La politica dei pesci in faccia
ANSA/CLAUDIO PERI
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La politica dei pesci in faccia

Il premier Matteo Renzi, nonostante non sia legittimato dal voto, esercita il potere tenendosi alla larga dal confronto. Incurante delle figuracce

Ha un bel risentirsi, Matteo Renzi, quando gli viene rimproverato di essere un presidente del Consiglio abusivo, dato per altro incontrovertibile non essendosi mai candidato davanti agli italiani alla guida del Paese. Alla luce del programma di governo mai vidimato dagli elettori che porta avanti, la contraddizione tra le regole della democrazia e la situazione attuale rappresenta un'evidente lacerazione.

Il premier, sostenuto da una maggioranza figlia dei peggiori trasformismi della Prima repubblica, vive il suo impegno da abusivo nel solco di una regola: quella dei pesci in faccia. Non si discute, non si ragiona, men che mai ci si confronta. Vale per tutte le categorie in Italia e si estende a ogni latitutidine in Europa, e non solo. Così, in casa nostra, non trova cittadinanza per esempio il dissenso di medici, professori, professionisti mentre fuori dai confini sono a tutti note le intemerate contro Jean-Claude Juncker e Angela Merkel. Per non parlare delle unioni civili per le quali si ignora bellamente il dissenso manifestato nelle forme più diverse da milioni di cittadini.

Questo modo di fare politica è figlio di una sottocultura che nega in radice l'essenza stessa della politica: è la spocchia che non ti fa parlare ma proclamare, l'immagine di un premier che non cammina ma incede. Anche alla luce dell'ultima figuraccia rimediata in Europa sugli aiuti alla Turchia (Renzi ha sbraitato come un ossesso sullo scorporo dei contributi dai conti pubblici, ma l'Ue gli ha fatto sapere che è scritto fin dal dicembre scorso che i contributi per gli immigrati sono neutrali ai fini di bilancio...) si conferma un sospetto in capo alle dinamiche che guidano l'azione del premier: prima di parlare non pensa, né si informa. Butta lì una frase a effetto, col tono solenne e la faccia corrucciata, illudendosi che quella sua frase possa sostituire la realtà.

Quando poi è alle corde o in difficoltà si ricorre all'aiutino con due poltrone e quattro seggiole di sottogoverno al Nuovo centrodestra, si accettano le "convergenze parallele" con Denis Verdini o con i parlamentari dei 5 stelle e si va avanti. Si tira a campare, più che altro. Che, tradotto, vuol dire vivacchiare alla giornata. Tra un tweet e un'intervista-proclama al tg della sera. È la rappresentazione di una realtà che non corrisponde al vero. È lo specchio deformato di un'Italia sempre più in balia delle chiacchiere e di una consorteria destinata a sbriciolarsi con la stessa rapidità che l'ha portata non a governare il Paese, ma a occupare il potere.

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Giorgio Mulè