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(Ansa)
Dal Mondo

I missili russi su Kiev ci portano  vicino al punto di non ritorno

I bombardamenti della notte, il possibile ingresso dell'esercito bielorusso a fianco di Mosca nel campo di battaglia, le parole del Cremlino e quelle di Macron. La tensione non è mai stata così alta

Gli attacchi russi sulla popolazione civile in tutto il territorio dell’Ucraina segnano «un cambiamento profondo della natura di questa guerra». A dirlo è il presidente francese Emmanue Macron, che non ha però voluto aggiungere altro rispetto a questo criptico commento. Ma che tuttavia lascia intendere quanto sia inorridito dalla violenta rappresaglia del Cremlino per l’affronto ucraino, responsabile di aver fatto saltare in aria il ponte di Kerch che collega la Russia alla Crimea.

Perché di questo si è trattato, una rappresaglia, per stessa ammissione di Mosca: «Questa mattina, su suggerimento del Ministero della Difesa e secondo il piano di Stato Maggiore, è stato effettuato un massiccio attacco con armi aeree, marittime e terrestri di alta precisione a lungo raggio su energia, comando militare e strutture di comunicazione dell’Ucraina» si legge in un comunicato del Cremlino.

In realtà, di strutture di comunicazione e comandi militari colpiti non vi è traccia. «È il modo vigliacco di Putin di dirci siamo più forti. Hanno bombardato solo obiettivi civili (venti case private) e infrastrutture vitali per la popolazione, come le centrali elettriche. Ci sono diversi morti e tanti feriti. Nessun obiettivo militare. Hanno bombardato un piccolo ponte pedonale, in centro. Chissà perché» ha precisato Oleksiy Kuleba, il governatore della regione di Kiev che stava guidando in centro per la capitale al momento dei bombardamenti.

Il cambio di strategia del nuovo comandante russo

È questo il primo effetto della nomina a comandante supremo delle forze armate russe in Ucraina del generale Sergei Surovikin, celebre per la sua spietatezza e le azioni riprovevoli, di cui ha dato ampia dimostrazione tanto in Cecenia quanto in Siria, ma anche per essere stato condannato per traffico di armi e munizioni. Insomma, un tipo poco incline all’etica e più adatto a tirare bombe sui civili.

Surovikin, che ha appena sostituito una serie di altri fallimentari comandanti in capo, non vuole ripetere l’errore di giocare «pulito». D’ora in avanti, quindi, c’è da aspettarsi tutto il peggio che una guerra si porta dietro. O meglio, significa che gli orrori visti sin qui altro non erano se non l’antipasto di un’escalation che è destinata a incidere sulla vita dell’intera popolazione ucraina, com’era stato nei primi folli giorni di questo conflitto armato.

Lo chiarisce bene l’esultanza di Ramzan Kadyrov, presidente della Cecenia e fanatico guerrafondaio, che punta alla guerra totale ed è pronto a sacrificare i propri figli adolescenti pur di vedere gli ucraini annientati. «Tu, miserabile Zelensky, cosa ti aspettavi? Di cosa ti lamenti? Cosa pensi, che tu puoi e gli altri no?» è stato il suo primo commento.

E, in effetti, la posizione d’intransigenza che Kadyrov continua a sussurrare all’orecchio del presidente, è quella in questo momento più ascoltata da Putin. Che ormai appare convinto che solo alzando il livello di violenza può uscire dall’angolo in cui lo hanno infilato le sue forze armate, incapaci di prevalere sul nemico.

E lo si è capito meglio quando il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko, a poche ore dagli attacchi indiscriminati, ha annunciato che schiererà le truppe di Minsk al fianco di quelle russe «nella regione». Tradotto, significa che Mosca ha tutta l’intenzione di allargare il conflitto coinvolgendo l’unico alleato che gli resta in Europa, e che ritiene la mobilitazione interna insufficiente a recuperare la situazione che vede la Russia attualmente in svantaggio nel Donbass.

Se Minsk ha allertato le proprie forze armate, nondimeno l’Europa sembra sempre più compatta sul sostegno a Kiev. Per Londra, in particolare, l’attacco indiscriminato di stamani è «un segno della crescente disperazione di Vladimir Putin per i successi ucraini», che non fa altro che rinsaldare «la determinazione del Regno Unito a sostegno dell'Ucraina e del presidente Volodymyr Zelensky», come ha confermato allo stesso Zelensky la leader conservatrice.

