Affare nostrum, il business degli immigrati
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Affare nostrum, il business degli immigrati

In Sicilia molti alberghi si trasformano in centri di accoglienza per migranti. Un affare molto remunerativo

La selva di foto ricordo con le celebrità è rimasta al solito posto: il corridoio a destra della reception. Erano anni gloriosi per l’Hotel Villa Mokarta di Salemi, nel Trapanese. Clientela nota ed eterogenea. Davanti all’obiettivo posavano l’ex pm Antonio Ingroia e, uno scatto più in là, Fabrizio Corona, oggi detenuto nel carcere milanese di Opera. E poi attori, intellettuali, politici. Come Vittorio Sgarbi, già sindaco di Salemi. Clic, clic, clic: tutti gli avambracci dei vip allacciati al collo di un omone stempiato e sornione, Salvatore Cascia, proprietario dell’albergo. Tempus fugit: in gennaio Villa Mokarta si è trasformata in un affollato centro di accoglienza straordinaria per immigrati. Nelle sue 40 ricercate camere una volta dormivano i potenti di passaggio a Salemi, capitale d’Italia per un giorno su proclamazione di Giuseppe Garibaldi, appena sbarcato nell’isola. Oggi nella hall lastricata di marmo ciabattano annoiati 149 richiedenti asilo. Sono arrivati da Gambia e Senegal a bordo di malferme carrette, ingranaggi di un’ormai insostenibile tratta degli schiavi. «Mare nostrum», l’operazione militare e umanitaria varata a ottobre dal governo, ha solo accentuato le complicanze. 

Gli ultimi dati sono abbacinanti: prima dell’ultimo barcone con a bordo 600 disperati e 30 morti, sono oltre 53 mila i disperati approdati in Sicilia da gennaio (su un totale di 61.585 sbarcati sulle coste italiane nello stesso periodo, vedere il grafico sotto). E almeno la metà hanno trovato riparo nell’isola: dentro sterminati centri d’accoglienza come il Cara di Mineo, nel Catanese, che ospita 4 mila persone. In istituti religiosi e opere pie. E in alberghi, che hanno scelto di rivedere l’oggetto del proprio business: dai turisti ai richiedenti asilo. Sono più di 1.500 i migranti accolti negli hotel siciliani. Agli albergatori è bastato dare disponibilità alle prefetture, sfiancate dalle continue richieste di posti da parte del ministero degli Interni. Gli adempimenti richiesti non sono insormontabili: costituire una cooperativa o un’associazione per variare l’oggetto sociale, approntare uno staff di mediatori culturali e psicologi, garantire vitto, alloggio e raccordo con le istituzioni. Firmata la convenzione con la prefettura, si ricevono 30 euro più Iva al giorno per ogni persona accolta. Così un hotel che mette a disposizione 100 posti riceve quasi 1,1 milioni all’anno dallo Stato. A fronte di servizi essenziali e rabberciato mantenimento della struttura.

Nessuno degli interpellati, ovviamente, è disposto a tirar fuori la calcolatrice. «Non è solo una questione di lucro, ma anche di cuore» garantisce Cascia, seduto nel suo ufficio a Villa Mokarta. Sgarbi, ex sindaco di Salemi, parla di nuove forme clientelari: gli sbarchi garantiscono soldi pubblici e nuovi posti di lavoro in zone al collasso economico. Cascia non è d’accordo. «Certamente però gli immigrati stanno muovendo l’economia di tutta la provincia...» concede. A Trapani e dintorni sono accolti più di 2 mila richiedenti asilo: 500 vivono in albergo. Dovrebbero rimanere qualche mese al massimo, in attesa che le commissioni interprovinciali valutino il loro status di rifugiati. La realtà è ben diversa. Proprio il prefetto di Trapani, Leopoldo Falco, lamenta attese di un anno. «Perché» domanda «lo Stato non potenzia le commissioni per garantire tempi ragionevoli?». 

