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(Ansa)
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La legge di Orban sarà pure migliorabile, ma l'Ue non deve occuparsene

E' salita alle stelle ieri la tensione al Consiglio europeo. Al centro dello scontro è finita la legislazione ungherese, accusata di essere discriminatoria nei confronti degli omosessuali. "I nostri valori dell'Ue si fondano sul rispetto della dignità di ciascuno, e perciò la lotta contro le discriminazioni e nessuna debolezza a questo riguardo, che mettono in pericolo lo stato di diritto", ha dichiarato il presidente francese, Emmanuel Macron. "Avremo una discussione tra Stati membri, sarà franca, e ferma. E mi aspetto che le istituzioni Ue, a nome di tutti e dei nostri principi, mettano in atto le procedure previste", ha aggiunto. Durissimo, sotto questo punto di vista, anche il premier olandese, Mark Rutte, che ha invocato l'estromissione di Budapest dall'Unione europea. "Per me, l'Ungheria non ha più posto nell'Ue", ha in tal senso affermato. "L'Ue non è semplicemente un mercato unico in cui la coesione è importante, ma si è unita anche sulla base di valori condivisi", ha invece sottolineato il cancelliere tedesco, Angela Merkel.

Anche il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha avuto parole severe nei confronti dell'Ungheria. "La legge ungherese è una vergogna, discrimina persone sulla base dell'orientamento sessuale va contro i valori fondamentali della Ue. Noi non faremo compromessi su questi principi", ha tuonato. "Ci sono delle regole, la colonna vertebrale europea è fatta di valori e di diritti e deve essere garantita dalla giustizia e dalla politica", ha dichiarato invece il premier lussemburghese Xavier Bettel. Nel frattempo, diciassette Paesi hanno sottoscritto una lettera che suona come una dura critica nei confronti del premier ungherese, Viktor Orban, il quale – dal canto suo – ha respinto le accuse. "Non abbiamo quel tipo di legge, abbiamo una legge che difende i diritti dei ragazzi e dei genitori", ha affermato. A intervenire è inoltre stato anche il ministro della Giustizia ungherese, Judit Varga, secondo cui Budapest non ha alcuna intenzione di abbandonare l'Unione europea.

Insomma, è una crisi piuttosto grave quella che si è aperta in seno all'Unione. E i suoi esiti non sono al momento affatto chiari. E' comunque lecito avanzare qualche considerazione. Fermo restando che si tratti di un tema delicato e fermo restando che altrettanto delicata è la questione dei rapporti tra Bruxelles e le singole sovranità nazionali, bisognerebbe chiedersi se l'Unione europea possa realmente permettersi una tale spaccatura in un momento come questo. In altre parole, una simile questione andrebbe probabilmente affrontata con toni e modalità diversi da quelli visti in campo ieri, senza dare fuoco alle polveri fino a invocare addirittura la cacciata di uno Stato membro dall'Unione. La pandemia non è ancora finita, la ricostruzione economica deve ancora mettersi in moto. Bruxelles si trova a fronteggiare la crisi probabilmente più grave della sua storia, mentre – sul piano geopolitico – le sfide sono sempre più numerose e (soprattutto) pericolose. Sfide a cui, per inciso, l'Unione europea appare fortemente impreparata, specialmente alla luce del fatto che non riesce ancora a sviluppare una politica estera unitaria.

Il punto non risiede allora nell'evitare di discutere la questione: risiede semmai nel modo attraverso cui tale discussione avviene. Perché è vero: i valori sono importanti, come ha ricordato Angela Merkel. Ma dovrebbero esserlo sempre, non a fasi alterne. Non fu del resto proprio il cancelliere tedesco a farsi principale promotore del Comprehensive Agreement on Investment? Stiamo parlando dell'accordo, siglato a dicembre tra Commissione europea e Repubblica popolare cinese, che bypassava di fatto le preoccupazioni espresse da molti sul tema del lavoro forzato nello Xinjiang. Non c'è bisogno di citare Pietro Nenni sui puri epurati per capire che atteggiamenti troppo enfatici e granitici rischiano di cadere in un cortocircuito e di rivelarsi addirittura controproducenti rispetto alle cause per cui si vorrebbe combattere. Perché, in definitiva, c'è una bella differenza tra l'impegno (faticoso) a trovare soluzioni concrete e il (facile) massimalismo a favore di telecamera.

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Stefano Graziosi