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Il caso Flynn, ennesima storia Usa di intelligence e bugie

Mai, nella storia degli Stati Uniti, un così alto funzionario era entrato e uscito dalla Casa Bianca così velocemente

La nomina, il faccia a faccia con l'Fbi, l'incubo, le dimissioni. Il New York Time ricostruisce la vicenda che, in 24 giorni, ha portato Michael T. Flynn, ex militare dell'esercito americano, dalla Casa Bianca nella veste di consigliere per la sicurezza del Paese, agli uffici del bureau con la luce puntata sul viso e, infine, alla sua vecchia vita da pensionato.

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Al centro di tutto - ha rivelato la stessa Fbi - una telefonata con l'ambasciatore russo, il cui contenuto non è stato ancora reso noto.

Un caso unico
Dal giorno dell'arrivo di Trump a Washington, i casi di ascesa e di caduta di figure governative sono stati quasi all'ordine del giorno, tra scandali, contraddizioni e recriminazioni. Ma mai, un funzionario di così alto livello era entrato e uscito dalla storia dell'amministrazione in maniera così repentina.

Il casus belli risale allo scorso dicembre, subito prima che Obama confermasse le nuove sanzioni alla Russia e l'espulsione di 35 diplomatici. Nella circostanza, Putin di fatto rimase immobile, rimandando ogni reazione al dopo elezioni, confidando nel fatto che la vittoria fosse andata all'"amico" Trump.

Tutto ruota, quindi, attorno al discorso sanzioni, e al fatto che Flynn ne abbia parlato o meno con l'ambasciatore Kislyak e, se sì, in che termini, generando un clima di tensione diffuso in tutta l'amministrazione, a partire da Trump, chiaramente a disagio, passando per il suo genero-consulente Jared Kushner e arrivando fino al segretario della Difesa Jim Mattis e al capo stratega Stephen K. Bannon.

Un funzionario fragile
Dopodiché la palla è passata ai media, con le rivelazioni del Washington Post che, citando fonti ufficiali anonime, svela che l'amministrazione Trump era stata avvertita da tempo della possibile vulnerabilità di Flynn poiché dopo le misteriose conversazioni si era reso potenzialmente ricattabile dalla Russia.

Secondo il Post, a fine gennaio, l'allora ministro della Giustizia ad Interim Sally Q. Yates aveva riferito a Trump le sue sensazioni: Flynn aveva sviato membri dell'amministrazione circa la natura delle sue comunicazioni con l'ambasciatore russo (dopo averlo smentito al vicepresidente Mike Pence che lo aveva per questo difeso pubblicamente).

Nei giorni successivi, tali preoccupazioni pare fossero state condivise anche con lgli allora direttori della National intelligence James Clapper e della Cia John Brennan.

Ma da Trump nessun cenno. Anzi, Kellyanne Conway, uno dei suoi più stretti collaboratori, aveva confermato la ''piena fiducia'' di Trump, salvo venir poi seccamente smentita dalla nota con cui la Casa Bianca stava, invece, valutando sul da farsi.

Infine l'epilogo, con la lettera delle dimissioni in cui Flynn ammette di aver tenuto diverse conversazioni telefoniche con vari interlocutori stranieri, ministri e ambasciatori ''per facilitare la transizione e cominciare a costruire le relazioni necessarie tra il presidente, i suoi consiglieri e leader stranieri'' definendola una ''pratica standard''. Salvo, poi, riconoscere che ''per via della veloce sequenza di eventi, ho inavvertitamente comunicato al vicepresidente eletto e altri informazioni incomplete sulla mia telefonata con l'ambasciatore russo''.


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Luciano Lombardi