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Inps, lo spreco delle case dei pensionati

Ecco, caso per caso, come l'Inps spreca ogni anno decine di milioni di euro delle nostre pensioni

L’hanno pomposamente ribattezzato «il Colosseo». Definizione immaginifica, ma pure metaforica. Perché quell’imponente emiciclo di palazzoni a Latina è diventato davvero un’arena da gladiatori: occupazioni abusive, criminalità dilagante, degrado inarrestabile. Appena un mese fa, all’alba del 3 gennaio 2019, gli ultimi sgomberi di polizia e carabinieri. Negli scrostati caseggiati ci sono decine di appartamenti dell’Inps. E 37 uffici: solo uno però è affittato. Così questo «Colosseo» postmoderno, un impasto di cemento e incuria, è uno dei simboli dell’appassimento del tesoro immobiliare dell’istituto previdenzale. Anche ad Anzio, città distesa sul litorale romano, una ventina di chilometri dall’«arena» di Latina, con non hanno lesinato metafore edilizie. L’Inps ha ben 75 appartamentisfitti in un quartiere ribattezzato Zodiaco. Toponomastica impeccabile. Le strade sono dedicate ai segni zodiacali: via dei Pesci, via dell’Acquario, via del Leone... Da anni, gli abitanti combattono contro l’occupazione abusiva degli alloggi. E adesso minacciano di denunciare l’ente per danno erariale.

Già, perché ogni mattone posseduto dell’Inps è molto più di un cespite iscritto a bilancio. È parte del capitale a garanzia delle pensioni. Oltre 30 mila immobili tra case, box, uffici e terreni. Tre miliardi di valore. Il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha annunciato di volersi disfare di tutto. Ma le decantate dismissioni si sono arenate, tra inerzia e complicanze. Il 16 febbraio 2019 termina il mandato di Boeri. Chi sarà il suo successore? E cosa ne farà di ville e palazzi? Vendere questo vastissimo patrimonio non sarà impresa facile. Migliaia di immobili vuoti, affitti simbolici, inquilini resilienti, occupazioni incontrollate. Il tesoretto previdenziale, complice un mercato immobiliare fiacco, deperisce di anno in anno. Ma, soprattutto, resta in gran parte inutilizzato. Panorama ha consultato gli sterminati elenchi dell’Inps: regione per regione, città per città. Sono gli ultimi dati disponibili: si riferiscono al 2016. Incrociando cifre e documenti, emergono i numeri di una caporetto. Sono appena 9.309 le unità locate, meno di un terzo del totale. E rendono appena 48,5 milioni dell’anno. Nel mentre l’istituto spende 87 milioni all’anno per affittare 431 sedi, che si aggiungono a quelle di proprietà già utilizzate e a ben 751 uffici sfitti. Un saldo che in alcune regioni diventa impietoso (vedi tabella a pagina 30). In Puglia, per esempio, l’Inps incassa 412 mila dai suoi inquilini. Però sborsa dieci volte di più per strutture da adibire ad agenzie e direzioni: 4,5 milioni. In Calabria raccoglie 388 mila euro, ma spende sei volte tanto: 2,5 milioni. In Piemonte racimola pigioni per 1 milione, ma ne paga 4,9 per gli uffici sparsi sul territorio. Nemmeno in Lombardia la gestione brilla. Gli «affitti attivi» si fermano a 4,6 milioni. Mentre «gli affitti passivi» si stagliano a 16,9 milioni.

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Tra i beni dell’Inps, quelli di maggior valore sono però le 10.834 abitazioni. Peccato che quasi un terzo delle case, 3.183 per l’esattezza, siano sfitte. Più di un migliaio sono a Roma. Dove, storicizzate le occupazioni, si cominciano a sperimentare usi più creativi. Come in via Alessandro Ruspoli, nel quartiere Dragoncello. Lo stabile, un tempo sede dell’Inpdap e poi dell’Inps, giace ormai nell’abbandono. E un anno fa i carabinieri hanno scoperto nel palazzo perfino una palestra: con tanto di sauna, sale pesi e area fitness. Tutto abusivo. Nello stabile però non si badava solo all’estetica. Ma anche al nutrimento culturale. Quelli della Benemerita, tra la selva di immobili occupati, hanno scovato pure una casa di produzione cinematografica indipendente: illegale, ovviamente. Attività commerciali e appartamenti non pagavano nemmeno la luce: gli allacciamenti erano illegali. Iperboli, certo. La capitale tuttavia è piena di palazzi appartenuti negli anni agli enti pensionistici. E oggi diventati fortini inespugnabili. Alcuni stanno in cima alla lista degli edifici da sgomberare stilata dal Viminale: uno dei pallini di Matteo Salvini, ministro dell’Interno. Come l’ex sede Inpdai, in viale delle Provincie.