Già, perché? Ogni giorno in più di permanenza in Italia costa complessivamente 1,6 milioni: cifra solo in parte coperta dai fondi europei destinati all’emergenza. Per piccoli paesi con un’economia balbettante come Salemi però è una manna: ogni immigrato riceve 2,5 euro al giorno di «pocket money». Spesi in telefonia, bar, alimentari e tabacchi. Senza considerare che i più abbienti ricevono periodiche rimesse dai familiari. «L’accoglienza è diventata un settore economico» ammette Cascia. L’imprenditore di Salemi ha maturato la scorsa estate questa riconversione: «Ci siamo resi conto che le prenotazioni per la stagione erano scarsissime. E abbiamo dato la disponibilità alla prefettura». Ogni tanto, sull’uscio del suo ufficio si affaccia un migrante: «Salvatore...». «One moment, please» risponde lui gentilmente, con il suo malfermo inglese. Riprende il filo: «Ho assunto 8 persone, ma pensavo fosse più difficile gestirli. Non rimpiango il passato, anzi vorrei continuare a occuparmi di loro». 

A Villa Mokarta è pomeriggio inoltrato. La piscina, sul retro, si affaccia su una vallata di ulivi. Attorno alla vasca vuota ci sono gruppi di nordafricani. Lamin dice di essere un leader politico, in Gambia. Discute animatamente con un gruppo di connazionali. Si volta, con tono intimidatorio: «Io non voglio perdere tempo qui, giocando a calcio. Voglio andare a parlare con quelli della commissione». Altri sembrano prenderla con più filosofia. C’è chi palleggia a bordo piscina. Chi stende la biancheria. Chi gioca a dama. Metà degli ospiti sono però stipati nell’ex ristorante dell’hotel, ipnotizzati dai Mondiali di calcio in tv. Oltre a Villa Mokarta, a Salemi ci sono 5 enti che hanno siglato convenzioni con la prefettura. Tra questi c’è il gruppo folkloristico Sicilia Bedda: organizza spettacoli con «friscaletti, bummuli, maranzanu, tamburello e mandolino» promette il sito web. L’associazione dà vitto e alloggio a 39 migranti in un edificio color mattone, in periferia. «C’è il responsabile?». La ragazza con i capelli corti scuote la testa: «Oggi no: è alla cresima della nipote». E chi lo sostituisce? «Suo cognato, ma è alla cresima pure lui». Non ne sa molto di più: «Io faccio le pulizie». Ma è da sola? «C’è la cuoca. Vuole che la chiami?». Qualche stanza più in là si sente la voce del telecronista: sono tutti alla tv, guardano i Mondiali pure loro.Sul business non hanno messo gli occhi solo piccoli imprenditori locali.

Una struttura è stata allestita anche all’interno dell’Hotel Poma a Custonaci, sempre nel Trapanese, a pochi chilometri dalle più belle spiagge siciliane. L’albergo, terminato nel 2009, dispone di 22 camere: «Suddivise in classic, junior e senior suite» dettaglia il sito. «Grazie alla moderna concezione strutturale, è in grado di offrire un servizio di ospitalità di alto livello». Cinque anni dopo la sua inaugurazione, l’hotel è stato già trasformato in un centro d’accoglienza: 97 posti. L’operazione è stata voluta dalla Gepsa, società transalpina che già gestisce 15 carceri in Francia. L’azienda appartiene alla multinazionale Gas de France, il colosso energetico statale che in Italia già controlla, con la Sorgenia della famiglia dell’ingegner Carlo De Benedetti, la centrale a carbone di Vado Ligure, sotto sequestro dall’11 marzo per aver superato i limiti delle emissioni inquinanti. Morale: lo stato francese, seppure indirettamente, fa affari con gli immigrati sbarcati sulle coste siciliane. L’Hotel Poma è un palazzotto a 2 piani. Nei balconcini sopra l’ingresso alcuni ragazzi a torso nudo stendono la biancheria. Nella reception ciondola una decina di richiedenti asilo. Viene avanti una quarantenne dai capelli corvini: «Non possiamo dare nessuna informazione». Arriva il responsabile, sulla trentina, con i pantaloni a pinocchietto e la maglietta colorata: «Dovete fare una richiesta in prefettura. Se vi autorizzano ne fate un’altra alla società che gestisce il centro». Insomma, non vogliono giornalisti tra i piedi. Quale società? Silenzio. Dopo insistenze, concede: «La Gas de France». E perché una multinazionale investe in un alberghetto di Custonaci? «Chiedetelo a loro, arrivederci».

