Scozia indipendente. Ma quanto ci costi
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Economia

Scozia indipendente. Ma quanto ci costi

Analisti e politici si interrogano sulle possibili conseguenze economiche di una vittoria dei secessionisti (in vantaggio, secondo i sondaggi) nel referendum del 18 settembre

UPDATE: questo post è stato pubblicato il 26 agosto 2014 quando il dibattito sul referendum sull'indipendenza della Scozia previsto per il 18 settembre si era fatto incalzante. Ve lo riproponiamo oggi che i sondaggi hanno espresso il loro primo importante verdetto: i "sì" sarebbero in vantaggio con il 51%. La reazione sui mercati finanziari è stata immediata: la sterlina è scesa ai minimi da 10 mesi sul dollaro (intorno a 1,6208 $) e la Borsa di Londra ha subito virato al ribasso. Ma qual è il costo dell'indipendenza scozzese per l'Europa? In palio ci sono forniture di petrolio, gas naturale e impatto sul Pil della Gran Bretagna come spieghiamo, appunto, in questo post.

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Alexander Elliot Anderson Salmond non è un tipo che va molto per il sottile.

Nei dibattiti pubblici sa come mettere all’angolo l’avversario come pochi altri politici sanno fare. Lo ha fatto anche la sera del 25 agosto. Alex Salmond è il primo ministro scozzese e ha fronteggiato l’ex cancelliere dello scacchiere Alistair Darling nel secondo scontro prima del referendum sull’indipendenza della Scozia, previsto per il 18 settembre.

Il fronte secessionista avanza sempre più, così come l’incertezza. Non è chiaro infatti quale potrà essere l’impatto finanziario di un addio della Scozia.

“Salmond ha demolito Darling”. Così ha scritto The Herald, il maggiore quotidiano scozzese, commentando l’incontro fra i due andato in onda sulla BBC. E in effetti, anche il Guardian lo ammette. In un sondaggio a cura di ICM per il quotidiano britannico, il 71% degli interpellati ha dichiarato di aver preferito la performance di Salmond a quella di Darling.

“Io sogno, gli scozzesi sognano. Entrambi sogniamo una nazione prospera e giusta”, ha detto Salmond, attaccando il governo di David Cameron per i tagli alla spesa pubblica, passati, presenti e futuri. Parole con cui il laburista Darling si è trovato d’accordo, spianando la strada a Salmond.

Petrolio e gas naturale
L’impatto economico della secessione scozzese potrebbe essere pesante. A inizio giugno la banca statunitense Bank of America-Merrill Lynch ha pubblicato un report specifico. La Scozia vale circa l’8% del Pil britannico, ma non è questo il dato più interessante. L’85% dei giacimenti di petrolio e gas naturale del Regno Unito sono nel Mare del Nord, in territorio scozzese. È vero che i giacimenti hanno raggiunto il picco nel 2000 e oggi sono al 60% del loro potenziale massimo, ma si tratta di un’importante fonte di indipendenza energetica (e di profitto) per l’intero Regno Unito. “Non è possibile quantificare quale potrebbe essere l’impatto sull’economia britannica, ma sarà elevato”, ha scritto BofA-ML.

Fra i costi nascosti ci sono quelli relativi alle rilevazioni statistiche. In caso di addio di Edinburgo, Londra dovrà ricalcolare il proprio Pil senza la componente scozzese. E come ha scritto oggi il Guardian, nessuno è a conoscenza di quanto potrà costare al Regno Unito. “È come un salto nel buio cosmico, senza paracadute e senza cinghie di sicurezza”, ha fatto invece notare Lombard Street Research. “I costi per la ridenominazione dei contratti, delle domiciliazioni, la riqualificazione statistica, perfino le polizze assicurative potrebbero subire un incremento”, afferma la casa d’affari londinese. E in effetti, chi rischia molto è Standard Life, la maggiore compagnia assicurativa scozzese. Se ci fosse la secessione, le conseguenze maggiore si avrebbero sulle polizze per le imprese, dati i nuovi rischi presenti.

