Apple, l’iPhone 5 e quel sottile gusto per l’imperfezione
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Apple, l’iPhone 5 e quel sottile gusto per l’imperfezione

Cosa fa del Melafonino un prodotto così desiderabile? La tecnologia, da sola, non basta per spiegare un fenomeno che vive su un marketing unico al mondo. Capace di creare sogni, più che prodotti

Oscar Wilde diceva della sigaretta: è un piacere talmente perfetto da lasciarti insoddisfatto. Ecco, io del nuovo iPhone 5 (ma anche degli altri prodotti Apple) direi l’esatto opposto: un piacere talmente imperfetto da lasciarti soddisfatto (oltre al fatto che non nuoce gravemente alla salute).

È una storia che si ripete, anno dopo anno. Ogni nuovo Melafonino si porta con sé – oltre all’inevitabile carico di migliorie – anche i suoi macroscopici difetti. Ricordate il primo iPhone che arrivò in Italia (l’iPhone 3G)? Non poteva inviare e ricevere gli mms, non supportava il copia e incolla e disponeva di una fotocamera praticamente usa e getta. Problemi risolti con l’iPhone 3GS, il più veloce iPhone di sempre, anche nel consumo della batteria. Venne poi l’iPhone 4 quello della cosiddetta presa della morte (Apple arrivò addirittura regalare ai suoi utenti una custodia pur di limitare i danni della ricezione "mancina") e l’iPhone 4S, il primo Melafonino con un assistente vocale (in)capace di comprendere la voce del padrone.

E arriviamo ai giorni nostri, all’iPhone 5 , l’iPhone che risolve tutti i problemi dei vecchi iPhone (compresi quelli di Siri, a quanto pare), aggiungendone uno nuovo però: quello delle mappe. Lo ha ammesso persino Tim Cook , in persona: le Apple Maps, le cartine digitali che da quest’anno sostituiscono Google Maps, sono piene di errori . Insomma anche per quest’anno gli utenti Apple hanno il loro calice amaro da digerire.

La domanda a questo punto sorge spontanea: Apple ci fa o ci è? E se tutto questo stillicidio di imperfezioni nascondesse in realtà una strategia studiata a tavolino che mira a stimolare continuamente l’appetito dei consumatori?

Paul Krugman ha la sua idea in proposito: "Il punto è che l'ottimismo circa l’effetto iPhone non ha nulla (o comunque poco) a che fare con la qualità presunta del telefono, o al modo in cui potrebbe renderci più felici o più produttivi. In realtà, i guadagni immediati deriverebbero dal modo in cui il nuovo telefono dovrebbe convincere la gente a rottamare i loro vecchio telefonino per sostituirlo con uno nuovo”.

Personalmente, i telefonini sfornati da Apple mi ricordano un po’ quei piatti che ti servono in quei ristorantini del centro dove mangi bene, spendi molto e ti alzi da tavola senza essere mai completamente sazio.

Chiamatelo marketing, se volete, perché in fondo anche questo è un modo per solleticare l’interesse all’acquisto. Del resto Apple in questi anni ci ha abituato a sovvertire tutti i luoghi comuni sulle politiche di vendite. Nessuna campagna pubblicitaria convenzionale, nessun battage mediatico imposto dall'azienda: si dice che gli oggetti di Apple si sponsorizzino da soli per via dell’aspettativa che sanno generare. Un sentimento che nasce da tutti quei piccoli grandi accorgimenti che la Mela riserva a tutti gli aspetti che fanno da corollario alla tecnologia: il design pulito e minimalista dei prodotti, l’architettura delle sue boutique di vendita e l’attenzione quasi maniacale verso tutti quei dettagli (brevettabili) che possono fare la differenza , dai loghi alle gesture sul touch screen.

E poi, naturalmente, c’è la politica dei prezzi, altro aspetto che contribuisce ad aumentare il carattere di esclusività del marchio. Nessuno sconto, nessun compromesso. È l’iPhone, bellezza: se lo vuoi devi essere disposto a spendere, altrimenti ci sono sempre i telefoni Android low-cost.

Insomma un modello di marketing decisamente subliminale, ma che funziona. Pensaci quando comprerai il tuo nuovo iPhone 5, pur sapendo che si tratta di un telefono coi suoi difetti. Pur sapendo che sono quegli stessi difetti che ti faranno tornare sul luogo del delitto (l’Apple Store)  fra un anno per comprare il nuovo iPhone 6.

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Roberto Catania

Faccio a pezzi il Web e le nuove tecnologie. Ma coi guanti di velluto

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