Quanti grattacapi per Biden
(Ansa)
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Quanti grattacapi per Biden

La Commissione di inchiesta sul caso Ucraina che coinvolge il figlio inguaia il canidato democratico, cui però arriva l'appoggio di Megan ed Harry

Joe Biden tra i Windsor e l'Ucraina. L'ex vicepresidente americano ha incassato l'endorsement dei duchi di Sussex. In un video per la rivista Time, Harry e Meghan hanno di fatto invitato a votare contro Donald Trump il prossimo novembre, per quanto un loro portavoce si sia affrettato a precisare che si trattasse in realtà di un appello neutrale. Non l'ha pensata così evidentemente il presidente americano che, interpellato appositamente da un giornalista, ha dichiarato: "Non sono un fan di Meghan Markle, direi questo, e lei probabilmente è venuta a saperlo. Auguro tanta fortuna a Harry, perché ne avrà bisogno".

La presa di posizione della Markle, che – ricordiamolo – è cittadina americana e può votare il prossimo 3 novembre, si inserisce nella scia di endorsement che altre celebrità dello star system statunitense hanno pronunciato a favore del candidato democratico. Più controversa risulta invece la scelta del principe Harry, che ha già messo nei guai la Famiglia reale britannica. Non a caso, un portavoce di Buckingham Palace è intervenuto, chiarendo: "Non faremo commenti. Il duca non è un membro attivo della famiglia reale e tutti i commenti che fa sono a titolo personale". Inoltre, secondo quanto riportato da The Guardian, si sarebbe registrata forte irritazione tra i Windsor per l'endorsement del principe. Al di là delle polemiche, non è comunque esattamente chiaro quanto questi endorsement gioveranno al candidato dem. Trump sta additando ormai da tempo i democratici come un partito elitario, vicino a Wall Street, Hollywood e Silicon Valley: un partito – secondo il presidente – sempre più lontano dalle esigenze della working class. In tal senso, un endorsement glamour e patinato come quello dei duchi potrebbe anche rivelarsi un boomerang tra frange elettorali come quella dei colletti blu della Rust Belt.

Eppure, al di là delle questioni nobiliari, il candidato democratico si trova ad affrontare ben altri grattacapi. Mercoledì scorso, le commissioni Finanza e Sicurezza interna del Senato americano hanno pubblicato un rapporto parziale dell'indagine parlamentare in corso, dedicata alle controverse attività svolte dal figlio di Biden, Hunter, in Ucraina. Nel presentare i primi risultati dell'inchiesta, i presidenti delle due commissioni, i repubblicani Ron Johnson e Chuck Grassley, hanno dichiarato di aver incontrato molti ostacoli da parte dei democratici e che – soprattutto – "resta ancora molto lavoro da fare" nell'ambito dell'indagine. Ricordiamo che, nel 2014, Hunter Biden ottenne un incarico nelle alte sfere della società energetica ucraina Burisma Holdings. Nello stesso periodo, suo padre – all'epoca vicepresidente degli Stati Uniti – veniva nominato da Barack Obama come punto di raccordo tra Kiev e Washington nella gestione degli aiuti americani all'Ucraina. Il tutto aveva luogo in un contesto geopolitico ben preciso: il 2014 fu infatti l'anno della crisi della Crimea, crisi che portò Kiev a staccarsi dall'orbita russa, per avvicinarsi a quella occidentale. Già all'epoca venne adombrato un sospetto di conflitto di interessi in riferimento alla famiglia Biden: sospetto rafforzatosi dopo che, l'anno scorso, l'ex vicepresidente rivelò pubblicamente di aver minacciato di bloccare i fondi americani a Kiev nel 2016, se l'allora presidente ucraino, Petro Poroshenko, non avesse licenziato il procuratore Viktor Shokin. Procuratore indubbiamente controverso e di cui in molti chiedevano la destituzione, ma che stava comunque indagando su Burisma per corruzione.

Ebbene, proprio su questi elementi, si è concentrato il rapporto di 87 pagine del Senato americano. Secondo il documento, i vertici dell'amministrazione Obama "sapevano" che la posizione assunta da Hunter Biden risultasse "problematica" e che interferisse "nell'efficiente esecuzione della politica rispetto all'Ucraina". "Questa indagine", recita il documento, "ha illustrato fino a che punto i funzionari dell'amministrazione Obama hanno ignorato i lampanti segnali di avvertimento, nel momento in cui il figlio del vicepresidente è entrato a far parte del consiglio di una società di proprietà di un oligarca ucraino corrotto". In particolare, secondo il rapporto, ci furono almeno due funzionari a sollevare preoccupazioni sul ruolo di Hunter. All'inizio del 2015, fu il diplomatico a Kiev, George Kent, a far presente dei problemi di conflitto di interessi e – vista l'assenza di significative risposte dalla Casa Bianca – fu sempre lui a inviare, nel settembre 2016, una mail in cui definiva "imbarazzante" la presenza del figlio di Biden in Burisma. Nell'ottobre 2015, era stato invece il funzionario del Dipartimento di Stato americano, Amos Hochstein, a esprimere preoccupazioni sull'attività ucraina di Hunter. Il rapporto accusa inoltre l'ex segretario di Stato, John Kerry, di aver mentito, quando dichiarò di non avere conoscenza del ruolo del figlio di Biden in Burisma. Ma non è tutto. Secondo il fascicolo del Senato, Kent testimoniò che il cofondatore di Burisma, l'oligarca ucraino Mykola Zlochevsky, avrebbe corrotto alcuni funzionari del procuratore generale di Kiev con 7 milioni di dollari nel dicembre 2014: circa sette mesi dopo l'entrata di Hunter nella stessa Burisma. Tra l'altro, secondo il fascicolo, il Dipartimento di Stato americano avrebbe considerato proprio Zlochevsky un personaggio fortemente corrotto: eppure, nonostante il suo ruolo ufficiale nel contrasto alla corruzione in Ucraina, Joe Biden si rifiutò di criticare pubblicamente l'oligarca. Per quale ragione? Infine, il rapporto dichiara: "Oltre agli oltre 4 milioni di dollari pagati da Burisma a Hunter Biden e Archer [suo socio] per essere nel consiglio di amministrazione, Hunter Biden, la sua famiglia e Archer hanno ricevuto milioni di dollari da cittadini stranieri con background discutibili".

Il portavoce di Joe Biden, Andrew Bates ha bollato il tutto come una "teoria del complotto". Eppure, al di là delle attività di Hunter in sé stesse, questo rapporto mette in luce come le accuse mosse in passato all'ex vicepresidente di conflitto di interessi si stiano mostrando sempre più fondate. E questo può rivelarsi un problema nella sua attuale corsa per la Casa Bianca. Anche perché Trump l'anno scorso è stato messo sotto impeachment con evidenze molto più deboli di quelle che stanno emergendo oggi sul suo rivale. Bisognerebbe quindi porsi almeno qualche domanda. Per quale ragione, a fronte delle segnalazioni di Kent e Hochstein, Obama ha lasciato che fosse Joe Biden a continuare ad occuparsi dei rapporti tra Kiev e Washington? Per quale ragione lo stesso Biden si rifiutò di prendere posizione pubblicamente contro Zlochevsky, nonostante il Dipartimento di Stato lo ritenesse corrotto? Ma soprattutto chi ci garantisce che, qualora vincesse le presidenziali del prossimo novembre, l'attuale candidato democratico non tornerà a tollerare simili situazioni di ambiguità? A dicembre scorso, i democratici dissero che Trump aveva indebitamente asservito la politica estera americana ai propri interessi. E per Biden questa accusa non vale?

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Stefano Graziosi