Isis: tra le fonti di finanziamento anche il riciclaggio di auto?
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Isis: tra le fonti di finanziamento anche il riciclaggio di auto?

Tre libici fermati nel porto di Genova potrebbero far parte di un'organizzazione che finanzia il terrorismo. Intervista al Procuratore capo Francesco Cozzi

Il riciclaggio di auto è una delle fonti di finanziamento dell’Isis? È su questa ipotesi che la Procura di Genova sta indagando, ormai da settimane. Gli inquirenti genovesi stanno cercando di ricostruire se dietro a Abdel Kader Alkourbi, Muhamad Sibratah Mosa e Mohamed Abdel Amar, tre libici fermati lo scorso 3 gennaio mentre sbarcavano a Genova da un traghetto proveniente da Tunisi, ci possa essere un legame con l’Isis e soprattutto se i tre sono legati ad una organizzazione in grado di finanziare il terrorismo attraverso il riciclaggio delle auto.

“È una ipotesi sulla quale stiamo cercando riscontri concreti - ha spiegato a Panorama.it, Francesco Cozzi, Procuratore capo della Procura della Repubblica di Genova – ci sono degli elementi che potrebbero portare a ipotizzare che i tre soggetti siano effettivamente dei fiancheggiatori dello Stato islamico e che il loro passaggio sul nostro territorio possa essere legato ad una attività di riciclaggio di autovetture.”

I tre libici vengono fermati durante uno dei controlli effettuati sulle banchine del porto genovese dalla polizia di frontiera che li trova alla guida di tre auto di dubbia provenienza e con foto sui cellulari riconducibili al terrorismo islamico. Ma la cosa che insospettisce immediatamente i militari sono proprio le auto: tre Hyundai bianche. Identiche.

“Adesso è ancora troppo presto per potersi pronunciare con elementi certi, occorre ancora ricostruire il tragitto compiuto dai tre fino a Genova e per far questo occorrerà fare delle verifiche e degli accertamenti anche nel loro Paese di provenienza, la Libia- precisa il procuratore Cozzi – cosa che, come è facile immaginare, non è sicuramente semplice” .

Abdel Kader Alkourbi, Muhamad Sibratah Mosa e Mohamed Abdel Amar, nel corso dell'udienza, si sono difesi dicendo di essere i proprietari delle tre Hyundai e soprattutto di non essere dei terroristi nonostante le immagini memorizzate nei cellulari fossero chiaramente riconducibili allo Stato Islamico.

“Non sono foto che inneggiano all'Isis - hanno detto i tre, spiegando come mai avessero quelle foto sugli smartphone - ma anzi servono a far vedere che il nostro Paese di origine è stato attaccato da quelle persone e che il Califfato è una cosa deplorevole”.

I tre si trovano in carcere da quasi venti giorni e ieri, i giudici del Tribunale del Riesame di Genova si sono riservati di decidere sulla richiesta di scarcerazione presentata dai legali di Abdel Kader Alkourbi, Muhamad Sibratah Mosa e Mohamed Abdel Amar. Secondo il pm Pier Carlo Di Gennaro e il gip Cinzia Perroni, che ne aveva disposto la misura cautelare del carcere, gli elementi  per sostenere che i tre potrebbero essere dei fiancheggiatori dello stato islamico, ci sono.

Ma la procura non sta ricostruendo solo il passaggio sul territorio ligure, dei tre libici ma anche dei due fratelli, fermati la sera del 31 dicembre nell’aeroporto di Genova.
I due avevano passaporti belgi ma non parlavano francese. L'uomo e la donna, rispettivamente di 24 e 31 anni in realtà erano di origini siriane e si stavano imbarcando, con documenti falsi, su un volo per Londra. Ma i due fratelli avevano sui cellulari anche foto di armi artigianali e di scene di guerra riconducibili all’Isis. Nelle loro valigie, inoltre, sono stati trovati decine di documenti.
“Stiamo cercando di capire se questi due episodi, così come altri fatti che si sono verificati in passato e hanno coinvolto il nostro territorio- conclude il procuratore capo – sono collegati tra di loro. È questo il delicatissimo lavoro che sta facendo la polizia giudiziaria: cercare di trovare le prove per sovrapporre degli elementi appartenenti ai vari casi che, al momento, sembrano tutti scollegati tra di loro”. Al centro delle indagini degli investigatori ci sono anche altri episodi e soggetti sui quali il procuratore Cozzi ha voluto mantenere il riserbo.

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Nadia Francalacci