Il dizionario dei luoghi comuni della politica
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Il dizionario dei luoghi comuni della politica

Parole abusate e logore. Pronunciate da tutti i deputati e sempre più diffuse. Ecco i termini che impoveriscono la politica

Preambolo

Parole vuote, parole fritte, parole guaste… E se la vera minaccia linguistica provenisse dalla politica?

Consumate per eccesso d’uso, e dunque logore perché troppo indossate, anche le parole, in Italia, sono terremotate.

Mai come oggi il lessico ci era apparso così stanco, mai come adesso il dizionario politico infastidisce invece di descrivere. Cestinato il latinorum democristiano e superato il fumo ideologico di sinistra, l’italiano degli onorevoli si è anglizzato per non morire, è giunto alla rottamazione per cercare di riformarsi.

Indigeribile dagli elettori e ingerito senza precauzioni dell’intero arco costituzionale, il vocabolario dei deputati si è arricchito di luoghi comuni, ma si è impoverito di nuove lettere. È minimo come il diario di Umberto Eco senza la sua erudizione, è ridotto come il trasporto pubblico quando è in sciopero.

Da tempo, infatti, la tastiera del parlamentare italiano digita gli stessi tasti, formula le stesse analisi, cita gli stessi libri. Perfino quando fa autocritica, la politica ricorre alla parola “casta” che è un successo editoriale ma anche un modo per semplificare la democrazia, il totem che condanna ciascun deputato all’odio di piazza.

Sdoganata la parolaccia con Beppe Grillo, che ne ha definitivamente mostrato la carica nucleare, sul campo sono così rimaste parole chimera come “vitalizi”, “reddito di cittadinanza”, “scissione”, “testamento biologico”, “legge elettorale”; verbi come “asfaltare". Sono i nuovi tic linguistici della repubblica, scorciatoie di pensiero. Sono parole palude che ci fanno sprofondare e ammutolire ma soprattutto sbadigliare.

Ebbene, peggio delle elezioni anticipate c’è solo questa lingua prevedibile, senza colore che si sta diffondendo. Se fosse un partito, quello del luogo comune, sarebbe di maggioranza.

Insomma, se è vero che parlando si impara è altrettanto vero che solo s-parlando si impera.

Ecco un breve almanacco delle parole abusate.

Reddito di cittadinanza

Tutti lo vogliono e chiunque ne storpia il nome. Ha iniziato il M5S a invocarlo. Oggi anche Matteo Renzi vuole estenderlo ma chiamandolo “reddito d’inclusione”. Silvio Berlusconi, che si sa è un uomo di conti, ha calcolato che servono 16 miliardi: “Ma anche noi siamo a favore” ha assicurato Berlusconi di fronte a Bruno Vespa. Parola tra le più abusate, il reddito di cittadinanza è il surrogato dei grandi ideali: è il socialismo al tempo del blog. Unisce tutti e dunque c’è da credere che dividerà per molto.

 

Vitalizi

Per il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, è un “privilegio medievale” e basterebbero “venti righe” per eliminarlo. Per Renzi è una buona ragione per anticipare la caduta del governo Gentiloni e andare al voto: “Per non farlo scattare, naturalmente”. Per gli italiani è il sogno nel cassetto, è il Sudamerica dell’uomo piccolo piccolo. In Sicilia, terra che è sempre in anticipo, il vitalizio si passa non solo da padre in figlio ma anche ai nipoti; ne sanno qualcosa gli ex consiglieri regionali che ancora lo trasmettono ai propri familiari. Come nella novella di Luigi Pirandello, il vitalizio è la promessa di lunga vita. I dibattiti per toglierlo ci hanno già fatto morire di noia.

Scissione

In Italia la scissione è come lo smog: è il vapore dei partiti, è l’aria cattiva che aleggia in famiglia. Ma è anche come la moda che cambia di stagione in stagione. Prima andava a destra, ma oggi va molto a sinistra. Per Renzi “è tutta opera di Massimo D’Alema”. Per Pierluigi Bersani il regista è uno solo e si chiama Renzi. Anche linguisticamente il Pd si è dunque scisso e invertito in Dp (Democratici progressisti). Ma in realtà anche Renzi, dicono, si è scisso da Maria Elena Boschi, sicuramente da Graziano Del Rio che in un fuori onda ha rivelato: “Non sta facendo nulla per evitare la scissione”. La scissione si minaccia di mattina ma si rimanda di sera. Quando avviene nessuno se ne accorge. Solitamente tutti i partiti che si separano tendono a ritrovarsi sotto una sigla: Unione.

Legge elettorale

In Italia il numero di leggi elettorali proposte è pari al numero di romanzi che si pubblicano. Per dare un tono è preferibile farle finire in –um. Mattarellum, Porcellum, Consultellum, Italicum … Le trattative per presentare una legge elettorale durano più delle gravidanze e si concludono con aborti. La produzione di modelli elettorali è il vero pil nazionale. Non subisce variazioni ma aumenta come il prodotto interno lordo della Cina. Si aboliscono prima di approvarle. Sono incostituzionali prima ancora di scriverle. Un giorno bisognerà raccogliere tutte le leggi elettorali per farne un museo. Il museo dell’incompiuto italiano.

 

Testamento biologico

Come le unioni civili, forse un giorno si farà. Intanto scontenta tutti e se si dovesse fare sarà sempre un compromesso, una legge a metà. Di testamento se ne straparla, se ne discute. Come tutti i testamenti si impugna ed è materia di avvocati e tribunali. È il sabba dei peggiori satanassi di una parte e dell’altra. Per farlo si guarda all’estero, si confrontano modelli e si riuniscono commissioni ad hoc con la partecipazione straordinaria di filosofi, teologi, vescovi, genetisti. A non essere convocata è solo la pietà.

Sovranisti

È l’ultimo diploma degli infuriati italiani. Da Matteo Salvini a Giorgia Meloni, ma anche nostalgici delle frontiere, della lira, della monarchia. Si ispirano a Donald Trump e come lui twittano, stanno su Facebook, partecipano a talk show dal nome estremo: gabbie, piazze pulite … Juke box di provocazioni, competono per conquistare le paure italiane. Quando ci riescono si incoronano leader del centrodestra. Detronizzati dai sondaggi, ci riprovano infiammando la piazza. Più che sovrani sembrano sindaci da rione Sanità.

Asfalto

“Li asfaltiamo, anzi, li abbiamo asfaltati”. Grido di battaglia di Matteo Renzi, si è trasformato da materiale edile a elemento di scienza politica. Non c’è direzione del Pd in cui l’ex segretario non utilizzi la sostanza bituminosa per avvelenare (altro che asfaltare!) la strada. L’asfalto democratico incombe in ogni retroscena, è il corno che soffiavano i barbari per sfidare i nemici. La quantità di asfalto in politica è così notevole che manca per strada e a Roma, ad esempio, che è la capitale delle voragini. Asfalto è la politica come pozzo invece che come sentiero. Sporca chi lo usa. Avvertenze: da maneggiare con cura.

 

Ciaone

È lo sberleffo inventato dal renziano Ernesto Carbone per offendere i perdenti. Non saluta ma insolentisce come le corna del sorpasso, il tié di Alberto Sordi ai lavoratori nel film “I vitelloni”. Oggi anche il “ciaone” è superato dal “ci reincontreremo una volta rimosso Renzi” pronunciato da D’Alema. Pensavamo che il “ciaone” fosse il peggiore modo di salutarsi. Grazie a D’Alema abbiamo scoperto che “rimuovere” è il più triste arrivederci.

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Carmelo Caruso