Non tutte le strade dello spreco previdenziale portano però a Roma. Anzi. Vedi il caso dell’insospettabile Veneto: dove l’Inps possiede 1.978 immobili, di varia natura. Eppure ne affitta appena 248: il 12 per cento. Così, spulciando la lista dei possedimenti veneti si scopre, per esempio, che a Verona l’ente ha 181 appartamenti in via San Giacomo. Peccato siano sfitti, senza soluzione di continuità: dal primo all’ultimo. Restando in zona, a Padova l’istituto può contare su 102 abitazioni. La maggior parte si trova in un fazzoletto d’asfalto: tra via Brigata Padova, via Tirana e via Palestro. Il centro è a un tiro di schioppo. Eppure, a reddito finiscono sei misere pigioni. Un tetro oblio che ha convinto, negli anni scorsi, il collettivo universitario Bios Lab e il centro sociale Gramigna a prendere in prestito alcuni spazi al grido di: «Okkupiamo!». A Treviso, invece, restano vuote da anni 33 case nel quartiere di Santa Bona, diventata teatro di ventennale guerra: inquilini e sindacati da una parte, Inps dall’altra. Pochi chilometri più a sud, in direzione Laguna, si arriva a Venezia. E anche qui, la musica non cambia: 144 comodi alloggi, solo 40 locati.

Va un po’ meglio in Lombardia. Dove comunque l’istituto non ha mutuato efficienza padana. In tutta la regione, conta 5.946 proprietà: case, box e uffici. Ne affitta però solo 1.450: un poco commendevole 25 per cento. Le proporzioni si ribaltano solo a Milano, indiscussa capitale immobiliare d’Italia: 171 abitazioni libere su 591. Ma molti appartamenti restano vuoti anche a due passi dal Duomo: da via Gonzaga a via Visconti di Modrone. E, incrociando i dati forniti dall’istituto, si apprende che, in alcuni casi, le pigioni sono simboliche. Come nel caso del palazzone di corso di Porta Romana, 51: dietro la Statale. Lo stabile, quantifica l’ente, vale circa 30 milioni. E ha 114 alloggi, 19 sfitti. Un edificio da cui l’Inps ricava ogni anno, tenetevi forte, l’iperbolica cifra di 101 mila euro: una teorica media di un centinaio di euro al mese per inquilino. Più o meno la locazione, nel mondo reale, di un posto auto nella remota periferia della città.

Anche in zona hinterland meneghino, l’istituto ha vasti possedimenti e scarsa vocazione per gli affari. Così a Rho, sede del nuovo e acclamato centro fieristico milanese, su 400 abitazioni ne restano sfitte 342. E, sempre rimanendo nel novero dei luoghi simbolici, a Cologno Monzese, regno delle antenne televisive berlusconiane, ci sono 153 alloggi liberi su 192. La resa è ancora più modesta a Brescia. Dove, su 84 appartamenti, solo 13 sono affittati. Molti sono in via Benedetto Croce: una zona a due passi dal centro diventata una landa desolata, complice anche l’abbandono degli immobili previdenziali.

Vista la diffusa situazione di perdurante inerzia, decine di amministrazioni hanno dunque bussato alle porte delle direzioni regionali dell’ente. Domandando quello che, fino a poco tempo fa, sembrava inosabile: piuttosto che tener vuote le case, perché non ce le cedete temporaneamente? A Bologna, per esempio, da anni sindaco e assessori lanciano accorati appelli all’Inps: vorrebbero in affitto gli appartamenti vuoti, per le famiglie in difficoltà. La risposta è sempre stata la stessa: vade retro. Così non sorprende più nemmeno quello che lo scorso marzo hanno scoperto i carabinieri in via Monteverdi, a Firenze, dove l’Inps fa da latifondista: è proprietaria di cinque stabili. Due fratelli, di origine calabrese, avevano organizzato un racket di alloggi previdenziali. S’impossessavano di case dell’ente sfitte. E poi le affittavano in nero: dietro puntuale pagamento di pigione mensile, ovviamente. Un’associazione a delinquere, sostengono i magistrati. Conseguenza della trascuratezza, aggiungono gli stremati residenti di via Monteverdi.

Ma poi, alla fine, che importa? Anche quei caseggiati della periferia fiorentina sono palazzi parastatali. Un granello del nostro patrimonio previdenziale. Soldi di tutti. E quindi, in ossequio all’italica morale, di nessuno.
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Antonio Rossitto