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(Ansa)
Dal Mondo

I grattacapi petroliferi di Biden

Dopo l'embargo energetico alla Russia, il presidente americano cerca una sponda con Venezuela e emirati arabi vari. Ma i problemi per lui sono numerosi

Arrivano segnali preoccupanti dal Medio Oriente: segnali che evidenziano una significativa perdita di influenza statunitense nell’area. E questo non può non costituire un enorme problema politico ed economico per Joe Biden. Martedì scorso, il presidente americano ha decretato un blocco dell’import energetico dalla Russia: un provvedimento di indubbio peso, che colpisce il Cremlino in un settore nevralgico per la propria economia. Ora, si fa (non senza ragioni) notare che Washington abbia preso tale misura anche in considerazione della sua minore dipendenza dall’energia di Mosca rispetto all’Unione europea. Ciò è vero, anche se la situazione è più complessa di come appare. Ricordiamo che, negli Stati Uniti, il prezzo della benzina è già molto alto da svariati mesi: la mossa di Biden è quindi prevedibilmente destinata ad aggravare questa situazione. Lo stesso presidente, del resto, lo ha fatto presente, mentre annunciava l’embargo. E’ quindi in questo senso che sta cercando di alleviare la situazione, facendo appello ai Paesi produttori di petrolio. Ma qui cominciano i guai per lui.

Biden si è innanzitutto rivolto al Venezuela di Nicolas Maduro, lasciando chiaramente intendere di essere intenzionato ad alleggerire le sanzioni statunitensi che gravano sull’export di energia di Caracas. Una posizione, quella del presidente americano, significativamente problematica sotto due punti di vista. In termini di principio, bisogna ricordare che il regime di Maduro è una feroce dittatura: il che è un paradosso, alla luce del fatto che – durante la campagna elettorale del 2020 – Biden aveva accusato Donald Trump di essere troppo accondiscendente con i leader autoritari, promettendo quindi – sotto questo punto di vista – un netto cambio di passo. In secondo luogo, l’altro aspetto problematico è di natura geopolitica. E’ bene infatti rammentare che il Venezuela intrattiene significativi legami politici con la Russia: imporre un embargo a Mosca e aprire contemporaneamente a Caracas – come sta facendo Biden – rischia quindi di scatenare un cortocircuito.

Ma i problemi per l’inquilino della Casa Bianca non si fermano al Venezuela. Secondo quanto rivelato dal Wall Street Journal, sembra che Biden abbia cercato di organizzare una telefonata con le leadership di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, con l'obiettivo di chiedere un aumento della produzione petrolifera. Il tentativo sarebbe tuttavia fallito a causa dell'indisponibilità di Riad e Abu Dhabi, che avrebbero sbattuto di fatto la porta in faccia all'inquilino della Casa Bianca. E attenzione: qui il tema non riguarda soltanto la riluttanza delle petromonarchie a pompare più petrolio. C’è anche dell’altro. Non dimentichiamo che i rapporti tra l’amministrazione Biden e l’Arabia Saudita si sono rivelati sin da subito profondamente turbolenti: Riad non apprezza la posizione della Casa Bianca sulla guerra nello Yemen e sul nucleare iraniano. Inoltre la relazione tra Biden e il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, risulta notoriamente tesa. Infine, è bene sottolineare che, negli ultimi tempi, l’Arabia Saudita ha stretto progressivamente legami proprio con Mosca. Non è del resto un caso che, subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina, Riad aveva mantenuto una posizione piuttosto ambigua. Certo: è pur vero che i sauditi hanno appoggiato la risoluzione dell’Onu che condannava l’aggressione perpetrata da Mosca. Tuttavia, subito dopo, hanno ripreso la linea soft, proponendosi addirittura come mediatori nel conflitto.

Il segnale per Biden è indubbiamente preoccupante. Non solo l'inquilino della Casa Bianca deve gestire le critiche dei repubblicani che (non senza qualche ragione) lo accusano di aver minato l'indipendenza energetica americana nel corso del 2021. Ma, al di là della questione energetica in sé, è evidente che il presidente sta perdendo progressivamente terreno in Medio Oriente a tutto vantaggio del Cremlino. Il che è un problema, soprattutto qualora l’asse tra Russia e Cina dovesse ulteriormente consolidarsi. L’Occidente – e gli Stati Uniti in primis – dovrebbero sbrigarsi a reagire, perché rischiano seriamente di ritrovarsi sempre più marginalizzati a livello geopolitico. Resta da vedere se Biden avrà la forza e la lungimiranza per comprenderlo.

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Stefano Graziosi