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Iran, gli italiani sul filo del rasoio

Dal 2 maggio niente più deroghe all'embargo Usa verso Teheran con saranno sanzioni pesanti. E le aziende italiane rischiano

E’ un terreno scivoloso quello su cui si sono dovute muovere le aziende italiane in Iran dopo l’imposizione delle sanzioni americane dell’8 maggio 2018. E adesso che la Casa Bianca ha deciso di annullare le esenzioni sull’embargo, delle quali ha goduto anche l’Italia, sarà ancora più difficile. Le nostre imprese si sono dovute destreggiare finora in una situazione politica rischiosa e una normativa complicata. Temute soprattutto le possibili «sanzioni secondarie» da parte degli Stati Uniti. Come l’azienda metalmeccanica Danieli che aveva una sua sede proprio a Teheran. «Prima dei provvedimenti americani c’era un nostro service centre nella capitale che funzionava bene» racconta un suo dipendente. «Dopo le sanzioni purtroppo non opera più».
Stesse difficoltà per altre imprese già presenti nella capitale iraniana: Ansaldo Energia, Fata, Contship, Edison, Eni, Italtel, Gruppo FS, Pininfarina e Alitalia che finora ha effettuato voli tra Roma e Teheran, ma ancora per poco.

Facciano un passo indietro. A novembre 2018 il presidente americano Donald Trump aveva concesso alcune deroghe a Cina, Giappone, India, Corea del Sud, Turchia, Taiwan e Grecia e, appunto, all’Italia. Questi Paesi potevano continuare ad acquistare greggio dall’Iran. Obiettivo, quello di non infliggere uno choc al mercato. Il 22 aprile scorso, però, il dipartimento di Stato ha annunciato che a partire dal 2 maggio tutte le esenzioni, quella a favore dell’Italia inclusa, saranno eliminate; e chi continuerà a importare petrolio dal Paese mediorientale rischierà di finire sulla lista nera con possibili ritorsioni e provvedimenti. Il futuro per il nostro Paese sembra tutt’altro che roseo, anche se potrebbero esserci notizie positive nel caso in cui il nuovo strumento europeo che regola le transazioni (lo special purpose vehicle) diventerà effettivo. Ma l’inviato speciale per l’Iran della Casa Bianca, Brian Hook, ha detto che la nuova stretta ridurrà l’export iraniano a soli 1,1 milioni di barili al giorno. Nell’aprile del 2017 erano 2,8 milioni. E con un nuovo giro di vite, l’8 aprile gli Stati Uniti hanno inserito i Pasdaran nella lista delle organizzazioni terroristiche.

Adesso è un momento decisivo per la strategia di Donald Trump. Tutto è iniziato quando il presidente Usa ha deciso di uscire dall’accordo sul nucleare iraniano, infliggendo così un duro colpo alla Repubblica islamica del presidente Hassan Rouhani. Al fianco di Trump, sin dal primo momento, c’è stato il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che il 9 aprile ha vinto le elezioni. Si è quindi rafforzato l’asse anti-iraniano tra Washington e Tel Aviv.
L’effetto depressivo per l’Iran delle sanzioni americane si misura con semplici rilevazioni. «L’economia che era cresciuta del 13,4 per cento nel 2016, nel 2019 andrà in negativo del 3,6 per cento» spiega Ali Alfoneh, analista dell’Arab Gulf States Institute di Washington. «L’irrigidimento Usa ha inoltre scoraggiato gli investimenti esteri e causato la fuga di capitali dal Paese». Le élite della Repubblica islamica percepiscono la guerra economica americana contro l’Iran come «un tentativo di cambiare il regime causando il collasso economico e l’implosione del Paese» precisa Alfoneh.

La nuova politica americana ha subito avuto ripercussioni sul mercato europeo, a partire proprio da quello italiano. Secondo i dati della Camera di commercio italo-iraniana, l’export dell’Italia verso l’Iran nel periodo gennaio-dicembre 2018 è calato dello 0,8 per cento. E l’import ha fatto peggio, con un meno 13,2. L’Italia acquista dall’Iran soprattutto petrolio, prodotti siderurgici, pietre e alimentari come i pistacchi. Da una parte era il primo partner commerciale europeo di Teheran per importazioni di greggio. Dall’altra, nelle esportazioni, era secondo soltanto alla Germania. Tra i prodotti più esportati nel 2018, i macchinari, per un valore di 1 miliardo e 5 milioni di euro; le apparecchiature elettriche per un giro di affari di 128 milioni di euro; i prodotti chimici per 147 milioni di euro; gli alimentari per 16 milioni di euro e i medicinali per 49 milioni di euro.
Nonostante le difficoltà, le imprese italiane continuano a muoversi nel mercato iraniano. «La maggior parte del business europeo è lecito, ma aziende che ricavano larga parte del fatturato dagli Stati Uniti hanno deciso di adeguarsi alle misure americane per paura di ritorsioni di Washington» spiega Valerio Rugge, avvocato dello studio Rödl & Partner. «Il Tesoro americano impedisce che i beni vengano pagati in dollari e le banche italiane hanno quasi interrotto le transazioni eccetto che per i beni non gravati dalle sanzioni, quelli cioè a scopo umanitario: medicine, cibo e prodotti agricoli. Ma le piccole e medie aziende commerciano anche prodotti che non rientrano nelle categorie consentite, pur incontrando poi difficoltà nell’incasso. Alcuni istituti di credito operano anche al di fuori di ciò che è ufficialmente permesso, ma lo fanno nel caso in cui abbiano un cliente a cui non possono dire no». La regolamentazione è molto complessa e le scappatoie sono possibili. «Molte banche iraniane, anche se iscritte nella “lista dei cattivi”, sono esentate dalle sanzioni. E non si può nascondere che spesso ci siano triangolazioni rocambolesche con Paesi limitrofi dell’area come la Turchia e gli Emirati» puntualizza Rugge.

Per questo moltissime piccole e medie aziende chiedono alla sede di Teheran dell’Ice, il nostro Istituto per il commercio estero, che atteggiamento tenere. «C’è sicuramente un calo nelle iniziative promozionali, perché le aziende preferiscono concentrarsi su mercati più promettenti nel breve periodo. Ma la situazione è un’occasione per quelle piccole-medie aziende che possono riempire il vuoto lasciato da chi si è ritirato» sostiene Augusto Di Giacinto, direttore dell’Ice in Iran. Ma anche chi opera nei settori non colpiti si trova a dover fronteggiare difficoltà nei pagamenti. «Deve appoggiarsi a una banca italiana, per esempio la Banca popolare di Sondrio, che accetta di fare operazioni con l’Iran, ma anche così molta è l’incertezza» aggiunge Annalisa Perteghella analista dell’Ispi.
Così, in questo momento il Paese degli ayatollah cerca di muoversi diversamente: «Si fa affidamento sulla produzione interna e sui rapporti con l’Est, Cina, India, Corea del Sud, Russia in attesa degli sviluppi negli Stati Uniti» chiarisce l’analista. Ne sa qualcosa Unicredit che dovrà pagare, 1,2 miliardi di euro per aver effettuato transazioni con l’Iran. La sanzione è più salata rispetto alle previsioni, che parlavano di una multa di circa 800 milioni di euro.
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