Leggende e fantasmi dell'Asia
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Leggende e fantasmi dell'Asia

Ecco come il passato, a volte imbarazzante, di alcune nazioni può essere ricordato dalle storie di uno spirito maligno

Per quanto strano possa sembrare, sono ancora tantissime le persone che credono ai fantasmi. Anche se, come rivela una ricerca recentemente pubblicata da The Atlantic , la natura, le abitudini e gli interessi di questi spiriti variano da paese a paese. Del resto, come le persone, anche le vite dei fantasmi che popolano libri e leggende ai quattro angoli del pianeta sono fortemente influenzati dalla cultura e dalle abitudini di chi narra le loro storie, e dal loro passato, soprattutto quando quest'ultimo è talmente imbarazzante da meritare di essere nascosto.

I toyols, ad esempio, sono i fantasmi della Malesia e dell'Indonesia, piccoli folletti dalla pelle verde da cui spiccano brillanti occhi rossi, o ancora feti morti o neonati nati morti e successivamente rianimati facendo ricorso alla magia nera. I loro padroni li ospitano in appositi vasetti, nutrendoli di tanto intanto con qualche goccia del loro sangue. Sono ottimi compagni di microcriminalità, violenza e sabotaggio. E ricordano i tempi in cui nel Sudest asiatico l'infanticidio era così comune che molti neonati venivano addirittura sepolti vivi per evitare loro le sofferenze cui sarebbero andati incontro negli anni successivi.

Gli skondhojatas sono i fantasmi dell'India. Si riconoscono perché non hanno la testa, e si narra siano le reincarnazioni degli uomini che hanno perso la vita in un incidente ferroviario, e frequentino soprattutto le stazioni. Tutti gli indiani che viaggiano di notte sostengono di averli incontrati…e sconfitti. Perché per quanto violenti possano essere, sono senza testa, quindi facili da annientare. L'origine di questa leggenda? Lo scarsissimo livello di sicurezza del sistema di trasporti indiano. Un problema decennale che le autorità spesso nascondono, non essendosi dimostrate in grado di risolverlo.

Kuchisake-onna è il nome dei fantasmi giapponesi: donne bellissime con il volto sempre coperto da una maschera. La stessa che molte donne asiatiche indossano per proteggersi dal freddo o dalle allergie. Questi spettri hanno l'abitudine di avvicinarsi agli uomini che transitano dalle stazioni ferroviarie e della metropolitana agli orari più improbabili per chiedere loro di confermarne la bellezza. Se la "vittima" risponde di sì, tolgono la maschera svelando così il loro sorriso insanguinato. Se risponde di no, il fantasma ne sfregia il volto con un coltello. L'origine di questa leggenda è rintracciabile nell'epoca dei Samurai, quando, si narra, un guerriero tradito taglio il volto della sua amante. Eppure, nel Giappone contemporaneo sono ancora tanti i mariti gelosi che controllano ogni movimento delle loro mogli, e tante le donne che cercano (invano) un modo per ribellarsi.

A concludere questa disamina sui fantasmi asiatici, non poteva mancare quello cinese, il Jiang Shi (letteralmente, cadavere rigido), una creatura orribile che ricorda sia un vampiro che uno spettro, ma che in realtà incarna lo spirito di persone morte in maniera violenta o che si sono suicidate. La sua pelle è di colore verde, indossa spesso gli abiti tradizionali del periodo Qing, e si nutre succhiando "l'essenza vitale" degli esseri viventi. Non è ben chiaro da dove derivi questa leggenda, ma i cinesi hanno sempre avuto con i morti un rapporto speciale. Vanno accompagnati nell'aldilà con tutti le comodità possibili, e capita che le famiglie decidano di organizzare per loro anche un matrimonio postumo (tra spiriti ovviamente), per chi nella vita vera non è riuscito a trovare moglie o marito. Chi si toglie la vita con violenza, quindi, non dovrebbe meritare questo trattamento a cinque stelle, e viene condannato a vagare senza meta da un luogo all’altro, senza poter mai trovare pace.

 

 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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