Nelle liste delle prefetture ci sono anche hotel di rinomate località turistiche. Come Selinunte, nei dintorni dell’acropoli affacciata sul Mediterraneo. La Locanda, immersa nella campagna, fu inaugurata nel novembre 2007 alla presenza dell’attuale ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, allora presidente di Legacoop. Oggi ospita 115 migranti. Alcuni parlottano al cellulare. Nella hall sbuca un signore con gli occhiali e il camice bianco: «I responsabili tornano tra un’ora, adesso sono solo». Non può darci qualche informazione? «È il mio secondo giorno di lavoro...». Pochi chilometri più a valle, a Triscina di Selinunte (Trapani), sulla spiaggia c’è l’Hotel Aureus: altri 75 posti in convenzione. Un palazzone vaniglia, con le finestre azzurre, che ha visto tempi migliori. Filippo Ferreri, 54 anni, lo gestisce da 7 anni: «Devo ristrutturare: è evidente» dice indicando l’intonaco scrostato. «Aspetto i fondi europei della legge 488. Intanto ho accettato gli immigrati». Si passa una mano tra i capelli brizzolati. Ha una camicia blu a scacchi e i sandali ai piedi. «Per noi è stata una buona opportunità» dice. «Ma l’anno prossimo, dopo i lavori, voglio riaprire l’albergo».

C’è anche chi è convinto che i due business possano coesistere senza problemi: turisti da una parte, immigrati dall’altra. Come ha fatto il Park Hotel Paradiso di Piazza Armerina. Da Selinunte, per arrivare nella città celebre nel mondo per la Villa Romana del Casale, bisogna imboccare l’atroce statale 115 e poi, superata Agrigento, puntare verso l’entroterra. L’albergo, in una vallata alle porte del paese, è tra i pochi 4 stelle della zona: 94 stanze, piscina coperta e scoperta, spa, sala congressi da 200 persone, suite da 250 euro a notte. Da febbraio un’ala del maestoso hotel, Villa Daniele, alloggia 141 migranti nordafricani e pakistani. Ingresso separato, mensa appartata. «Ci siamo resi conto che la struttura era troppo grande» racconta Silvia Pranio, 26 anni, presidente della società Antica stazione, nata per occuparsi dei richiedenti asilo, e figlia del proprietario del Park Hotel. «In parte» spiega Pranio «poteva essere convertita senza ripercussioni sull’attività turistica».

L’afflusso di immigrati ha dato lavoro a una ventina di persone.  «Adesso vorremmo trasformarlo in un centro di prima accoglienza» rivela l’imprenditrice. E i lavori fervono: poco distante, una ruspa spiana una collinetta che diventerà la nuova mensa.  Nell’hotel si scorgono tracce dei recenti fasti. Le camere hanno il parquet, le vasche idromassaggio, armadi di noce, televisione. Gli ospiti giocano a biliardino, guardano la tv, vanno in giro per Piazza Armerina. «Molti sono infastiditi dalla loro presenza» dice Pranio. «C’è chi ha chiesto 7 euro per un caffè: non li voleva più nel suo locale». E poi giocano a calcio nel campetto di fronte all’entrata. Li hanno iscritti a un torneo cittadino. Omar, senegalese, mostra soddisfatto la sua maglia biancazzurra. È il bomber del Villa Daniele, nell’ultima partita ha segnato 5 gol. Ha 19 anni e lo stesso taglio alla mohicana di Mario Balotelli. Vorrebbe diventare un giocatore professionista: «Non mi aspettavo questo» sorride. «La Sicilia è un posto magnifico».

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Antonio Rossitto