Gran Bretagna: un "futuro luminoso" per Cameron (e la Scozia)
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Gran Bretagna: un "futuro luminoso" per Cameron (e la Scozia)

Come cambierà la politica del Regno Unito dopo il voto di oggi. La Scozia torna a farsi protagonista e lavorerà per mutare il Paese dall'interno

“A brighter future for everyone”. Un futuro più luminoso per tutti. Sono queste le prime parole pronunciate stamattina dal primo ministro David Cameron, quando ormai gli exit poll indicavano la netta vittoria per i Tories alle elezioni politiche 2015 nel Regno Unito.

Dunque, i cittadini di Sua Maestà - appena usciti dall’ubriacatura per la nascita della Royal Baby, con un’economia in ripresa e la disoccupazione in diminuzione - hanno scelto la continuità, come spesso avviene in tempi di crisi e d’incertezza. Che non si cambia un capitano in mezzo alla tempesta la vecchia potenza marittima lo sa fin troppo bene. E difatti i suoi navigati cittadini hanno confermato la vocazione dei britannici alla razionalità.

Così, analizzare i dati delle urne è sin troppo facile, questa volta. I conservatori, la principale forza del Paese, maggioranza relativa dal 2010, vincono nuovamente le elezioni ma stavolta ottengono la maggioranza assoluta e, schiacciando anche gli alleati Liberaldemocratici (che, alla vigilia del voto, erano dati per protagonisti di una possibile coalizione in caso di un risultato incerto): sono il nuovo partito di governo.

Su 650 seggi disponibili alla Camera dei Comuni, i Tories ne avranno 331  - più della maggioranza assoluta fissata a 326) e perciò la loro vittoria si staglia netta sui cieli di Londra. Ben 11 milioni di voti e oltre 28 seggi in più rispetto alle scorse elezioni offrono ora ai conservatori una guida quasi monocolore del parlamento. Se si guarda alla sola Inghilterra, poi, la percentuale di vittoria sale fino al 40,8%.

Segno inequivocabile che le politiche espresse dal premier David Cameron hanno convinto l’elettorato storico anche se non hanno fatto breccia a nord. E c’è da giurare che questo risultato abbia sconcertato lo stesso premier, scettico fino a ieri sera.

La disfatta degli altri partiti
Mentre il Labour Party, principale partito di opposizione, con i suoi 232 seggi ottenuti (25 in meno rispetto allo scorso turno) delude le aspettative del proprio elettorato e il leader stesso del partito, Ed Miliband, ha rassegnato le sue dimissioni.

Ma il vero dato significativo è quello dello Scottish National Party (SNP). Frustrate le ambizioni di una vera indipendenza, il partito degli indipendentisti scozzesi ha sfogato il proprio orgoglio nelle urne, ottenendo 56 seggi e affermandosi quale nuovo punto di riferimento per la politica britannica. Il referendum per l’indipendenza della Scozia del 18 settembre scorso, infatti, aveva visto la vittoria del “no” con il 55,42% dei voti ma aveva conosciuto un’affluenza record, pari all’85%. Per gli indipendentisti, dunque, il guadagno rispetto al passato sfiora il 100%, avendo ottenuto in precedenza solo 6 seggi alla Camera.

Invece, anche se di fatto l’UKIP, il partito euroscettico di Nigel Farage, è terzo per numero di voti (3,7 milioni), a loro va un seggio soltanto, mentre lo Scottish National Party da oggi potrà contare moltissimo, nonostante il milione e mezzo di voti, due milioni in meno rispetto all’UKIP.

Il sistema di voto britannico e quello italiano
Per capire questo meccanismo, bisogna ricordare alcuni aspetti del sistema di voto britannico. La Camera dei Comuni o camera bassa è il ramo dominante del parlamento britannico e la sola che vota la fiducia al governo e quindi, di conseguenza, è la sua maggioranza che sceglie il premier (che non è eletto direttamente dai cittadini). La Camera viene eletta con il sistema maggioritario uninominale ogni 5 anni. Ogni partito candida un solo nome per ogni collegio. Ottiene il seggio solo il singolo candidato più votato per collegio. Per capire quale partito ha la maggioranza, dunque, basta contare i deputati eletti collegio per collegio.