Inoltre, ci sono i problemi con gli istituti di credito. Due delle maggiori istituzioni finanziarie del Regno Unito sono ufficialmente domiciliate in Scozia. Si tratta di Royal Bank of Scotland e dei Lloyds, il cui valore sommato equivale al 1000% dell’intero Pil scozzese. In caso di shock, sarebbero il classico esempio di banche "Too big to fail".

Ma le domande fondamentali sono altre. Come gestire la transizione in caso di secessione? Quale sarà l’organismo di regolamentazione e vigilanza finanziaria per la nuova area economica? Come potrebbero operare RBS e Lloyds nel nuovo regime? L’operatività in Scozia è meno del 10% degli asset per entrambe, ma è abbastanza per destabilizzarle nel caso di re-domiciliazione delle partecipate.

Barclays
Il timore di pesanti ripercussioni finanziarie è anche quello di Barclays. Il colosso britannico ha ricordato in luglio che, nonostante la componente scozzese pesi solamente il 2% dell’intero indice FTSE 350, le interconnessioni non sono da sottovalutare. Sono cinque, secondo Barclays, le società che potrebbero patire le maggiori conseguenze sul mercato azionario. Il gigante del gas BG Group, quello della grande distribuzione Diageo, la compagnia di difesa BAE Systems, le già citate RBS e Lloyds. “Gli investitori potrebbero essere sopraffatti dall’incertezza, limitando la loro esposizione verso queste società, peggiorandone la situazione”, ha detto Barclays.

Infine, c’è la questione della moneta.
Salmond ha ribadito che, in caso di secessione, la Scozia ha tutto il diritto di utilizzare la sterlina. E anche Darling ha dovuto confermare il concetto, vanificando uno dei timori più grandi delle banche d’investimento. Tramite la sterlina, infatti, vengono meno tre dei fattori che potevano mettere a repentaglio la sicurezza finanziaria di Edinburgo: la mancanza di una banca centrale (e quindi di un prestatore di ultima istanza), la mancanza di un sistema di pagamento, l’innalzamento del premio per il rischio.

La partita però è ancora aperta. Tories, Labour e liberal-democratici continuano a sottolineare che se la Scozia voterà per l’indipendenza sarà a essa precluso l’utilizzo della sterlina. Sbagliato, come ha detto Darling ieri. Piuttosto, ha sottolineato l’ex cancelliere dello scacchiere, la Scozia potrebbe diventare come Panama, che ha introdotto il dollaro statunitense ma non ha una propria banca centrale. La Scozia diventerebbe un Paese, in pratica, che adotta la sterlina e che subisce le decisioni di politica monetaria della Bank of England, senza possibilità di intervento. “Una scelta suicida”, dice Darling. “Una scelta ragionevole”, dice l’Adam Smith Society.

Sebbene il versante del no sia quello prevalente, l’ultimo sondaggio di You-Gov lo vede al 51%, gli analisti hanno già preso atto dell’ultima vittoria di Salmond. Il 18 settembre si avvicina e Salmond sta affilando le armi per l’assalto finale sugli indecisi, circa l’11% secondo You-Gov.
A 700 anni dalla battaglia di Bannockburn, che produsse la restaurazione de facto dell’indipendenza della Scozia dall’Inghilterra, una nuova battaglia si sta combattendo. E ora come allora, l’esito finale è incerto.

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Fabrizio Goria

Nato a Torino nel 1984, Fabrizio Goria è direttore editoriale del sito di East, la rivista di geopolitica. Scrive anche su Il Corriere della Sera e Panorama. In passato, è stato a Il Riformista e Linkiesta e ha scritto anche per Die Zeit, El Mundo, Il Sole 24 Ore e Rivista Studio. È stato nominato, unico italiano, nella Twitterati List dei migliori account Twitter 2012 da Foreign Policy.

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