Cassa depositi e prestiti, chi vuole la cassaforte d’Italia
Economia

Cassa depositi e prestiti, chi vuole la cassaforte d’Italia

Politici, banche e Tesoro sono impegnati in una partita sotterranea per mettere le mani sulla Cassa depositi e prestiti. Ma Saccomanni gioca d’anticipo

Finmeccanica, Ferrovie, Poste, Anas, Eni ed Enel sullo sfondo. La corsa alle poltrone si fa frenetica, ma attenzione, la grande posta è la Cassa depositi e prestiti, la nuova Iri, anzi di più. Il vecchio Istituto per la ricostruzione industriale aveva un bilancio in lire equivalente a 138 miliardi di euro. L’attivo della Cdp arriva a 300 miliardi. Se fosse un fondo sovrano, sarebbe al quarto posto dopo Abu Dhabi, Norvegia e Arabia Saudita. Nata per finanziare i comuni, oggi abbraccia le grandi reti (gas, elettricità e poi telefonia), la finanza (le Generali), l’industria, il commercio, il turismo. Nel 2012 ha impiegato 22 miliardi, l’1,5 per cento del prodotto lordo, con un utile di 2,8 miliardi.

Il comitato di garanzia presieduto dal costituzionalista Cesare Mirabelli, istituito lunedì 24 giugno da Fabrizio Saccomanni con un blitz, ha creato un primo  filtro agli appetiti politici. Ci sono anche i cacciatori di teste per esaminare i candidati. Ma il ministro dell’Economia intende prendere in mano le redini della partita principale che si gioca su tre fronti: i partiti, le banche e il Tesoro.

Nel pizzino mostrato da Pier Luigi Bersani a Guglielmo Epifani, quasi un passaggio di potere reale fra l’ex segretario del Pd e il nuovo traghettatore, per la Finmeccanica veniva indicato Giuseppe Zampini (Ansaldo) al posto dell’amministratore delegato Alessandro Pansa. Accanto a Cdp c’era scritto «freschi». Perché confermati da poco o perché da rinominare in blocco? Il dubbio resta. Le fondazioni, sotto la guida di Giuseppe Guzzetti, hanno un ruolo di primo piano con appena il 18 per cento del capitale. Esprimono il presidente, Franco Bassanini (ex ministro e deputato del Pd), mentre l’amministratore delegato, Giovanni Gorno Tempini, è vicino a Giovanni Bazoli, amico e alleato di Guzzetti.

Alla vigilia dell’addio Vittorio Grilli ha lasciato i due uomini al vertice e ha collocato i suoi nel consiglio di amministrazione. A Saccomanni le ipoteche non piacciono: ha già cambiato il ragioniere generale e rimescolato l’alta burocrazia del ministero, ora sta valutando gli equilibri nella Cdp. Se deve diventare la leva dello sviluppo, non può lasciarla alle banche e a funzionari pubblici stimabili ma senza potere. 

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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