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Gli storici tormenti della Consulta

Sull'elezione dei giudici costituzionali si giocano partite politiche estenuanti. Fin dai tempi di De Gasperi

L’altro nome con cui viene identificata la Corte Costituzionale è Alta Corte; essa deve rappresentare, secondo il dettato dei Padri Costituenti, il maggior istituto costituzionale del nostro Paese, un organismo al di sopra delle parti anche del Presidente della Repubblica. E, infatti, i suoi compiti stanno a dimostrare ciò, in quanto giudica la legittimità costituzionale delle leggi (a lei si deve, tra l’altro, l’abrogazione del Porcellum); giudica i conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato e sui dissidi tra Stato e Regioni; e da ultimo giudica proprio le accuse al Presidente della Repubblica. È composta da 15 membri di questi, cinque vengono eletti tra i rappresentanti della magistratura civile e penale, cinque vengono nominati dal Capo dello Stato e cinque vengono eletti dal Parlamento riunito in seduta comune.

Ed è proprio sugli ultimi cinque che nascono i problemi. Se per i primi dieci si può ipotizzare un profilo super partes, per gli ultimi senza ombra di dubbio alcuno si tratta di rappresentanti politici a tutti gli effetti. Proprio la mancata elezione, da parte del Parlamento, dei cinque giudici di sua competenza sta animando il dibattito politico di questi giorni provocando il disappunto e lo stupore per una simile situazione.

Ma, l’Alta Corte, sin dalla sua origine, non ha mai goduto di tutto quel rispetto che in tanti le attribuiscono. I membri della Costituente la inserirono, appunto, nella Carta come una delle più importanti istituzioni del nascente Stato repubblicano. Fatto sta che, tra l’articolo della Costituzione che prevedeva la sua emanazione, e la sua istituzione effettiva, conseguenza per giunta di una legge ordinaria, e da qui la prima anomalia, trascorsero ben cinque anni e un’intera legislatura di mezzo. Infatti, la legge che ne sancì ufficialmente la sua nascita porta la data dell’11 marzo 1953. Le cronache dell’epoca raccontano di quanto tormentato e aspro fu quel parto e, soprattutto, dei numerosi tentativi di “insabbiamento” che subì.

Uno dei punti su cui si registrarono diversi dissidi riguardava i cinque giudici di nomina presidenziale. La DC, partito di maggioranza relativa guidato da Alcide De Gasperi, non voleva riservare un simile potere al Capo dello Stato ma mantenere un controllo politico anche sulla Corte. L’idea era che il ministro dell’Interno proponesse una rosa di nomi, il Presidente della Repubblica scegliesse tra questi e alla fine il presidente del Consiglio, se d’accordo, ne controfirmasse la nomina. Se così fosse stato il Parlamento e le maggioranze che si sarebbero succedute negli anni a venire, avrebbero avuto un’influenza notevole sulle sentenze emanate dall’Alta Corte. Per fortuna così non fu.

Una volta approvata la legge, cominciarono le trattative per eleggere i giudici di nomina parlamentare. Non contenti, si stabilì che per eleggere i cinque membri parlamentari fosse necessario per i primi scrutini i 3/5 dell’Assemblea e dal terzo i 3/5 dei votanti. Una norma al limite dell’assurdo che non esisteva e che non esiste in nessun regolamento elettivo del mondo.

Il 31 ottobre 1953, sette mesi dopo l’approvazione della legge, si svolsero alla Camera riunita in seduta comune, le prime elezioni dei giudici costituzionali. Dopo due soli scrutini, il presidente Giovanni Gronchi decise di rinviare il voto, invitando i partiti a trovare un accordo. Passarono altri nove mesi prima che, deputati e senatori, si ritrovassero a Montecitorio per la terza votazione il 29 luglio 1954 che, però, si concluse con un nuovo nulla di fatto.

Il 5 agosto, Don Luigi Sturzo, il vero fustigatore della Casta, dopo aver presentato una proposta di legge per la modifica del metodo di votazione, dalle pagine de La Stampa attaccò duramente lo stesso Gronchi, per la gestione della cosa: “Il dovere del presidente Gronchi era di obbligare le assemblee delle due Camere di votare fino al raggiungimento della nomina, a costo di farla sedere giorno e notte; avrebbero i parlamentari pagato il fio di una legge impossibile”.

Ma, Sturzo, non avrebbe certo immaginato che la cosa sarebbe andata anche oltre l’inimmaginabile. L’11 maggio 1955 Gronchi, diventato Presidente della Repubblica, nel suo discorso di insediamento alla Camera, mise come punto centrale dell’azione parlamentare l’elezione dei cinque giudici dell’Alta Corte. Ci vollero ancora altri sei mesi (15 novembre) prima che il Parlamento riuscisse a eleggerne due su tre e il 30 novembre, finalmente, deputati e senatori elessero, dopo estenuanti trattative tra le segreterie dei partiti, i tre giudici rimanenti.

Per la cronaca, tra i nomi di cui si discuteva in quegli anni c’erano personalità come Enrico De Nicola e Piero Calamandrei.

Il 15 dicembre 1955 i quindici giudici della Corte Costituzionale prestarono giuramento al Quirinale alla presenza del Capo dello Stato Giovanni Gronchi.

Il 23 gennaio 1956 la Corte Costituzionale si riunì ufficialmente per la prima volta eleggendo come primo presidente Enrico De Nicola. Che dire, ci vollero ben otto anni per metterla in moto, e meno male che si trattava dell’Alta Corte.

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Sabino Labia

Laureato in Lettere all'Università "Aldo Moro" di Bari, specializzazione in "Storia del '900 europeo". Ho scritto tre libri. Con "Tumulti in Aula. Il Presidente sospende la seduta" ho raccontato la storia politica italiana attraverso le risse di Camera e Senato; con "Onorevoli. Le origini della Casta" ho dato una genesi ai privilegi dei politici. Da ultimo è arrivato "La scelta del Presidente. Cronache e retroscena dell'elezione del Capo dello Stato da De Nicola a Napolitano" un'indagine sugli intrighi dietro ogni elezione presidenziale

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