Violenza donne
ANSA /Alessandro Di Marco
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Violenza sulle donne: a che punto siamo in Italia

Fino a ottobre 2017 117 casi di femminicidi, 149 nel 2016. Poche denunce, troppa solitudine. Sabato 25 novembre un giorno speciale per opporsi

Nei primi 10 mesi del 2017 (secondo i dati Eures) sono state 114 le donne vittime di omicidio volontario che confermano il trend del 2016 documentato dall'Istat: 149 donne uccise nel 2016.

Ma non sono solo i dati presentati dal Presidente Istat, Giorgio Alleva, alla Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio al Senato a far riflettere, ma anche quelli diffusi dalla Procura di Genova che ci dicono che più della metà dei fascicoli per maltrattamenti in Liguria viene archiviata.

È per questo motivo che a Milano, nella serata di sabato 25 novembre, in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, sulla facciata di Palazzo Pirelli verrà proiettata la scritta "Non sei da sola".

Non sono sole queste donne. E devono prenderne sempre più coscienza. Ad esempio, la Lombardia dal 2011 al 2017, ha stanziato 11 milioni di euro per creare strutture di accoglienza e supportare le donne vittime di violenze. Sono state quasi 4 mila nei primi sei mesi del 2017, quelle che si sono rivolte ai centri antiviolenza lombardi. Erano state 5200 in tutto il 2016.

È da qui che bisogna partire: il coraggio.

I dati Istat

Secondo le elaborazioni Istat sui dati del Ministero dell’interno, in Italia sono state 149 le donne vittime di omicidi volontari nel 2016. Nei primi 10 mesi del 2017, invece (secondo i dati Eures) sono state 114 a morire per mano di un uomo, confermando dunque il trend del 2016.

Di questi 149 omicidi, quasi 3 su 4 sono stati commessi nell’ambito familiare: 59 donne sono state uccise dal partner, 17 da un ex partner e altre 33 da un parente.

Nell’ultimo decennio, su tutto il territorio nazionale, la quota di omicidi avvenuti in ambito familiare ha oscillato dal 62,7% nel 2010 al picco del 77% nel 2014, per poi scendere al 73,2% nel 2016.

Dunque, si è registrato un lieve miglioramento.

“La violenza contro le donne è un fenomeno di difficile misurazione, perché si sviluppa soprattutto negli ambienti più familiari, dove una donna dovrebbe sentirsi più sicura e dove può trovarsi ad affrontare in solitudine una situazione che la vede opposta a familiari o persone vicine. Per i fattori cognitivi e di esperienza che intervengono, questa forma di violenza ha spesso un impatto devastante sulla salute psico-fisica della donna - precisa il presidente Istat, Alleva nella sua relazione in Commissione - le ragioni per le quali questo fenomeno rimane in ampia misura sommerso sono proprio da ricercare nella prossimità con l’autore dei crimini, che, come abbiamo visto, è in tre quarti dei casi il partner o un familiare, e nelle complesse e contrastanti reazioni emotive e psicologiche che la violenza, episodica o reiterata, innesca nelle vittime”.

Troppe poche denunce

Le indagini Istat condotte sulla popolazione femminile hanno rilevato, infatti, uno scarto sensibile fra il numero di intervistate che riferiscono di essere state vittime di aggressioni, minacce e violenze sessuali e il numero di coloro che dichiarano di avere denunciato i fatti alle autorità competenti.

L’Istat ha stimato che nel corso della propria vita poco meno di 7 milioni di donne tra i 16 e i 70 anni (6 milioni 788 mila), quasi una su tre (31,5%), hanno subìto una qualche forma di violenza fisica o sessuale, dalle forme meno gravi come lo strattonamento o la molestia a quelle più gravi come il tentativo di strangolamento o lo stupro.

Quattro milioni e mezzo, invece, sarebbero le vittime di una violenza sessuale tentata oppure, realizzata.

Gli autori di queste violenze, più o meno gravi sono sempre loro: i partner attuali o gli ex. In sostanza, oltre due milioni e 800mila donne sono state vittime delle loro violenze.

Il 5,5% delle donne ha subito violenza dall’attuale compagno e quasi il 20% da partner del passato. In particolare, l’Istat identifica negli ex, gli autori del 63 per cento dei casi di stupro.

I casi archiviati

La Procura di Genova apre un altro fronte preoccupante nel momento in cui comunica che dal 2012 al 2017 in Liguria sono stati circa 1.100 i fascicoli per maltrattamenti arrivati alla chiusura: di questi, 300 sono finiti con un rinvio a giudizio ordinario, 140 sono andati a giudizio immediato e sei sono stati chiusi con un patteggiamento. Tutti gli altri sono stati archiviati dallo stesso pm oppure sono finiti con un proscioglimento davanti a un giudice per le udienze preliminari.

Sconcertante. Ma qual è la motivazione?

Non è possibile, in questo caso, puntare il dito contro la magistratura.  Purtroppo, spiega il procuratore capo di Genova Francesco Cozzi, sono ancora moltissime le donne che per paura o reticenza, davanti agli investigatori ritrattano i maltrattamenti subiti.
Una paura che porta a “lasciare” in libertà più della metà degli uomini indagati. Un timore dettato dal sentirsi “sola” a contrastare non solo le botte ma anche le violenze e le minacce psicologiche.  

I figli: vittime due volte

Ma c’è un altro dato in sconcertante aumento: la percentuale dei figli che hanno assistito a episodi di violenza sulla propria madre.

In ben il 69% dei casi, i bambini e le bambine sarebbero stati direttamente coinvolti (dal 15,9% al 24,6%).

“L’importanza di questo aspetto è testimoniata dalla relazione esplicita tra vittimizzazione vissuta e assistita da piccoli e comportamento violento - precisa Alleva in Commissione - il tasso di violenza dal partner attuale arriva al 25,4% se il compagno ha assistito alla violenza del padre sulla propria madre, per arrivare al 35,9% se ha subito violenza fisica da parte dei genitori, in particolare dalla madre.

Dati che devono far riflettere e che devono spingere le donne a reagire, a denunciare ma soprattutto a non ritrattare davanti ai magistrati, come ha indicato la Procura di Genova. Un atteggiamento che preserva le vittime da altre forme di violenza, spesso sempre più estrema, e allontana i figli da scenari di violenza che potrebbero essere vissuti, in futuro come una “normale” e assurda quotidianità.

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Nadia Francalacci