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El Chapo, Sean Penn e i problemi del Messico

Sullo sfondo del fenomeno mediatico innescato dalla cattura del boss della droga resta l’immagine sbiadita di un Paese in cerca di credibilità

Per Lookout news

Questa volta il Messico non si sottrarrà alla richiesta di estradizione di Joaquin “El Chapo” Guzman da parte degli Stati Uniti. A tre giorni dall’arresto del leader del potente cartello della droga di Sinaloa, il governo messicano ha infatti comunicato di aver avviato formalmente il processo per la sua estradizione negli USA. Nello stesso carcere di massima sicurezza di Altiplano, da cui era riuscito a fuggire l’11 luglio 2015 sfruttando un tunnel sotterraneo scavato sotto la sua cella, “El Chapo” ha così ricevuto la notifica dell’avvio della procedura da parte dell’Interpol.

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L'intervista al Chapo di Sean Penn

Dopo il no alla sua estradizione al momento del suo secondo arresto nel febbraio del 2014 per motivi di “orgoglio nazionale”, il presidente messicano Enrique Peña Nieto ha dunque dovuto cedere alle pressioni americane. Segno che il rischio di una terza evasione di Guzman, dopo quelle del 2001 e del 2015, rappresenta un vero e proprio incubo per il governo di Città del Messico.

 Una volta che verrà trasferito negli USA, “El Chapo” dovrà difendersi dalle accuse, mosse da sette giurisdizioni americane, di contrabbando di droga dal Messico verso gli Stati Uniti (centinaia di tonnellate di cocaina, metanfetamina ed eroina) e riciclaggio di denaro, nonché per migliaia tra sequestri di persona e omicidi. Al momento a contendersi il maxi processo a suo carico sono le giurisdizioni di Chicago, Brooklyn e New York. Alla fine dovrebbe però spuntarla Chicago, che nel 2013 gli ha affibbiato il titolo di “Nemico pubblico n. 1”, lo stesso che era stato riservato in passato solo ad Al Capone. I tempi per l’estradizione di “El Chapo” non saranno brevissimi. La pratica dovrebbe essere conclusa entro la prima metà del 2016, anche se molto dipenderà dalla linea difensiva per cui opteranno i suoi legali.

Il mix narcos-Hollywood

Più che la notizia dell’estradizione di “El Chapo” negli USA, a tenere banco continua a essere il coinvolgimento dell’attore americano Sean Penn nel retroscena della sua cattura. La stella di Hollywood è finita nel mirino delle autorità messicane per l’intervista fatta al narcotrafficante lo scorso 2 ottobre e pubblicata sull’ultimo numero della rivista Rolling Stone. Insieme a lui sotto inchiesta è finita anche Kate Del Castillo, l’attrice messicana che ha reso possibile l’incontro tra Sean Penn e il narcotrafficante, il quale aveva espresso il desiderio di far realizzare un film sulla sua vita.

 Le forze di sicurezza messicane intendono fare chiarezza sui contatti tra Sean Penn e Guzman e conoscere nel dettaglio cosa i due si sono detti nel loro incontro durato sette ore. Sia Sean Penn che Kate Del Castillo hanno finora evitato di commentare la notizia dell’arresto di “El Chapo”. Ma i punti in sospeso sul loro reale ruolo in questa vicenda restano. Si è detto molto in questi giorni dell’ipotesi che sia stato Penn, con il suo incontro “segreto” con il narcotrafficante, a rendere possibile il blitz della Marina militare messicana. Si tratta della ricostruzione dei fatti più credibile. Lo hanno lasciato intendere le autorità di Città del Messico, affermando che sapevano dell’incontro settimane prima che avvenisse. E lo sapeva anche la DEA (Drug Enforcmenet Agency), che da tempo pedinava gli spostamenti dell’attore.

 Gli altri interrogativi che gravitano attorno a questa storia – Sean Penn era consapevole di essere seguito e di essere una pedina controllata dalla DEA? Possibile che la Casa Bianca non fosse stata informata dei contatti sospetti di un suo concittadino (personaggio pubblico noto per le sue posizioni di sinistra) con gli ambienti del narcotraffico messicano? – monteranno su giornali e siti di informazione e intrattenimento ancora per giorni, a tutto favore della visibilità e delle vendite di Rolling Stone e, ovviamente, della leggenda di El Chapo.

Ma non sono solo queste le domande che restano irrisolte ai margini del lungo articolo-racconto firmato da Sean Penn. Perché, nel momento stesso in cui Guzman è tornato in cella, a riemergere a galla sono stati ancora una volta tutti i limiti dello Stato messicano. Uno Stato che di fatto, anche nel giorno della cattura del narcotrafficante più ricercato al mondo, è stato sopraffatto dal mito di questo criminale e dallo strapotere mediatico – oltreché economico e militare – del cartello di Sinaloa.

 A porsi le domande giuste sulla vicenda nel suo complesso è stato Enrique Krauze, storico, saggista ed editorialista messicano, intervistato dal New York Times. Nella sua analisiKrauze va oltre il sensazionalismo innescato dall’accoppiata narcos-Hollywood, focalizzando piuttosto l’obiettivo su ciò che, suo malgrado, nelle ultime 72 ore ha fatto da sfondo al fenomeno mediatico: il Messico, la debolezza del suo Stato, la corruzione che continua a penetrare a ogni livello la sua classe politica e dirigente così come parte delle sue forze di sicurezza, lo sbandamento di una parte consistente (ma comunque non maggioritaria) della sua opinione pubblica, sempre più fan del leggendario Guzman.

 Una volta consegnato “El Chapo” agli americani, il presidente Enrique Peña Nieto – un riformatore volenteroso come hanno dimostrato gli interventi in senso liberale nell’economia e nel settore energetico – dovrà affrontare e tentare di risolvere questi problemi. In gioco non c’è solo la sua immagine, ma anche quella del Messico in quanto Stato.

Messico. Investigatori ispezionano il tunnel utilizzato per la fuga dal carcere da 'El Chapo' Guzman. EPA/Alex Cruz

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