È in questo modo, giudicato da alcuni distorsivo, che si governa nella monarchia parlamentare del Regno Unito. In passato, questo sistema è stato criticato per il rischio che si possa verificare il caso dello “Hung Parliament” (il parlamento appeso), ovvero quando nessun partito ottiene dalla urne una chiara maggioranza, ossia più della metà dei seggi, e si deve supplire con coalizioni che rischiano di rallentare i lavori parlamentari per i veti interni tra partiti. Molto raro in passato, lo spettro dello Hung Parliament dal 1945 ad oggi si era materializzato solo nel 1974 e nel 2010. I detrattori del sistema inglese oggi si possono tranquillamente ricredere, perché il voto di ieri dimostra come il sistema elettorale inglese storicamente garantisca la stabilità e promuova l’alternanza.

Ciò nonostante, non è tutto oro quel che luccica. Il sistema uninominale a turno unico, infatti, non garantisce quello che in Italia viene considerato un bene prezioso, ovvero il “diritto di tribuna”. Il diritto cioè di avere rappresentate in parlamento tutte le sfumature del grigio della politica e le varie anime della società civile. Gli indipendentisti scozzesi in queste elezioni hanno conquistato 56 seggi soltanto con il 4,8% dei voti, mentre l’UKIP con il 12% ne ha ottenuto appena uno.

Sarà un sistema efficiente, ma certo non sembra equo in termini di rispetto del voto popolare e di coerenza di quest’ultimo, non permettendo la presenza in parlamento di partiti diversi. Questo induce anche a pensare anche che faremmo bene a tenerci stretto il nostro vituperato Italicum che, pur con tutti i suoi difetti, non rischia di ledere né la rappresentatività né tantomeno la democrazia.

Il futuro di Cameron e della Scozia
Ciò detto, il premier uscente David Cameron si recherà oggi dalla regina Elisabetta II per formalizzare la sua rielezione e raccogliere il consenso a formare un nuovo “governo forte” che segnerà altri cinque anni di politiche conservatrici. Mentre il disastro politico dei liberaldemocratici di Nick Clegg e la deludente performance di Ed Miliband porteranno queste due figure a eclissarsi velocemente dalla politica britannica e i rispettivi partiti a vivere un dramma lungo un lustro intero. In dubbio la posizione di Nigel Farage, il quale alla vigilia delle elezioni si era affrettato ad affermare che se l’UKIP non avesse ottenuto seggi, lui si sarebbe dimesso.

Il voto del 2015 in ogni caso segna inequivocabilmente due trionfi personali: quello di David Cameron ma anche quello di Nicola Sturgeon, la leader dello SNP scozzese. Questo induce a pensare che il Regno Unito ha non una ma due teste ed è capace di viaggiare a due marce. Se, come scrive Nick Robinson per la BBC, il futuro appartiene a David Cameron, esso appartiene però anche agli scozzesi. Il che dimostra come l’archiviazione del “caso scozzese” fosse prematura. Vedremo, insomma, come due Paesi che hanno due idee diverse di politica, Inghilterra e Scozia, sapranno convivere in un parlamento dove oggi la Scozia ha un peso, considerato anche il secondo parlamento di Edimburgo. L’SNP è dunque chiamato per la prima volta a cambiare le regole da dentro.

Cameron e i conservatori dovranno così prestare molta attenzione alle istanze (anzitutto economiche) di una parte significativa e laboriosa del Paese che, se non si staccherà più dal resto del Regno Unito, certo lo influenzerà come e più di prima. Soprattutto in vista del referendum sull’Unione Europea del 2017, su cui David Cameron ha messo la firma e dal quale non si può più tirare indietro.

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Luciano Tirinnanzi