insostenibile incompetenza del Campidoglio

Tutti gli errori della Giunta Raggi che hanno portato alle dimissioni del Capo di gabinetto Raineri e dell'assessore al Bilancio Minenna

La cosa più incredibile nella reazione a catena che sta investendo la Giunta di Roma Capitale è l’incompetenza.

Diffusa e trasversale. Come è possibile che una sindaca che di mestiere fa l’avvocato, una Capo di gabinetto ex giudice di Corte di appello, un assessore al Bilancio già commissario della Consob, i tecnici dell’avvocatura capitolina e quelli dell’assessorato al personale, tutti insieme, commettano un errore così marchiano? Il piede in fallo (che dovrebbe costare il posto o almeno una bella lavata di capo anche a qualche dirigente capitolino) l’hanno messo assumendo il magistrato Carla Raineri, il Capo di gabinetto della sindaca, appunto, non in base all’articolo 90 del Testo unico degli enti locali, come sarebbe stato doveroso, ma all’articolo 110.

La differenza non è da poco, perché il primo si riferisce a funzioni di staff, che non potrebbero essere remunerate più di 60-70 mila euro l’anno mentre il secondo riguarda i dirigenti, che raggiungono retribuzioni ben più alte. Quella di Rainieri è stata fissata a 193 mila euro lordi l’anno, facendo scattare la rabbia di buona parte della base romana del Movimento 5 Stelle. Insomma è anzitutto una questione di soldi pubblici e del modo in cui vengono spesi, primo cavallo di battaglia dei grillini durante la campagna elettorale.

Una ragione in più per seguire le regole alla lettera, cosa che Raggi e compagni non hanno fatto, soprattutto per sciatteria. L’articolo 110 avrebbe richiesto una procedura pubblica e tempi più lunghi, al termine dei quali sarebbe stata comunque la sindaca a decidere, visto che il Capo di gabinetto è una figura di stretta fiducia del primo cittadino e la Raineri più che qualificata per il ruolo.
Ma in Campidoglio hanno preferito sbrigare la faccenda con l’articolo 90 (ossia senza procedura pubblica), esattamente alla maniera dei predecessori Gianni Alemanno (in parte) e soprattutto Ignazio Marino, che ha inzeppato gli uffici di collaboratori assunti senza concorso e pagati come dirigenti. Non per niente è ancora aperta su di lui un’inchiesta della Corte dei Conti.

Il problema è che Virginia Raggi, fedele al suo stile da “maestrina”, ha voluto farsi certificare le nomine dall’Anac di Raffaele Cantone, il cui parere è stato seccamente negativo. Poteva ignorarlo dopo averlo chiesto pubblicamente? Certo che no. Conseguenza: nomina revocata e immediate dimissioni della diretta interessata, che probabilmente non ha nessuna intenzione di accettare un ingaggio alle condizioni dell’articolo 90 inclusa la riduzione di due terzi dello stipendio. Tra l’altro, se la sindaca avesse dato un’occhiata all’esposto-denuncia del consigliere di opposizione Fabrizio Ghera di Fratelli d’Italia (presentato in queste ore ma annunciato da settimane) o a quello del Codacons poteva arrivarci tranquillamente da sola. Invece si è fidata dei suoi collaboratori e ha combinato il pasticcio che è sotto gli occhi di tutti.

E fosse solo quello. Poche ore prima erano arrivate le dimissioni del direttore dell'Atac Marco Rettighieri (che pure con questa vicenda non sembrano entrarci per nulla) e a seguire quelle ben più pesanti dell’assessore al Bilancio Marcello Minenna, grande sponsor della Raineri e dunque primo responsabile del pasticcio insieme alla sindaca, che aprono una voragine nell’organigramma della Giunta. Sarà solo per solidarietà con la Raineri, o c’è anche dell’altro?
Perché sulle nomine la Giunta dei 5 Stelle non ne ha azzeccata una: dal capo della segreteria Salvatore Romeo, già funzionario del Campidoglio, messo in aspettativa e poi assunto come dirigente a 120 mila euro all’anno (in barba al tetto dell’articolo 90), al vice capo di gabinetto Raffaele Marra, cui viene rimproverata la vicinanza alla giunta di Gianni Alemanno. Senza dimenticare che qualche problemino potrebbe averlo lo stesso Minenna, a causa del potenziale conflitto di interesse fra il suo ruolo di commissario, sebbene in aspettativa, della Consob (che vigila sulla Borsa) e la delega alle aziende partecipate del Comune di Roma, fra cui l’Acea che è quotata in Borsa.

Ultimo elemento del quadro, le tensioni che tutto questo innesca dentro il Movimento 5 Stelle, dove molti non nascondono più la diffidenza verso Virginia Raggi e le persone di cui si è circondata. Ultimo esempio, il j’accuse sui criteri delle nomine dell’attivista Francesca De Vito, sorella del presidente dell’Assemblea capitolina Marcello, a sua volta strettissimo alleato dell’ex capogruppo del Movimento alla Camera, Roberta Lombardi. Che di Virginia Raggi è nemica giurata.

I più letti

avatar-icon

Stefano Caviglia