Fatebenefratelli, l'ospedale romano risponde alle accuse
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Fatebenefratelli, l'ospedale romano risponde alle accuse

Dopo il caso della mamma che non si è sottoposta al raschiamento di un feto diagnosticato morto che poi è diventato un bimbo sano, la struttura sanitaria promette di fare luce sull'accaduto e dichiara: "Qui non si provocano aborti"

Non ci sta il Fatebenefratelli di Roma, Ospedale da 4300 parti l’anno considerato un’eccellenza nel campo della ginecologia e ostetricia, a passare per una struttura sanitaria che propone aborti terapeutici, visto che, oltretutto, è un istituto religioso.

“Non solo non facciamo aborti terapeutici, ma non ne facciamo affatto”, precisa Maria Grazia Pellegrini, storica ostetrica capo dell’ospedale, una vita passata a far nascere migliaia di bambini. “Noi ricoveriamo pazienti che hanno in corso un aborto spontaneo per fare il raschiamento o somministrare farmaci che permettono di espellere  il materiale ovulare. Non ci sogneremmo mai di interrompere una gravidanza”.

Il contenzioso è cominciato con la denuncia di una mamma, Maria S, a cui il 4 aprile del 2013, in seguito a perdite ematiche, è stata diagnosticata al pronto soccorso ginecologico la morte dell’embrione che portava  in grembo con la conseguente necessità di eventuale raschiamento. La donna non ha accettato la diagnosi e, durante un controllo successivo, si è accorta che l’embrione era vitale. Il piccolo è nato il 2 dicembre scorso con parto naturale nello stesso ospedale Fatebenefratelli in perfette condizioni di salute.

Dopo tre mesi e mezzo la denuncia: la neomamma, tramite l’avvocato Pietro Nicotera ha dichiarato che “non si può precludere la vita di un bimbo innocente per una superficialità”. Una frase che ha provocato il dolore, e anche il malumore, del personale del Fatebenefratelli, che comunque ha seguito la signora per l'intera gravidanza

Gli esperti del settore, medici, professori e presidenti di categoria, in merito alla vicenda hanno tenuto ad evidenziare che tra una diagnosi errata e la superficialità c’è grande e sostanziale differenza.  “Più che di feto qui si parla di camera gestazionale. Quando si parla di camera gestazionale di quattro-cinque settimane” spiega il professor Vito Troiano, presidente AOGOI, “non si intende disettimane reali perché per calcolare il tempo di gestazione si parte dal primo giorno dell’ultima mestruazione mentre in genere la fecondazione arriva intorno al quindicesimo giorno. Questo presuppone che una camera gestazionale calcolata alla quarta-quinta settimana sia in realtà alla seconda-terza dove la visibilità cardiaca è al limite".

Concorda il presidente della Società Italiana di Ostetricia e Ginecologia professor Paolo Scollo: “Non solo bisogna ricordarsi sempre che si parte dall’amenorrea e non dal reale concepimento, ma se la paziente, ad esempio, ha ovulato al ventunesimo giorno invece che al quindicesimo i tempi si riducono ancora e il battito cardiaco non c’è proprio. Certo, magari chi ha diagnosticato la morte del feto potrebbe, e dico potrebbe perché non conosco la dinamica dei fatti, essere considerato frettoloso ma mai impreparato ”.  

Per il dottor Paolo D’Alessio, consulente in diagnosi prenatale del centro Bios International, “questo errore umano non comporta che il medico ecografista ostetrico, che fino adesso ha salvato tanti bambini senza che ciò facesse notizia, diventi improvvisamente un pessimo medico. Semplicemente una bella notizia non fa notizia”.

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Stefania Fiorucci