Francia: solo il doppio turno ha fermato il Front National
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Francia: solo il doppio turno ha fermato il Front National

I francesi tendono una mano ai repubblicani e al PSF di Hollande. Ma gollisti e socialisti non cantino vittoria: le presidenziali non sono lontane

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Sono due i dati principali della tornata amministrativa che si è svolta in Francia. Il Front National è stato incapace di vincere, nonostante fosse arrivato primo in 6 delle 13 macroregioni al primo turno e nonostante si sia ormai accreditato da tempo come il partito più vivace e votato del Paese (con 6,8 milioni di voti, quasi il 28% dei consensi).

Di contro, l’invito rivolto dal governo ai propri elettori socialisti a votare per i repubblicani nelle regioni in cui l’estrema destra era nettamente in vantaggiato, e dove i socialisti hanno ritirato i loro candidati, ha sortito gli effetti sperati, con piena soddisfazione del presidente Hollande e del premier Manuel Valls.

 Se le analisi di molti giornali francesi scrivono oggi che né i repubblicani, né tantomeno i socialisti possono parlare di vittoria - emblematico in tal senso il titolo del quotidiano cattolico La Croix, “Perdono tutti”. Ciò nonostante, il popolo francese ha compreso il momento e nel secondo turno è andato a votare con maggiore convinzione rispetto al primo turno.

I francesi hanno voluto con ciò evitare una radicalizzazione politica, assai rischiosa in questo momento storico, temendo che uno sbandamento verso la destra dura e pura avrebbe verosimilmente innalzato lo scontro sociale in una situazione già molto tesa, e rinfocolato il dissidio tra pro e contro le politiche europee, in un momento di incertezza economica.

Come ben riassunto da Cesare Martinetti su La Stampa, bisogna anzitutto entrare nella logica delle elezioni a due turni, dove nel primo si vota con il cuore, e nel secondo (anche) con il cervello. Come a dire - e questo dovrebbe interessare anche gli italiani che presto o tardi si misureranno con il doppio turno previsto dall’Italicum - ha vinto lo spirito repubblicano e auto conservativo della Francia moderata, che dimostra di temere più gli incendiari che non i pompieri. In questo senso, il modello elettorale ha funzionato.

Marine Le Pen paga il fatto di apparire come un parvenu della politica che smuove le grandi masse, ma in effetti è l’ultimo prodigio della Francia che non accetta le attuali politiche dell’immigrazione, che dichiara defunto il mito del multiculturalismo e che propende per la scarsa tolleranza con gli stranieri. Lei è lo specchio di una Francia che oggi sceglie Front National perché non si riconosce più nei propri simboli politici e non sa come reagire alla loro scarsezza di contenuti - lo stesso gradimento di Hollande era in caduta verticale prima della guerra allo Stato Islamico - mentre la disoccupazione aumenta e la paura anche del vicino di casa si diffonde sempre più, sia nelle periferie che nei grandi centri urbani.

Indice di questo disagio generalizzato da nord a sud, di questa disaffezione sia rispetto ai socialisti quanto ai repubblicani, è la scelta di votare proprio un partito che si dichiara “non di destra”: Marine Le Pen stessa dice di non essere “mai stata di destra”.

Eva Giovannini, autrice del saggio “Europa Anno Zero”, dove intervista la leader sconfitta del Front National, in proposito dice: “La rimozione di questa parola viene dalla volontà di non perdere alcun tipo di elettorato. Questa società liquida ha fatto sì che l’operaio, il cassintegrato o il precario non si sentano più rappresentati o semplicemente parte di un blocco sociale stabile. Il leader oggi cancella la parola ‘destra’ perché non gli conviene usarla. E questo lo dicono tutti, da Marine Le Pen a Viktor Orban, motivo per cui c’è sicuramente un comune denominatore. Una parte dell’elettorato non gradisce votare un partito dichiaratamente di destra, ma è disposta a votarli se non sembrano tali”.

 Su questo dovranno ora riflettere socialisti e repubblicani che, stante la fiducia concessa in extremis dal corpo elettorale, perdono comunque consensi di fronte agli appelli incendiari della Le Pen. Insomma, per il partito del presidente e del suo principale oppositore Nicolas Sarkozy, il sollievo dopo il voto di domenica è dovuto più a un calmante dopo un pugno nello stomaco che a una vera liberazione da un grosso mal di pancia. Paradossalmente, proprio l’eccezionalità del Front National ha salvato Hollande e Sarkò.

 Tra i due, in ogni caso, va meglio al secondo: è stata premiata la capacità di Sarkozy di garantirsi una seconda giovinezza politica dopo gli scandali che hanno rischiato di travolgerlo negli ultimi anni. Anche se, come scrive il direttore Alexis Brézet del quotidiano conservatore Le Figaro: “Il rischio di oltrepassare il limite è ancora lì: se gli elettori usano il partito di Marine Le Pen per esprimere la loro rabbia, i francesi ancora non lo vedono come un’alternativa credibile. Per il presidente questa è una cattiva notizia, che potrebbe alimentare nuove incertezze nel suo partito. La sinistra non può far finta che non sia accaduto nulla. Il Front National non è scomparso, tutt’altro. La rabbia della gente, nemmeno”.

Il 2017 non è lontano: per quella data dovranno essere vinte la guerra la terrorismo islamico, i colpi di coda della crisi economica, la sfida per la rigenerazione politica interna ai grandi partiti di Francia e la promessa di un rinnovato ruolo di leadership francese, imbrigliato dalle regole disequilibrate dell’Unione Europea.

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Luciano Tirinnanzi