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Cinque partite Iva false al giorno

Il meccanismo è immediato: aprire e chiudere una società in tempi così rapidi da non consentire controlli, creare fatture inesistenti, evadere, riciclare. Grazie al lavoro della Guardia di finanza - di cui Panorama dà una anticipazione in esclusiva - emergono migliaia di frodi fiscali (moltissime a opera di cinesi). Lo Stato è corso ai ripari con nuove normative, ma a causa di queste attività illegali i danni ammontano a centinaia di milioni di euro.

Aprono una società, la chiudono alla velocità della luce e ne aprono un’altra altrettanto rapidamente. Gli analisti della Guardia di finanza le chiamano «imprese temporizzate», ovvero progettate per esaurire il proprio ciclo di vita nel volgere di pochi mesi. Il vantaggio, sfuggire agevolmente ai controlli sia durante il periodo di operatività sia successivamente, una volta violati gli obblighi fiscali e contributivi. I numeri sono da record: tra gennaio 2022 e marzo 2023 le Fiamme gialle hanno proposto la chiusura di oltre 2.100 partite Iva, la media di cinque al giorno.

«Spesso» spiegano a Panorama dal Terzo reparto Operazioni Ufficio tutela delle entrate del Comando generale della Guardia di finanza «sono riconducibili a prestanome, utilizzati in modo strumentale per ottenere provvidenze pubbliche non spettanti, anche sotto forma di crediti d’imposta, nonché quale veicolo per far circolare ingenti flussi di capitali di provenienza illecita». Il riciclaggio. A volte le dinamiche sono molto macchinose, ma un ruolo fondamentale lo svolgono sempre le partite Iva «apri e chiudi». A Milano, per esempio, nei primi giorni del marzo scorso è stata smantellata quella che gli investigatori definiscono «un’associazione a delinquere» che coinvolgeva anche professionisti, due notai e alcuni funzionari di un istituto di credito. Si è scoperto che un cittadino cinese aveva attivato ben 46 partite Iva (tra società e ditte individuali) e con l’aiuto di altri cinque prestanome, tutti cinesi, aveva emesso 10 mila fatture per operazioni inesistenti. L’importo? Quasi 200 milioni di euro. In sostanza le sue partite Iva servivano ad altri imprenditori per drenare enormi quantità di denaro dalle proprie aziende, effettuando bonifici di importi notevoli. La provvigione per l’attività illecita variava tra l’1 e il 6 per cento. Gli evasori fiscali cinesi, quelli con grandi disponibilità di contanti, riuscivano così a trasferire i capitali nel Paese d’origine. E tutto sembrava regolare.

«L’operatività di queste aziende “apri e chiudi”» valutano dal Terzo reparto «hanno pesanti ricadute sul tessuto produttivo sano dell’Italia, causando indebiti vantaggi competitivi a danno degli operatori onesti e rispettosi delle regole». Ad Ancona, 600 imprese (di cui 15 servivano solo per false fatturazioni), tutte riconducibili alla stessa organizzazione criminale, con questi meccanismi si sarebbero rese colpevoli di un’evasione da 33 milioni di euro, fatturando 150 milioni. E tra gli imprenditori coinvolti ci sono dei cinesi. Alcune delle aziende operavano nel settore edile e risultavano pure cessionarie di crediti d’imposta per ecobonus e superbonus. Anche in questo caso i bonifici erano consistenti. Gli importi poi venivano restituiti all’imprenditore in contanti e consegnati a domicilio da spalloni. «Una banca occulta» l’hanno definita gli investigatori.

Un dossier della Guardia di finanza, che Panorama ha potuto consultare in esclusiva, raccoglie tutte le operazioni più significative degli ultimi mesi. Che svelano tecniche disparate. Dal laboratorio tessile di Treviso gestito per 13 anni da imprese, tutte condotte da stranieri, subentrate l’una all’altra accumulando sempre debiti con l’erario, fino al ristoratore di Jesolo, sempre cinese, che avrebbe sfruttato il Decreto rilancio per ottenere contributi Covid che non gli spettavano. Le strategie si sono sempre più affinate. A Firenze, con il solito sistema delle partite Iva apri e chiudi, affaristi cinesi del commercio all’ingrosso di abbigliamento e calzature, dopo aver sottratto al fisco il pagamento delle imposte per 15 milioni di euro, avevano scelto le criptovalute per riciclarli. In altri casi, invece, per i traffici sono stati usati istituti di credito cinese. Un’impresa, appena avviata a Pordenone per vendere in nero rottami ferrosi in Repubblica Ceca, utilizzava decine di società intermediarie (aperte e chiuse in un batter d’occhio). Poi i fondi giravano sui conti cinesi con causali generiche del tipo «importazioni». E il gioco era fatto.

Lo stesso metodo, si è scoperto a Padova, veniva usato per far da schermo allo sfruttamento della prostituzione: un centro massaggi, ufficialmente di proprietà di una donna italiana ma gestito da ragazze cinesi, in realtà era una casa d’appuntamenti. Un caso simile, emerso a Firenze, ha portato a due arresti. E a Verona, in un centro massaggi i finanzieri hanno trovato 34 mila euro in contanti, contestando anche il reato di caporalato. «Per arginare il fenomeno delle partite Iva apri e chiudi» spiegano dal comando generale della Guardia di finanza, una riforma legislativa ha previsto che «le imprese che cessano l’attività entro un anno dalla data di inizio sono specificamente considerate da sottoporre a controllo da parte dell’Agenzia delle entrate, della Guardia di finanza e dell’Inps. In modo da assicurare una vigilanza sistematica sulle situazioni a specifico rischio di evasione e frode fiscale e contributiva».

Sul fronte della prevenzione sono stati messi a punto controlli mirati e selettivi per individuare le imprese neocostituite connotate da profili di pericolosità tributaria. Un’attività di analisi che ha prodotto nel giro di un anno una quarantina di operazioni di polizia giudiziaria. E sempre per la prevenzione è stato fornito all’amministrazione finanziaria un ulteriore strumento: può disporre la cessazione d’ufficio delle partite Iva considerate potenzialmente «tossiche».

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Fabio Amendolara