Elon Musk e la trattativa di pace segreta

C’è un però. Ed è tutto nella cautela oltreoceano. «L’attacco segnala un’escalation inaccettabile della guerra», è tutto quello che il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres è riuscito a dire. Un po’ poco, in verità, rispetto a quanto ci si aspetterebbe dalle Nazioni Unite. Ma anche Washington ha liquidato la cosa con un tweet del Segretario di Stato Usa Anthony Blinken, che ha scritto: «Bombardamenti orribili questa mattina». Anche se poi ha aggiunto: «Continueremo a fornire incrollabile assistenza economica, umanitaria e di sicurezza in modo che l'Ucraina possa difendersi e prendersi cura del suo popolo». E così anche il presidente Joe Biden, che ha copia incollato: «Gli attacchi russi rafforzano il nostro impegno a fianco degli ucraini» ha detto e poco più.

La tiepida reazione americana a confronto con l’accorato appello europeo stridono in maniera piuttosto evidente. Ma raccontano sufficientemente bene quale sia la reale situazione: Washington (che tuttavia non è un monolite come s’immagina) teme di essere trascinata in una guerra che non vuole e che non desidera prolungare ulteriormente, consapevole delle efferatezze di cui è capace Mosca. La Casa Bianca ostenta determinazione, ma al Pentagono conoscono bene «il vero volto di uno stato terrorista che sta uccidendo il nostro popolo», come lo ha definito Volodymyr Zelensky.

Ma sanno anche qualcosa in più, evidentemente. Non ovviamente se tireranno mai la tanto paventata arma nucleare, perché nessuna intelligence straniera - per quanto bene informata - può conoscere le reali intenzioni del clan di Putin. Il qual da far suo ondeggia tra la responsabilità enorme che pende sul suo capo e il desiderio di assecondare i falchi che premono sul suo collo affinché faccia dell’Ucraina un cumulo di macerie.

Oggi ha scelto di pendere verso quella parte, e dunque il cambio di strategia è figlio dei «consigli» dei falchi. Inoltre, per la prima volta ha parlato apertamente di scenari di guerra, archiviando la disastrosa «operazione militare» una volta per tutte. Il che, ovviamente, non è rassicurante, anzi.

Ma Putin è anche consapevole che esiste – ed esiste soltanto ora - la concreta possibilità di far finire questo conflitto senza ulteriori danni alla Russia. Perché una trattativa esiste, ed è in corso in gran segreto nel dietro le quinte della crisi. Emmanuel Macron e Recep Tayyip Erdogan ne sono il volto ufficiale, ma i ghostwriter sono i vertici dei comandi americani. Che, per non creare malintesi con gli europei, hanno affidato la loro proposta di pace anche a un personaggio apparentemente avulso dal contesto, ma che invece condivide con il Pentagono informazioni essenziali per la guerra: quell’uomo si chiama Elon Musk, e ha più commesse con le forze militari Usa di chiunque altro al mondo.

Le sue quattro idee affidate a un tweet per mettere fine alla guerra corrispondono esattamente alle condizioni di Washington per interrompere da subito il sostegno a Kiev. E sono anche molto vantaggiose per Mosca: riconoscere formalmente la Crimea come territorio russo (la Russia ha annesso illegalmente l’area all’Ucraina nel 2014); garantire un rifornimento idrico costante alla Crimea; impegnare l’Ucraina a rimanere neutrale e a non aderire alla Nato; far sì che le Nazioni Unite supervisionino un’altra tornata di referendum per l’adesione alla Russia in diverse regioni dell’Ucraina orientale, consentendo alla Russia di annettere le regioni in caso di voto positivo (o all’Ucraina in caso negativo).

Il punto è se Vladimir Putin ha compreso il messaggio, mentre siamo certi che lo abbia compreso Zelensky. Il quale infatti è andato su tutte le furie e, pochi giorni dopo il tweet di Musk ha subito provato a tirare giù il ponte simbolo della vittoria russa in Crimea. Dunque, lo stato dell’arte a oggi è questo. Ma più i falchi di Russia e Ucraina continueranno a suonare la loro fanfara, più i leader diventeranno sordi alla pace. E più ci avvicineremo a un conflitto con più attori chiamati in causa. La Bielorussia aspetta solo l’ordine di Mosca. Poi potrebbero intervenire ulteriori terze parti, a cominciare dalla Polonia. Dopodiché si può star certi che i libri di storia la ricorderanno come la terza guerra mondiale.

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Luciano Tirinnanzi